Crawl, un piccolo film con grandi alligatori
Crawl, il miglior film del 2019 secondo Tarantino, è un creature feature che più classico non si può, con alcuni alligatori e un’ottima Kaya Scodelario
A differenza degli alligatori che ne sono protagonisti insieme a Kaya Scodelario, e che sono sulla Terra da milioni di anni e se la passano alla grande, Crawl è un film che appartiene a una specie in via d’estinzione: i creature feature di una volta, i film di mostri dove quello che conta è, appunto, il mostro, la cui trama si scrive sul retro di un post-it (striscia di colla esclusa, quindi) e che puntano tutto sulla tensione e sulla capacità di tenere il pubblico incollato allo schermo mentre si sgranocchia nervosamente le unghie. Ambientato in Florida ma girato in Serbia, costato quattro soldi, l’ottavo film di Alexandre Aja è il classico lavoro di cui ci si dimentica in fretta, ma che finché dura (meno di novanta minuti, ed è un plus) diverte e intrattiene.
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Ah, e ovviamente c’è il dettaglio non trascurabile che il film è ambientato in Florida (in teoria), un luogo dove città e paludi vanno a braccetto e dove non è raro trovarsi alligatori che vagano per le strade non appena si alza un po’ l’acqua. La Florida è anche lo Stato americano più colpito da uragani (più di 500 negli ultimi 170 anni), un triste primato che rischia di consolidarsi nei prossimi anni, quando i cambiamenti climatici causeranno fenomeni atmosferici sempre più frequenti, devastanti e imprevedibili. È fin troppo facile quindi immaginare la Florida come una zona del disastro, e sceglierla come ambientazione per un film catastrofico; con un po’ di cattivo gusto ci si può addirittura immaginare un intero franchise basato sull’immaginario uragano Wendy e suoi suoi devastanti effetti sull’intero Stato.
Ad Alexandre Aja, però, non interessa fare Emmerich e dare uno sguardo globale alla catastrofe; Crawl è un film su Haley e sulla sua lotta per la sopravvivenza nella cantina di casa sua. Diciamo “cantina” ma il termine non è esatto: la parola corretta è “vespaio”, crawl space in inglese, ed è quello spazio tra il pavimento e il suolo che esiste per un qualche motivo in molte case statunitensi e che noi italiani (con l’eccezione di chi abita in Friuli-Venezia Giulia) conosciamo solo perché ci abbiamo visto ambientate parecchie scene di paura di horror americani. Aja ce lo presenta quasi subito e con tutti i crismi: prima lo fa esplorare a Haley quando è ancora asciutta, poi ci fa vedere che le forti piogge lo stanno allagando, infine lo trasforma in una trappola mortale nella quale nuotano un numero imprecisato di alligatori giganteschi, arrivati in città con l’alluvione. Uno di questi ha già potuto assaggiare la gamba di Barry Pepper, il che lo toglie di mezzo in quanto personaggio d’azione e lascia tutto il peso sulle spalle da nuotatrice di Kaya Scodelario.
Che è uno dei due segreti del film (l’altro sono gli alligatori, che sono molto belli): un prodotto del genere, semplice, lineare, senza guizzi né innovazioni né ulteriori livelli di lettura, tutto basato sulla forza della sua premessa e sull’esecuzione pura, ha bisogno di una protagonista che ci creda e che sia felice di stare in scena a soffrire, ansimare, sputacchiare acqua, farsi morsicare da alligatori e in generale di farsi maltrattare in nome del cinema. E Kaya Scodelario ci crede, grugnisce, suda, soffre, trattiene spesso il respiro, sgrana gli occhi, urla, prende a pugni gli alligatori e in generale fa benissimo quel poco che le viene richiesto di fare. È sicuramente più a suo agio lei che un Barry Pepper che sembra quasi felice di interpretare un personaggio immobilizzato a causa di una gamba maciullata, perché così ha l’occasione di stare in scena, e di fare, il meno possibile: Crawl è un monologo di Kaya Scodelario, o se preferite un duetto tra lei e gli alligatori.
Peccato solo che, in barba alla sua fama di regista crudele e amante dell’ultraviolenza, Aja punti invece su una risoluzione rassicurante e un po’ banale; ma d’altra parte il finale di un film di mostri è raramente se non mai la sua parte migliore. Per quello ci sono le risse subacquee tra Haley e gli squamati, che Aja gestisce con poca fantasia ma mano salda e controllo della situazione. E noi non chiediamo altro, se non, forse, ancora più alligatori.