Cos'ha detto Martin Scorsese su Federico Fellini nel saggio su Harper's magazine

Nel saggio per Harper’s Magazine, Martin Scorsese non ha solo criticato lo streaming, ha scritto una lettera "d'amore" per Federico Fellini

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Il saggio di Martin Scorsese pubblicato dall’Harper’s Magazine intitolato Il Maestro ha fatto parlare molto. Lo scritto è dedicato a Federico Fellini, ma nell’incipit il regista ha espresso (ancora una volta) la sua contrarietà alla forma che sta assumendo l’industria cinematografica contemporanea. In particolare si è scagliato contro la concezione del cinema come “prodotto” portata avanti, a suo dire, soprattutto dalle piattaforme streaming. 

Un intervento sicuramente interessante, ma - ci permettiamo di dire - nel luogo sbagliato, che ha finito per mettere in ombra il bellissimo omaggio di Scorsese al “maestro” Federico Fellini, a cui il resto del saggio è dedicato.

Martin Scorsese possiede una conoscenza sconfinata della storia del cinema. Ha formato il suo occhio sui più grandi e, come detto da lui stesso, ha avuto la fortuna di frequentare il cinema in un periodo in cui un giovane spettatore poteva assistere alla proiezione di Hiroshima Mon Amour, cambiare sala e trovarsi di fronte a Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard.

Era un momento in cui gli autori popolavano le sale e sembravano rispondersi di film in film creando un unico grande discorso sull’arte.

Tra tutti questi, uno in particolare ha cambiato la vita al giovane Martin Scorsese: Federico Fellini. Un regista il cui nome è diventato un aggettivo (felliniano), una figura d’autore su cui si specchia la definizione di cinema stesso. Negli anni sessanta, spiega Scorsese, Fellini era diventato qualcosa di più di un semplice Filmmaker. Era un virtuoso del cinema capace di trascendere la sua stessa arte. Ogni suo film non vive come una singola entità, ma si fa parte di una galassia più grande composta da tutta la filmografia del maestro. 

Scorsese continua il suo elogio raccontando lo stupore che ha permeato la visione di 8½. Un film dove tutto sembra al posto giusto, dalle scelte più consapevoli agli elementi più imprevedibili del set, dice nell'articolo. Scorsese non elogia solo la grande inventiva visiva, ma anche l’utilizzo del sonoro.

Fellini era creativo con il suono quanto lo era con le immagini. Il cinema italiano ha un’antica tradizione del sonoro non sincronizzato che iniziò con Mussolini, il quale decretò che tutti i film importati da alti paesi fossero doppiati. In molti film italiani, anche in quelli grandiosi, la sensazione di un suono disincarnato può essere disorientante. Oggigiorno le persone sono abbagliate dagli ultimi strumenti tecnologici e da quello che possono fare. Ma le cineprese digitali e le tecniche di post produzione come il montaggio digitale e il morphing non girano il film al posto tuo. Contano le scelte che fai nella creazione dell’intero film.

Scorsese continua poi parlando del neorealismo: Fellini ha mosso i suoi primi passi nel cinema in quel contesto culturale, ed è sorprendente se si pensa quanto si distanzi la sua produzione più matura da quel clima. Il suo sodalizio con Rossellini ha posto le basi e ispirato il cinema successivo. Il regista scrive del neorealismo come di un qualcosa che ha permesso all’Italia e alle singole persone di andare avanti dopo vent’anni di fascismo, crisi e sofferenza. E nei film di De Sica, Visconti, Zavattini e ovviamente Rossellini e Fellini, si intrecciano la morale, la spiritualità e l’immaginario dell’epoca fino a redimere l’Italia agli occhi del mondo. 

Il suo saggio continua spiegando come, nonostante Fellini abbia scritto Roma, città aperta e Paisà e sia stato così vicino a Rossellini, quando le strade artistiche dei due si sono separate il mondo ha potuto conoscere tutta la sua potenza immaginifica da racconta storie di fantasia. 

Martin Scorsese si è poi lasciato andare al ricordo delle visioni dei film di Fellini. Vide La strada a tredici anni e gli rimase impressa l’atmosfera da antica ballata medievale ambientata in un’Italia da ricostruire. Una fiaba basata sugli elementi essenziali e primordiali. L’esperienza fu potente, e aprì un’altra dimensione di cinema al regista. Una forza che viene proprio dall’avere tradito i canoni del neorealismo. Uno stile innovativo che condannò il film a severe critiche in Italia, ma lo aprì al successo nel mondo.

Ha poi definito Le notti di Cabiria un film dalle emozioni travolgenti, e La dolce vita un’esperienza indimenticabile.

Ci sedemmo, le luci si spensero, e guardammo un maestoso, spaventoso affresco filmico svolgersi sullo schermo e abbiamo riconosciuto la sua potenza. Avevamo di fronte un artista che era riuscito a esprimere l’ansia dell’epoca nucleare, il senso che nulla importa veramente perché tutto e tutti possono essere spazzati via da un momento all’altro. Sentimmo questo shock, ma anche l’euforia dell’amore di Fellini per l’arte del cinema e, di conseguenza, per la vita stessa.

La dolce vita fu per lui un'onda d'urto travolgente per la cultura. Un film fondamentale che da regista a regista ha allungato la sua suggestione generando e stimolando, per mano di altri, altri capolavori.

Fonte: Harpers

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