Cosa abbiamo imparato dal video sull'incontro Rosi-Monicelli-Suso Cecchi D'Amico

Che Suso Cecchi D'Amico non ha lavorato con Pontecorvo per non farsi di LSD, che Rosi la obbligava ad andare ai mercati generali di Napoli e che non ha scritto Bellissima

Critico e giornalista cinematografico


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Il giorno del 90esimo compleanno di Suso Cecchi D’Amico, il 21 Luglio del 2004, si teneva alla Sala Trevi un incontro patrocinato dal Centro Sperimentale di Cinematografia che vedeva riuniti la stessa Suso Cecchi D’Amico, Mario Monicelli e Francesco Rosi. Il tema era il lavoro dello sceneggiatore ma i tre erano troppo giganteschi, troppo amici e troppo anziani per poter davvero badare ad un tema e hanno semplicemente fatto e detto quel che volevano in un’ora e mezza che il CSC ha messo online sul proprio canale YouTube come parte di un progetto di pubblicazione settimanale di masterclass e contributi dal suo clamoroso archivio.

Quell’evento, visto attraverso questo video, è una specie di all-star game del cinema italiano in cui con il passare dei minuti intervengono sempre più nomi clamorosi. Ad un certo punto viene tirato in ballo Gillo Pontecorvo che si va a sedere accanto a loro, c’è Tullio Kezich seduto in platea, viene chiamato a moderare Francesco Bruni (già più che affermato all’epoca ma soprattutto ex studente del CSC, come sa chi ha visto la masterclass con Leone in cui lui, studente, lo incalza su diversi nodi irrisolti dei suoi film) e alla fine Rosi saluta Alberto Arbasino da poco arrivato.

I tre erano amici perchè Monicelli ha lavorato spesso con Suso Cecchi D’Amico, mentre Francesco Rosi, che era un po’ più giovane dei due, l’ha conosciuta prima perché lei scriveva i film di Visconti (di cui lui era allievo) e poi perché ha scritto i suoi primi tre film.
La conversazione in quell'evento la tenne più che altro Rosi, che aveva il racconto facile, anche se gli interventi più pungenti li fa Monicelli e nel complesso esce un ritratto del metodo di lavoro di Suso Cecchi D’Amico e come questo abbia influenzato chi è venuto dopo di lei (Bruni incluso).

Di seguito tutto quello che abbiamo imparato da questo video:

FARE NIENTE

La cosa fondamentale che emerge dal video è quanto del lavoro di sceneggiatura venisse portato avanti senza far niente, parlando d’altro, distraendosi o intrattenendosi a vicenda.
Alle volte si perdevano mattine senza far niente e poi salutandosi ci si diceva “a allora poi quella cosa di lavoro?”” dice Suso Cecchi D’Amico ma Rosi è anche più diretto: “Far niente è la caratteristica degli sceneggiatori. Gli sceneggiatori non lavorano per ascoltare o farsi ascoltare ma per perdere tempo e prendere tempo, si cazzeggia (come si usa dire oggi)”.

IL METODO D’AMICO

Rosi racconta che all’inizio era quasi spaventato dal metodo creativo di Suso Cecchi D’Amico: “Ricordo che ad un certo punto Suso prendeva la macchina da scrivere, si sedeva sul divano a gambe incrociate mettendosela sulle gambe e cominciava [mima lo scrivere vorticoso ndr], cosa che mi inquietava. Questo modo di Suso di passare dalla chiacchiera (notizie della giornata, le questioni ordinarie, il clima...) allo scrivere furioso a macchina che veniva dopo aver riflettuto, perché lei in quelle chiacchiere rifletteva moltissimo, mi gettava nel panico. Alle volte per riflettere meglio meglio prendeva una chitarra e suonava, ma non è che facesse accordi così, no no lei suonava proprio tipo Granada, suonava un pezzo vero. Poggiata la chitarra se doveva ancora riflettere prendeva un telaio con un disegno che stava ricamando a piccolo punto. Insomma tutte queste attività le servivano per poi improvvisamente prendere la macchina, metterla in grembo e partire furiosamente”.

LA STORIA DIETRO BELLISSIMA

Francesco Rosi risulta sceneggiatore di Bellissima di Luchino Visconti anche se, spiega, non ha scritto praticamente niente ma “allora le sceneggiature si firmavano in 7-8 perché non ci si faceva caso”. Lui faceva da assistente a Suso Cecchi D’Amico che effettivamente la stava scrivendo “era generosissima, ogni tanto mi dava qualche cosetta da scrivere e io la scrivevo ma non so che fine facesse. Luchino a queste riunioni di sceneggiatura non c’era quasi mai. Dall’altra parte Zavattini, che era l’autore del soggetto, non venne mai. Noi facemmo la sceneggiatura, Suso la mandò a Zavattini che la rimandò indietro intonsa, senza toccare niente, aggiunse solo una virgola a penna”.
Alchè Suso Cecchi D’Amico aggiunge ironica: “Era l’intervento del maestro”.
Qualcosa di simile lo racconta diversi minuti dopo Francesco Bruni che, diplomatosi al CSC nel 1988, fu invitato anche lui a casa di Suso Cecchi D’Amico per lavorare: “Io fui proprio selezionato da Furio Scarpelli e Suso per l’ingresso al centro e quando cominciai a fare il tirocinante fui mandato a casa di Suso. Potete immaginare con quale tremore nelle gambe mi ci sia avvicinato”. Suso ricorda poco questo dettaglio ma ricorda che era prassi che ognuno dei docenti e di chi era nel consiglio d’amministrazione del centro prendesse dei ragazzi per educarli al mestiere: “Ci facevano vedere cosa facevano e ci chiedevano anche un po’ di collaborare” chiude poi Bruni.

LA NASCITA DELLO STILE DEL CINEMA CIVILE DI FRANCESCO ROSI

L’occasione per Francesco Rosi è succosissima per raccontare del suo primo film, La Sfida, sceneggiato proprio con Suso Cecchi D’Amico: “Il film noi l’avevamo ambientato in Sicilia poi Gualino (cioè la Lux film) lesse la sceneggiatura, gli piacque ma disse: “Mah in Sicilia preferirei di no”. Allora mi venne l’idea di trasferire il film a Napoli, tanto più che c’era stato il fatto di cronaca di Pupetta Maresca che è servito come riferimento [una boss della Camorra molto efferata che aveva a che fare con il commercio ortofrutticolo come nel film ndr]. Io a quel tempo andavo spesso a Napoli perché avevo lasciato la famiglia da poco e il Sabato e la Domenica scappavo a Napoli. Allora mi immersi nei mercati generali vicino alla ferrovia e in queste visite vedevo che c’era una dimensione in più nella realtà rispetto a quel che avevo scritto, una che non si poteva colmare con la messa in scena, doveva essere presente già sulla pagina. Il nucleo drammatico e poetico finale di un film del resto appartiene alla scrittura, e così dissi a Suso che doveva venire con me a Napoli, sul luogo. Cosa che poi abbiamo ripetuto per tutti e tre i film fatti insieme, in Germania per I Magliari e in Sicilia per Salvatore Giuliano. Pretendevo che i miei collaboratori si impregnassero di quelle realtà”.
La Sfida fu il primo film fatto contro la camorra e dopo il suo successo, vista l’ammirazione di Rosi per Elia Kazan e quanto avesse pescato dal suo stile, il film nell’ambiente fu rinominato Fronte Dell’Orto.

IL PRIMO INCONTRO

Come detto Francesco Rosi è un po’ più giovane di Suso Cecchi D’Amico e Mario Monicelli, ed è entrato nel mondo del cinema dopo di loro, quando loro erano già affermati, qui racconta la prima volta che ha visto Suso Cecchi D’Amico: “La prima volta che ho incontrato Suso è stato alla Scalera Film era il 1947 o il 1948, la casa di produzione oggi non c’è più, io facevo l’aiuto regista a teatro per vivere senza chiedere soldi ai miei, ma facevo anche comparsate al cinema. Una volta dovevo portare un vassoio con un caffè e un bicchiere d’acqua a Nino Taranto in un film di Simonelli, il quale mi disse che poi nella scena dopo dovevo fare il salto all’indietro, cosa che non sapevo fare e per questo mi diedero uno stunt: sono l’unica comparsa ad aver mai avuto la controfigura. Lì vidi Suso, a Cinecittà, in piedi che parlava con Amidei, Zavattini e De Sica, per me era la cima dell’Olimpo. Ricordo Suso con un tailleur grigio che era piantata in terra in modo sicuro e mascolino con le mani in tasca con questi che parlavano e chissà che si dicevano…”.

COME INIZIO’ IL LAVORO DI SCENEGGIATRICE

In Italia le donne non facevano quasi mai le sceneggiatrici e Suso Cecchi D’Amico ha aperto una strada per tutte le altre, ma anche lei ebbe accesso al lavoro per richiesta di un uomo: “Ricordo che fu Renato Castellani a lamentarsi del fatto che le sceneggiature dei suoi film avevano elementi femminili pallidi. Si lamentava che le donne che gli scrivevano non si comportavano davvero come donne. Insomma si erano accorti che quello femminile era proprio un elemento che andava inserito in fase di sceneggiatura e per questo mi chiamarono per Mio Figlio Professore”.

IL LAVORO CON VISCONTI

Suso Cecchi D’Amico ha scritto 13 film per Visconti, una collaborazione lunghissima e florida, che tuttavia non era partita benissimo: “Il primo incontro con Visconti mi mise molta paura perché lui era un formalista, ricordo che ci incontrammo per scrivere un film che poi non si fece. Aveva il suo tavolo tutto acchittato con le matite sistemate i fogli per ognuno e pensavi: “Dio che dobbiamo fare…”, poi tutto si scioglieva e si poteva lavorare. Non è che sapesse molto di sceneggiatura, specie all’inizio, ma ci metteva il carico delle regole. Noi sceneggiatori parliamo con una certa sicurezza di ciò che non conosciamo, lui invece aveva sempre bisogno dell’inquadratura giusta, cosa che rendeva complicato il lavoro all’inizio. Diventò semplice solo quando diventammo amici, lui semplicemente non scrisse più una parola e via”.

SUSO IN THE SKY WITH DIAMONDS

Ad un certo punto arriva anche Gillo Pontecorvo e Monicelli come prima cosa gli chiede se abbiano mai lavorato insieme lui e Suso Cecchi D’Amico: “C’era un film su cui avevamo cominciato ma poi non se n’è fatto niente. Anche perchè [dice rivolta a Pontecorvo ndr] quando cominciammo a scrivere di quella storia di droga tu mi dicesti che dovevo fare delle esperienze in materia e io ti risposi: Guarda lasciamo perdere”.
Alchè Pontecorvo interviene precisando: “È una balla! Non era una droga, era LSD!”, “Molto peggio!” mette il carico Monicelli subito rimbrottato da Pontecorvo: “Ma cosa ne sai tu!?!”.
Solo poi Pontecorvo risponde davvero alla domanda: “Andavo a rompere le scatole a Suso con sceneggiature già fatte, chiedendole cosa ci fosse da cambiare, e lei mi faceva delle note molto utili. Ma non abbiamo mai fatto un film insieme”. “Ah beh” borbotta ironicamente Monicellise non è lavoro questo…”.

IL CINEMA È SPECCHIO DEI TEMPI

In chiusura c’è tempo ancora per Rosi per una tirata su cosa sia il cinema oggi, sul continuo confronto che si fa con il passato e su perché sia diverso: “Il cinema è specchio dei tempi e tutto quello che soffriamo nello stare al mondo, lo soffriamo nel vedere i film. Ci sono quelli bellissimi che riescono ad illuminarci e ci sono quelli che seguono una tendenza diciamo più andante e accomodante, non voglio dire commerciale perché tutti i film dovrebbero essere commerciali, sono prodotti [...] Quando Suso diceva che quei film hanno raccontato l’Italia è che nel dopoguerra in Italia c’era la gente che voleva che si raccontasse l’Italia, anche se poi non è che tutti i film fossero grandi successi, perché non li capivano neanche, ma abbiamo avuto una stagione in cui gli autori dei film e i registi che si servivano di questi collaboratori, avevano non solo la voglia ma proprio l’ambizione di entrare nelle case italiane e raccontare cosa succedeva agli italiani, come facciamo a ricostruire materialmente e moralmente un paese. Di certo non è questa la tendenza oggi, ma non si può neanche dire che oggi il cinema italiano non stia raccontando la realtà italiana, perché la racconta, solo che è una realtà diversa da 50 anni fa”.

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