Conan il barbaro è cinema allo stato puro
Conan il barbaro di John Milius è grande cinema, e un esempio perfetto di come dovrebbe funzionare il racconto per immagini
Ovviamente è tutto sbagliato, e il fatto che ci voglia il tempo di un cortometraggio per sentir parlare per la prima volta il protagonista di Conan il barbaro, che trovate in streaming su Prime Video, è uno dei motivi per cui il film di Milius è ancora oggi un capolavoro.
Conan il barbaro e John Milius
Amatissimo fin dai suoi esordi negli anni Trenta, protagonista di romanzi prima e fumetti poi, era solo questione di tempo prima che Conan il barbaro arrivasse anche al cinema, un’idea che Hollywood cominciò a coltivare all’inizio degli anni Settanta; ad aiutarlo a fare il grande salto ci pensò il successo di Star Wars, che dimostrò una crescente fame non tanto per la fantascienza – genere al quale l’opera di Lucas appartiene solo tangenzialmente –, quanto per il fantasy, il viaggio dell’eroe, le storie epiche ambientate in luoghi alieni (in senso ampio). Una nuova speranza aveva dimostrato che c’era spazio (e quindi soldi) nel cuore del pubblico, oltre alla tecnologia, per creare mondi altri e riempirli di magia, creature bizzarre e paesaggi mozzafiato, e il successo dei fumetti di Conan pubblicati da Marvel convinse Conan Properties International, che gestiva tutti i diritti legati all’opera di Howard, a puntare forte sul barbaro di Cimmeria.
Conan il barbaro e l’adattamento
Sulla carta, quindi, Conan il barbaro nasce come progetto estremamente classico di adattamento di un’opera già esistente su carta, rimasticata per adeguarsi ai ritmi del cinema. Un passaggio di medium del genere può essere gestito in tanti modi: c’è l’approccio-Kubrick, che prevede di prendere il testo originale e plasmarlo a piacimento intorno a un’idea di film fino a renderlo irriconoscibile; c’è l’approccio-Harry Potter, che prevede di prendere interi brani del testo originale e farli recitare così come sono alla gente in scena, senza tenere conto del salto da libro a film.
E poi c’è l’approccio Milius-Stone, che prevede di conoscere e rispettare il materiale originale e di coglierne l’essenza più che i dettagli pratici. Conan il barbaro è la storia di un tizio enorme, fortissimo, spesso arrabbiato, con la vendetta nel cuore, che vive in un mondo altrettanto duro e crudele, fatto di deserti spazzati dal vento, montagne ripidissime e spoglie, mari sempre in tempesta, e si confronta con guerrieri, ladri, assassini, maghi, mostri e tutto il resto dell’armamentario del fantasy di cappa e spada. Conan è un vichingo in tutto tranne che nel nome – non a caso nel film si parla spesso di guerrieri le cui gesta li porteranno nel Valhalla –, e lo sguardo rivolto a nord non è solo una questione estetica ma di economia della parola.
I silenzi di Conan
Non è solo Conan a non aprire quasi mai bocca per tutto il film: l’intero mondo di Hyboria è popolato da gente che non ha quasi mai nulla da dire, e se ce l’ha lo fa con il dono della sintesi. Ancora una volta, non è una necessità o mancanza di ispirazione nella scrittura dei dialoghi: Milius vuole fare un film, non portare un romanzo al cinema, e una delle cose che i film sanno fare meglio rispetto ai libri è raccontare una storia per immagini; mostrare, non spiegare, per usare un modo di dire molto caro al mondo anglofono. Conan il barbaro è un film di mostri ma è anche un film che mostra; nei famosi venti minuti iniziali, non è solo Schwarzenegger a non spiccicare parola, ma l’intero cast, perché Milius non sente mai la necessità di far spiegare a parole quello che sta facendo vedere: il raid al villaggio, la morte dei genitori di Conan (l’equivalente cimmero dell’omicidio degli Wayne in quel famoso vicolo), il cattivissimo e fanatico Thulsa Doom e la sua passione per le decapitazioni, Conan ridotto a schiavo e costretto a combattere per intrattenere il pubblico...
Nessuna di queste cose viene relegata in un dialogo o esposta a parole: Conan il barbaro inizia che potrebbe tranquillamente essere un film muto (con una traccia sonora di urla di sfida e di dolore), nel quale il racconto per immagini è costruito in modo tale da rendere superflue le parole. Conan non tace perché è scarso a recitare: tace perché parlare non serve, perché il mondo in cui vive è tutto sommato semplice e le emozioni che lo animano lo sono altrettanto, e facilmente leggibili a meno che non stiate guardando altrove o abbiate spento la TV. Conan è un guerriero, Conan è stato ridotto a schiavo, Conan vuole vendicarsi di chi gli ha fatto tutto questo: a cosa serve farglielo spiegare quando hai a disposizione un regista come John Milius, che sa raccontare e mettere in scena la violenza, il terrore e anche la confusione della guerra come pochi altri?
Conan <3 Valeria
La superfluità dei dialoghi è illustrata alla perfezione dalla storia d’amore tra il protagonista e la guerriera Valeria, interpretata da Sandahl Bergman, un’altra come Schwarzy che al cinema ci era arrivata tangenzialmente. Se il primo infatti era un modello e culturista, la seconda era una ballerina di un metro e ottanta che aveva frequentato sporadicamente i set; il risultato è che nessuno dei due ha bisogno di mettere in mostra particolari doti recitative perché entrambi i personaggi sono scritti e definiti dalle loro azioni e non dalle loro parole. Volete un esempio facile facile? La prima scena romantica del film, un montaggio nel corso del quale Conan e Valeria fanno sesso e si innamorano, è completamente muta, e interamente costruita sugli sguardi che si lanciano (a dirla tutta, nel corso di tutto il film Conan pronuncia un totale di cinque parole rivolte a Valeria).
E la cosa funziona perché, ancora una volta, non serve parlare per spiegare che cosa i due abbiano in comune e perché tra di loro scatti la scintilla. Né è importante che né Schwarzenegger né Bergman al tempo fossero gente da Oscar: Milius riconobbe il loro due perfette facce (e corpi) da cinema, il genere di persona che riempie lo schermo con la sua semplice presenza; immaginate di stare facendo zapping e di trovarvi davanti all’improvviso una montagna di carne con i capelli da Fabio e uno spadone appoggiato sulla spalla: chi ve lo fa fare di cambiare canale? Il cinema in fondo è fatto anche di questo, di superuomini e superdonne che vivono super-avventure.
Conan il barbaro è un film di evasione nel senso più nobile del termine, è culto dell’immagine, è filosofia raccontata non da una persona con l’aria saggia e la voce profonda ma dal paesaggio, dai muscoli del protagonista; è un capolavoro per merito tanto del suo regista quanto di Ron Cobb che ha disegnato i set, ma anche di Frank Frazetta, uno degli illustratori più famosi di Conan le cui tavole Milius replica a più riprese nel corso del film. È, per dirla in pochissime parole come piacerebbe al Cimmero, cinema allo stato puro.