Come The Mandalorian ha rivoluzionato (per sempre) il concetto di maschera per i (super) eroi

In The Mandalorian la maschera È il personaggio: ecco come la serie ha cambiato per sempre il concetto di maschera per il (super) eroe

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In origine erano armature magiche che proteggevano gli eroi della letteratura cavalleresca. Oggi molti li chiamano costumi, ma i supereroi, che tanto appassionano la cultura popolare, vorrebbero che fossero chiamate “uniformi”. Le maschere dietro a cui sempre più personaggi nascondono la loro identità sono degli oggetti narrativi straordinari: sintetizzano il carattere con pochi tratti, permettono a chiunque aderisca alla storia di immergersi e convincersi di poter essere in prima persona sotto quella maschera e, non da ultimo, alimentano costantemente l’interesse attraverso nuove varianti e funzioni. La gestione dell’immagine di Spider-Man da parte dell’MCU è indice di tutto questo: con due o tre cambi di costume a film e un’infinità di varianti da produrre come giocattoli.

In The Mandalorian la maschera è il personaggio. Entrambi sono in una simbiosi quasi perfetta. Nonostante infatti il Mandaloriano sia interpretato da un volto noto come Pedro Pascal, per tutta la prima stagione non lo vediamo mai senza elmo, se non per un breve istante. Questa scelta ha avuto conseguenze anche al di fuori del mondo di fantasia con la Hollywood Foreign Press Association costretta a cambiare le regole dei Golden Globe dal momento che, secondo il regolamento, "le interpretazioni costituite dalla sola voce non possono essere candidate in nessuna categoria attoriale”. Non è più così e Pascal potrà concorrere all’ambita statuetta, ma si tratta di un indubbio segno dell’eccezionalità della scelta narrativa operata dallo showrunner John Favreau. Sì, proprio il Favreau che, nel lontano 2008 aveva di fatto inventato da zero un’inquadratura: ovvero quel primo piano impossibile all’interno dell’armatura dell’Avengers. La cinepresa si posiziona come se fosse all’interno del casco e inquadra il volto dell’attore Robert Downey Jr. nei panni di Tony Stark, circondato dai dati e dalle scritte trasmesse dal sistema operativo dell’armatura. L’immagine rispondeva alla necessità di raccontare in ogni momento cosa stava provando l’essere umano sotto la corazza, di umanizzare un supereroe fondamentalmente freddo. Né Batman né l’Uomo Ragno,  ad esempio, hanno mai avuto bisogno di questo trattamento. L’uniforme del Crociato di Gotham lascia scoperta parte del volto e lascia agio all’attore di comunicare le emozioni attraverso la metà inferiore della faccia. L’amichevole arrampicamuri di quartiere invece si priva spesso della maschera al cinema, soprattutto nei momenti più drammatici e, nella più recente trasposizione, possiede occhi meccanici espressivi tanto quanto quelli di un personaggio dei cartoon.

iron man

Tornando a The Mandalorian: Favreau ha costretto Pedro Pascal a lavorare al massimo, considerando l’interezza del corpo come strumento per esprimere le intenzioni della sceneggiatura. Ogni movimento conta. È difficile empatizzare con questo personaggio che, intenzionalmente, soprattutto all’inizio, deve essere freddo e distaccato. Ma quando, con il proseguire degli episodi, si accumulano strati di complessità nel suo sviluppo psicologico, ecco che il fatto di avere un volto di grigio d’acciaio, privo delle minime sembianze umane (non ha occhi, naso o bocca), rischia di essere un freno al coinvolgimento dello spettatore. Ma Favreau è apparso più volte consapevole dello storico passaggio in avanti che il Mandaloriano e la sua maschera rappresentano nella costruzione e nel mito dell’eroe popolare.

Nell’universo di Star Wars non si contano i personaggi con protesi artificiali o volti coperti. Darth Vader è chiaramente uno dei più iconici ma, si noti, viene privato della maschera ogni volta che all’audience viene richiesto di empatizzare con lui (nei prequel ovviamente, ma anche nella trilogia originale con la sua redenzione). L’estetica del Mandaloriano è ispirata a quella di Boba Fett ma, sebbene quest’ultimo abbia colpito al cuore la fan base, il suo minutaggio in scena è a dir poco esiguo. Nessun protagonista è mai stato per così tanto a volto coperto come in The Mandalorian.

La sua maschera però è tra le più comunicative mai viste al cinema. Parla… e mostra molto di più di quello che si creda. Questo “secondo volto” è uno scudo sia fisico che emotivo, questa sì una chiara analogia con Iron Man. Pirandellianamente è la copertura che ognuno di noi indossa. Tant’è che, durante gli “upgrade” del costume, la forza del Mandaloriano sembra risiedere in una sempre maggiore sicurezza di sé più che nella robustezza dei materiali. Il casco, asettico e “fermo”, è diametralmente opposto al volto di Baby Yoda, in continuo movimento con occhi e orecchie enormi. Il Beskar, metallo che va a comporre l’uniforme, è lucido e la luce riflette sulla superficie.

the mandalorian volume

Per realizzare questo effetto è stata creata da zero un’intera tecnologia, definita “Il volume”: si tratta di un grande pannello a Led che circonda il set di 360º e copre anche il soffitto. In questo pannello vengono caricate riproduzioni virtuali dell’ambiente del set, grazie a motori grafici potentissimi derivanti dai videogiochi. La prospettiva cambia al variare della posizione della macchina da presa. Insomma: un’estensione del set tanto quando lo è un tradizionale green screen, solamente che, in questo caso, le immagini non sono aggiunte in post produzione, ma sono visibili da tutti e già presenti al momento della ripresa. L’elmo assorbe la luce del set e la riflette come uno specchio opaco. Quando “Mando” si muove nello spazio, le figure e i colori sul suo “volto” lo seguono, cambiano, creano giochi di luci e ombre. Il set entra nel costume. L’ambiente in cui si muove inizia a caratterizzare il personaggio stesso. E l’oggetto si apre ad un’espressività prima d’ora inedita. Attraverso il suo volto non vediamo cosa prova, ma vediamo… ciò che lui vede.

Il Mandaloriano è un personaggio definito dalla sua missione che lo porta in giro della galassia. Lui è plasmato dai luoghi che visita e le vittime che incontra. Tutto questo resta fisicamente a schermo sotto forma di pezzi di ricambio o di fugaci sbavature di colore sulla sua pelle di metallo. Chissà se sarà proprio la giovane creatura verde, suo compagno di avventure, a riuscire a scalfire, per la prima volta, una crepa sulle perfette superfici inespugnabili e a fare intravedere l’umanità pulsante sotto un elmetto così apparentemente anonimo… ma mai così vivo.

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