Com’è The Amusement Park il film “proibito” sull’abuso senile diretto da George Romero

Perduto e ritrovato, The Amusement Park di George Romero è un film di denuncia sugli abusi senili. Venne ritenuto troppo estremo e nascosto

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The Amusement Park è il film “perduto” - ora ritrovato - di George Romero, fatto per sensibilizzare gli spettatori rispetto alla condizione degli anziani in America. Un lavoro di denuncia che, come tale, si esprime attraverso un linguaggio estremamente didascalico. Lo dimostra l’introduzione al film in cui viene spiegato il significato dell’opera. Si racconta che quasi tutte le persone che hanno lavorato a The Amusement Park sono volontari che provengono dalla casa di riposo e che il divertimento che hanno provato nel girare il film è l’unico momento sereno da molti mesi a quella parte.

Anche la fine non è da meno. Si tirano le fila del discorso assicurandosi di essere il più espliciti possibile. Il monito del narratore, enunciato guardando in camera, è chiaro: pensate che tutto quello che avete visto potrà capitare a voi un giorno! Iniziate a valutare già da ora che persone volete essere e come trattate gli anziani! 

Queste, che normalmente sarebbero le premesse per un film tremendo, in mano a George Romero fanno di The Amusement Park un film di propaganda estremamente inquietante. All'epoca fu uno shock tra i pochi che riuscirono a vederlo. Giudicandolo troppo estremo, i finanziatori luterani lo nascosero e ne impedirono la circolazione. Oggi è stato restaurato dalla fondazione The George A. Romero Foundation e grazie soprattutto all’impegno di Guillermo del Toro e Daniel Kraus.

Un uomo entra in una stanza bianca, trova una persona disperata, ricoperta di lividi e sangue. È simile a lui, solo che non sorride, ha gli occhi vuoti e terrorizzati. C’è una porta da attraversare, ma il protagonista viene avvisato dal suo doppio: "dietro alla porta non c’è niente, niente che ti piacerà!". Oltre la soglia c’è invece un parco di divertimenti che l’uomo inizia a esplorare con i pochi soldi che ha a disposizione. 

Romero gioca con il senso di artificialità dei luna park. Tutto sembra finto. La gioia delle famiglie è forzata, anzi, per la ricerca dell’esperienza unica ed emozionante queste persone si tramutano in freddi contenitori di carne e ossa sempre alla ricerca di sensazioni. Non tanto diversi dagli zombie. Solo che qui il paradigma è ribaltato: non è la vita che si insinua nei morti, ma la morte che accompagna i vivi.

A volte metaforicamente: sono incapaci di vedere l’anziano che cammina tra loro, lo urtano, feriscono i suoi sentimenti privandolo delle più basilari gioie, come leggere una storia a una bambina o poter chiacchierare su una panchina.

Altre volte The Amusement Park diventa esplicito: sulle montagne russe uno dei passeggeri indossa una maschera simile a quella di Halloween. La morte passeggia nel parco scegliendo le vittime che cadranno ai suoi piedi tra l’indifferenza generale.

The Amusement Park

George Romero ci va giù pesantissimo con questa danza macabra. Un j’accuse alla società americana che lascia da parte i più deboli per venerare il Dio invisibile del capitalismo sensoriale: accumulare esperienze, cercare la gioia ad ogni costo. L’eccitazione causata ai giovani, è impossibile da raggiungere per chi non ha l’età giusta per correre, arrivare per primo, sfiancarsi dietro al nulla. Il protagonista ferito, ma vestito con una commovente eleganza, come se volesse essere ben presentabile per restare ancora in società, è usato come un’attrazione.

Gli succede di tutto, e Romero ci appiccica così tanto alla sua emotività che la visione risulta pienamente orrorifica nonostante il film sia ben poco grafico o terrorizzante. The Amusement Park è difficile da vedere per quanto esplora in profondità l’orrore morale. Non quello soprannaturale, ma la distorsione dei valori che si può riconoscere in una persona qualsiasi che cammina accanto a noi.

Non c’è uno sviluppo lineare dei fatti. Come nel sogno di Il posto delle fragole di Bergman l’anziano agisce per istinto, ma non capisce il perché. E come in Funny Games la violenza che gli viene esercitata non ha una ragione, è puro intrattenimento. È così inserita nei meccanismi della società che gli aguzzini non la riconoscono nemmeno.

Nel momento più straziante di The Amusement Park l’uomo riesce a trovare uno sguardo amico in una bambina. Le siede accanto sfinito e pieno di tagli. Lei compie l’unico atto di gentilezza nei suoi confronti, gli dà da mangiare. Poi la piccola fa un gesto ancora più benefico nei confronti dell’anziano: gli chiede di leggerle una storia. Lo rende così utile, lo inserisce nel meccanismo capitalista fatto di azioni e scopi. I genitori invece, senza notare la scena, si alzano. Il picnic è finito. Prendono la bambina per mano e la portano alla prossima esperienza, ignorando il vecchio che, piangente, chiede la pietà di essere visto. 

L’intero film ha questo aspetto di parabola brutale. Uno sfogo fatto di immagini che ha la stessa potenza persuasiva di una scritta su un muro. Ma la forza di quelle che Romero va a creare alleggeriscono l’intento moraleggiante e ne fanno un viaggio nei lati oscuri della realtà ispiratissimo.

The Amusement Park non è solo la vita stessa, ma è anche il parco giochi per il regista che più ha saputo trovare l’orrore nel meccanismo che guida le giornate delle persone inserite nelle strutture civili. È mostrando l’inciviltà delle stesse che Romero fa sentire che la sicurezza che ci avvolge è destinata a squarciarsi con l’avanzare dell’età. Anche chi è al centro della scena oggi, domani sarà scalzato. E questa è una delle paure più forti di sempre dopo la morte, e Romero è riuscito a catturarla nella rovinata pellicola: il terrore di non servire più alle altre persone, e per questo essere dimenticato, non visto, a piangere sanguinante in un angolo.

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