Come sopravvivere alla Fabbrica di cioccolato di Tim Burton 

Se avete sciaguratamente vinto il biglietto d'oro per la fabbrica di cioccolato dovete imparare le regole per sopravvivere alla visita

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Il biglietto d’oro per la fabbrica di cioccolato è la fine del sogno e l'inizio dell’incubo. Il delitto perfetto, quello che le vittime cercano spontaneamente, ignare di ciò che le aspetta. Una convocazione desiderata, per cui addirittura alcuni hanno fatto carte false, in cui la destinazione è una gabbia fatta di colorante e inquietanti canzoni. La fabbrica di cioccolato di Tim Burton (o, per meglio dire, di Willy Wonka) diverte i bambini. Sia quelli che entrano nell’edificio che quelli che guardano il film. Agli adulti appare però l’orrorifica verità: Wonka è un imprenditore psicologicamente instabile, i suoi ospiti, maleducati e viziati, sono per lui un modo per superare i suoi traumi del passato. Ma a che costo?

Ora che il film del 2005 è arrivato su Netflix è necessario rispolverare qualche utile istruzione per sopravvivere alla Fabbrica di cioccolato e uscire indenni, proprio come ha fatto Charlie. Magari cambierà addirittura la propria vita.

Regola 1: attenti all’accompagnatore

Avete vinto voi il biglietto d’oro, ma vi è concesso un +1. Sceglietelo con attenzione. Willy Wonka condivide la genialità di Elon Musk. Possiede anche lo stesso carattere imprevedibile e muscolare. Paranoico, vede traditori ovunque. La prima cosa da fare, nonostante si sia stati invitati, è presentarsi dimostrandosi non ostili. È importante mantenere un atteggiamento passivo all’interno della sua fabbrica\casa. Finché si tratta di bambini, non è un grosso problema, li sa gestire. Wonka percepisce invece come minaccia da sopprimere i genitori. 

Traumatizzato da un’infanzia di torture, in cui il padre dentista gli ha infilato in testa un apparecchio ispirato da saw l’enigmista, prova un inconscio senso di vendetta verso le figure genitoriali. Charlie, brillantemente, ha schivato questo pericolo portando suo nonno, un anziano fragile e per nulla temibile. Prossimo alla morte, si è ripreso fisicamente (quasi per miracolo) alla sola idea di poter entrare nella fabbrica. Moralmente ineccepibile secondo il padrone di casa.

Il concorso è fatto per la ricerca di un erede. Nasce dalla consapevolezza di stare invecchiando (nonostante evidenti interventi di chirurgia plastica che rendono la pelle liscia e senza rughe). Un genitore attaccato al figlio, o viceversa, è un ostacolo. La famiglia non può, per lui, venire prima dell’azienda. Già la ripresa è faticosa, la concorrenza è accesa, bisogna ritornare a fare profitto alla svelta. Come amano dire gli imprenditori: a cosa serve una famiglia se al lavoro c’è una mentalità famigliare? 

Così le colpe dei figli ricadono su chi li ha educati (male). Tutti loro amano il prodotto, sono conoscitori esperti. Però mancano della mentalità giusta per rispettare la tradizione, sono avventati e irrispettosi. Hanno idee proprie sul da farsi. La colpa è di chi li ha cresciuti e per questo il contrappasso scende impietoso anche per qualcuno di loro. 

Regola 2: colori e simmetria sono un pericolo

Alla regia della Fabbrica di cioccolato c’è Tim Burton. Un regista che comunica i sentimenti al contrario di ciò che si vede. Le linee spezzate, i colori grigi, la povertà disordinata, sono dei segnalatori positivi. Quando gli edifici si curvano e perdono la simmetria, significa che siamo in un luogo abitato da persone vere. 

I colori dei dolciumi sono come le sirene per Ulisse. Una prova di resistenza. Nonostante gli inviti del proprietario i bambini sono lì per visitare il luogo e vedere i processi produttivi, non certo per abbuffarsi! Infatti Charlie, che più di tutti avrebbe fame, si trattiene e ne esce indenne. Chi assaggia le sostanze lì create ne diventa dipendente fino a cadere nel fiume di cioccolato o ha una reazione allergica quasi letale. Viene da pensare che siano lì come cavie, primi consumatori di prodotti non sicuri.

Fuori regna il freddo e il grigiore, dentro una finta allegria. Come ama mettere in scena Tim Burton, la felicità è da guardare con sospetto perché, spesso, è una finzione. La realtà è pericolante e depressa, ma almeno è sincera.

Regola 3: pensa come un boomer

Come torturatore Willy Wonka ha una sua etica. È stato un ribelle a suo tempo, ora vorrebbe instillare nel mondo la sua moralità. Inizia dai suoi ospiti. Adeguarsi o subire. Nessuno muore nella sua fabbrica, si rischiano però gravi menomazioni. Come il protagonista di un torture porn, il Wonka di Johnny Depp sorride, sadico, come se avesse combinato un pasticcio. I suoi macchinari sono in realtà poco sicuri, propensi agli incidenti. Non un pensiero alle implicazioni legali di ciò che subiscono i minorenni attaccati e gettati nell’inceneritore da un gruppo di scoiattoli o teletrasportati dentro un televisore\ologramma.

Un po’ complottista, è circondato da una rete di persone che gli danno ragione, rafforzando le sue convinzioni arcaiche. La televisione fa male, ruba la fantasia. Bisogna rispettare le regole (quando lui fu il primo a infrangerle), il contegno è importante. Wonka non va contraddetto. L’unico modo per non venire segretamente puniti tramite incidenti di percorso (sospettiamo per nulla casuali), è dargli ragione: si stava meglio un tempo. I giovani d’oggi sono dei buoni a nulla. Che fine hanno fatto i vecchi valori? Oggi tutti rubano e copiano. Fanno spionaggio industriale.

Però lui per la prima volta ha scoperto il marketing. Con il concorso ha rilanciato le vendite delle barrette di cioccolato. Contento dei risultati trimestrali, si atteggia come se avesse scoperto il trucco per vincere nel duro mercato. Arriva tardi ma almeno arriva. Per questo non va contraddetto. Signora mia, dove andremo a finire. 

Regola 4: non essere woke

Sfruttamento degli animali, deportazione della popolazione indigena degli Umpa Lumpa. Appropriazione culturale. Quote rosa a zero nell’azienda. Salari discutibili. Atteggiamenti ambigui con i dipendenti. Violenze.

Per stare nella Fabbrica di cioccolato, prima della moderna riorganizzazione fatta da Charlie, si doveva mettere da parte l'idea di creare un ambiente di lavoro accogliente e sicuro. Pacche sulle spalle, battute inopportune, scatti di carriera secondo criteri arbitrari (la promozione del bambino). Si sta in azienda come si stava un tempo. Il dipendente deve accettarlo o può andare da un’altra parte. 

Ah, bisogna anche essere disposti a lavorare molte ore, a dormire sul luogo e fare parecchi straordinari. Non è un posto per tutti. Charlie è per questo coraggiosissimo quando antepone la famiglia al suo lavoro. Probabilmente perché rimasto senza alternative, ma è bello pensare che si sia stato un ravvedimento, l’imprenditore ascolta il ragazzo. Accetta la sua posizione. Decide comunque di permettergli un tenore di vita migliore, in cambio riceve un posto dove stare e persone che gli vogliono bene. Fino a scadenza del contratto.

La fabbrica di cioccolato è un luogo temibile. Non è semplice attraversarla indenni. La cronaca ha raccontato di traumi fisici e mentali riportati dai bambini che hanno attraversato quelle stanze. Ad oggi però le cose sono cambiate. Gli affari vanno a gonfie vele e la carta dei valori è stata aggiornata con uno stampo più moderno e responsabile anche in senso ecologista. Il fondatore oggi è visto con un certo imbarazzo e taciuto nei comunicati ufficiali. In recenti interviste è stata presa distanza dal passato. I fatti del concorso restano però una pagina nera per la fabbrica di cioccolato. Per fortuna senza vittime. 

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