Ora ne sappiamo un po' di più su come Sergio Castellitto intende fare il presidente del Centro Sperimentale
A giudicare dalle prime uscite la gestione di Sergio Castellitto del Centro Sperimentale sarà improntata a una forte apertura all'esterno
Nel presentare un evento didattico e culturale intitolato Diaspore: artisti in guerra, Sergio Castellitto ha lasciato trapelare il suo approccio a diversi temi che riguardano il Centro Sperimentale
Il tema, la diaspora degli artisti in guerra, è una maniera per raccontare l’evento culturale e formativo indetto dal Centro e aperto al pubblico che si svolgerà dal 19 al 21 giugno (qui per partecipare): “Non una cosa sul cinema dei telefoni bianchi o sulla grandezza della commedia italiana, ma su qualcosa che accade ed è tra di noi” ci tiene a precisare Castellitto, un evento in cui ci saranno le proiezioni di film di autori che provengono da paesi in guerra con gli autori stessi ad accompagnarli. Tra gli ospiti ci saranno lo scrittore israeliano David Grossman, Hagai Levi (regista delle versioni israeliane di In Treatment e The Affair), Michel Khleifi (primo regista di sempre della Palestina), Maryna Er Gorbach (regista ucraina di Klondike) e Aleksandr Sokurov.
La linea guida nel complesso è stata quella di ricostruire, rifondare, riprogettare e cambiare alcune cose del Centro Sperimentale, non nella didattica o nell’organizzazione, ma specialmente nella maniera in cui si relaziona al pubblico, alla stampa e come si apre e anche come collabora internamente. Una delle prime considerazioni di Castellitto è stata:
“Guernica non ha fermato le guerre, figuriamoci se possiamo fermarle noi. Non abbiamo nessuna intenzione di modificare o cambiare, noi offriamo il pasto caldo di un microfono durante una guerra. Non siamo qui per stabilire chi ha ragione e chi ha torto, il mio augurio più grande è che un produttore italiano decidesse di produrre un film a uno di questi registi che inviteremo. Lo specifico del nostro lavoro e della nostra arte sta nella cosa in sé, in questo caso nel film”.
A questo ha risposto Albinati:
“A Dieudo Hamadi [regista congolese che è tra gli invitati ndr], venne chiesto che posto avesse il regista nella sua società. Rispose che non ne aveva uno e di non sapere quindi quale fosse il suo ruolo. Penso che dovremmo chiedercelo anche noi in Europa, che ruolo abbiano i registi. Poi Amadì una risposta l’ha data dicendo che il suo posto è dove mettere la macchina da presa, perché è la cosa che sa fare”.
In questo scambio c’è molto del succo di questa conversazione, cioè la rivendicazione fatta in maniere diverse da Sergio Castellitto (e appoggiata da Albinati) del cinema o della produzione artistica più in generale per il cinema, cioè dell’autonomia del cinema anche quando si parla di guerra, di attualità, di cose che possono o non possono incidere. È l’esaltazione dell’esercizio del fare cinema a prescindere dall’idea di un effetto sul mondo: “Dobbiamo avere coscienza dell’eventuale inutilità del nostro gesto” ha detto a un certo punto. E ancora sui gusti del presidente quando si parla di film che affrontano temi come la guerra:
“Come spettatore tendo ad amare i film che raccontano più simbolicamente certi soggetti, come per esempio Lebanon, tutto girato in un carro armato. Trovo che il dato simbolico, cioè un’opera astratta come Guernica, sia più potente e politico e più aggressivo e porti più senso della giustizia di quello realista. Che in un certo senso un approccio dadaista sia più significativo di uno realistico. Senza nulla levare a reportage straordinari e quant’altro. L’evento percorrerà tutte le strade e avremo documentari e reportage con potenza emotiva superiore a certi film di fiction”.
In sala era presente la giornalista di guerra Francesca Mannocchi che sarà anche protagonista di un incontro.