Come i film di Batman hanno (quasi) sempre dato una spinta avanti al genere supereroistico

Spesso Batman al cinema ha fatto fare un salto in avanti nella complessità del genere supereroistico. Ecco le volte in cui ha cambiato tutto

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La storia editoriale di Batman al cinema è praticamente quella di un condottiero che apre piste mai battute prima. Un supereroe all’avanguardia che non solo è riuscito prima di tutti a mettere un piede nel mondo audiovisivo e a essere influente, ma che continua ad essere un punto di riferimento. È una proprietà sicura, che raramente fallisce al botteghino, ma è anche una figura che ha il costante bisogno di rilanciarsi. Ogni interpretazione deve leggere il periodo storico, capire le mode e precederle. Quando ce la fa, fa scuola.

Per questo motivo ad ogni nuovo film sul Crociato di Gotham non viene chiesto di essere semplicemente buono. No, deve essere anche originale. È necessario che abbia una personalità ben definita e, magari, insieme a una storia appassionante ed effetti visivi all’avanguardia, che porti avanti lo studio sulla tecnica e la messa in scena dei cinecomic.

È facile capire perché sia proprio Batman il personaggio ideale per essere la punta dell' iceberg delle proprietà passate dalla carta alla celluloide. Superman certamente è l’archetipo ideale del supereroe, ma è talmente iconico da essersi auto limitato a un immaginario per lo più statico. Batman invece è libero perché è a cavallo tra i generi.

L’alter ego di Bruce Wayne è prima di tutto un detective, poi un avventuriero, infine un uomo che ha vissuto terribili drammi. Una dimensione complessa che lo rende malleabile e adattabile a diversi scenari. Ispirato su carta a Sherlock Holmes e Zorro, devia rapidamente per diventare una sorta di Humphrey Bogart dai metodi più bruschi. Gli autori capiscono la sua oscurità e la dipingono nel nero di china, o nelle ombre della pellicola.

Ma non è sempre stato così.

Batman Adam West

Nel 1966 Batman di Adam West, diretto da Leslie Martinson, era diversissimo rispetto alle declinazioni più recenti. Memetico, risibile, straniante, eppure le sue avventure “camp” hanno pienamente senso se inserite nel contesto dell’epoca. O se amate per quello che sono. Coloratissimo ed esagerato, il film (tratto dalla serie tv) fu uno dei primi tentativi di trovare un codice che potesse tradurre il linguaggio “fermo” delle tavole in quello in movimento. Nonché uno dei più significativi. Gli autori scelsero la strada più semplice: la traduzione traslata. Nei fumetti ci sono le onomatopee? Perché non inserire anche nelle immagini? I disegni dilatano il tempo? E allora perché non far correre l’eroe con una bomba per interminabili minuti?

Erano anni in cui i fumetti da edicola erano considerati "roba da ragazzini". Associarli alla letteratura era fuori discussione. Anzi, la portata sovversiva del mezzo era ancora fiaccata dalle teorie dello psichiatra Fredric Wertham che negli anni ’50 sostenne una tesi sui presunti danni allo sviluppo dei bambini causati da questi ultimi. In televisione e al cinema la risposta alle accuse fu quella di infantilizzare le storie tratte dagli albi, renderle innocue nei contenuti. O di andare nell’estremo opposto (incredibile pensare che tra i primi adattamenti dai fumetti ci furono Felix il gatto e Barbarella).

Per l’uomo pipistrello bastarono un set delirante e l'intuito di Adam West a cambiare le sue sorti. L’attore aveva notato il potenziale comico della produzione e aveva spinto su quello. Uomini adulti vestiti con costumi bizzarri e scomodi che recitavano battute assurde, retoriche e artificiali. Però si divertivano un mondo. E allora nel clima pazzesco che si venne a creare si formò uno stile ben preciso. Nella leggerezza il suo Batman si è imposto come modello per le trasposizioni. La materia “bassa” poteva essere accolta e sbandierata con gioioso entusiasmo.

Questa linea di pensiero durò per molti anni. Ci fu il Superman di Donner, che ingaggiava attori dal cachet record (Marlon Brando) e sperimentava nuovi effetti speciali. Ma fu un fuoco che restò isolato e si affievolì con il tempo. Non abbandonò mai la sua giocosità.

Quando Tim Burton prese in mano il personaggio iniziò una nuova onda che cancellò tutto ciò che era stato fatto prima e “resettò” il genere agli occhi del pubblico. Gli regalò una nuova reputazione. Il suo film non era solo dark e oscuro, ma possedeva anche un tono personale, una mano autoriale. La vicenda narrata continua ad essere una bizzarria esagerata, ma Burton crea una cornice espressionista per contenerla, dare un tono uniforme e indimenticabile.

Porta in primo piano l’elemento noir del personaggio e lo traduce in azione guadando a un passato "storico". Prende il genere che, nella storia del cinema americano, si diramò a partire dalle visioni in ambito tedesco di Wiene, Murnau e Lang. Così Batman (1989), ma soprattutto Batman - Il ritorno (1992) interpretano gli elementi polizieschi riportandoli indietro alla loro prima attestazione: l’espressionismo tedesco. Ombre, leggende, architetture da brivido. Gotham sembra Metropolis.

Batman Burton

Per i produttori, quello che fece Tim Burton fu impossibile da ignorare. Aveva dimostrato che il lavoro fatto da Richard Donner con le storie dell’uomo d’acciaio (che avevano grandi aspirazioni commerciali molto più popolari) poteva essere rilanciato e raddoppiato in senso ancora più “alto”.

Finita l’era Burton Joel Schumacher andò nella direzione completamente opposta. Abbraccia la natura di fumetto, recupera colori sgargianti e un’impostazione meno precisa della storia con il suo Batman Forever. Un film imperfetto, sicuramente inferiore rispetto ai precedenti, ma con una personalità altrettanto evidente. La visione è chiara (un po’ meno nel successivo Batman & Robin) e, per quanto contestabile, mai generica.

Con la fine dell’era Burton la Warner iniziò a riavvicinare il supereroe alle famiglie. Fu tra gli iniziatori di una grande migrazione di film ad alto budget dal box office dei cinema alle casse dei negozi di giocattoli. Il successo smise di essere valutato solo sui biglietti strappati: si contavano anche i gadget e i prodotti collaterali venduti nell’anno.

Il Batman crossmediale fu anche uno dei primi a fare questo salto. Non più solamente a cavallo tra atmosfere narrative, ma anche “esploso” in una galassia aperta e fatta di fumetti, giochi e videogiochi, zaini, scarpe e costumi di carnevale. Andare al cinema doveva essere un’introduzione a un mondo di intrattenimento figlio delle ricerche di mercato e di target ben più famigliari. Questa pratica durò un decennio, e man mano diventò più discreta. L’Uomo Pipistrello fu uno dei principali interpreti della tendenza, e fu uno di quei personaggi che aiutarono a terminarla.

Nel 2005 Christopher Nolan con Batman Begins liberò il personaggio (e il pubblico) da questa schiavitù. Certo, l’uomo pipistrello continuò - e continua tutt’ora - a vendere. Ma la sua trilogia riportò al centro il film, meno i giocattoli. Fu un terremoto senza vittime che ridisegnò la geografia dei fumetti sul grande schermo.

Quando arrivò Il Cavaliere Oscuro, Nolan staccò il cordone ombelicale che legava le trasposizioni alla lunga continuity cartacea. Tim Burton aveva dato prova di poter maneggiare il materiale imprimendo la propria identità. Ora Batman prendeva i supereroi e ne toglieva il nome dal titolo. Li portava in un’altra categoria: quella degli Oscar.

L’approccio realistico aveva accompagnato il pubblico degli anni ’90 verso l’odierna età d’oro del cinecomic. Nel Joker di Heath Ledger si scorgeva tutta l’inquietudine del mondo post 11 settembre. Le avventure non erano più sopra la realtà, anzi, processano la cronaca e la rendono storia.

Nessuna campagna di marketing fu come quella del Cavaliere Oscuro. Il film venne promosso tramite una complessa ARG (Alternate Reality Game). Un gioco per le strade di tutto il mondo, una caccia al tesoro che ha diviso i fan i due fazioni, quella dei buoni e dei cattivi. Ha espanso la storia, ha coinvolto la community del Comic-Con e quella online. Le strade si colorarono delle scritte del Joker. Il film, ancora prima di arrivare in sala, era uscito nelle strade creando uno dei più grandi eventi mediatici della storia del cinema.

Seguirono anni di crescita pazzesca. Con l’esplosione del successo Marvel la DC tentò una strada diversa. La concorrenza era solare e divertente, allora l’oscurità di Gotham doveva essere ancora più densa. Il Batman (v Superman) di Zack Snyder non ebbe certo quella forza (s)travolgente dei suoi predecessori. Fu amatissimo e odiatissimo in egual misura. Divisivo come mai prima d'ora.

Riuscì però anche lui ad anticipare un trend, a trovare un suo tratto distintivo che verrà poi imitato e replicato da molti. Il Bruce Wayne di questi film è stanco e disilluso. Arriva in un momento di decostruzione del patriottismo e dell’esemplarità delle maschere e dei costumi. "Old Man Wayne", viene da pensare guardando il guerriero stanco trascinarsi verso quella che potrebbe essere l’ultima battaglia.

Nasce un intero filone che segue questa intuizione. Personaggi storici ora stanchi, afflitti, che sembrano avere detto tutto. Le storie di oggi sono piene di seconde generazioni, di passaggi di consegna, proprio come vuole fare quel vecchio Batman che si trova ad affrontare il nuovo Superman. Ogni ferita racconta una storia.

Il futuro è incerto, ma verrebbe da scommettere che sarà assai roseo. Le notizie trapelate non sono sufficienti a prevedere se il nuovo film con Robert Pattinson sarà in grado di fare un’altra rivoluzione. Sembra però che il prossimo Batman di tagli non ne avrà collezionati ancora molti. Si ritornerà a una versione più giovane in quello che promette di essere un thriller puro (e duro). Un nuovo inizio che si dovrà confrontare (non direttamente, ma sicuramente nel giudizio del pubblico) con Michael Keaton che riprenderà i panni di Bruce Wayne nel futuro film di Flash. Una follia, apparentemente, avvicinare così tanto nell’immaginario due versioni così distanti. Ma anche l’ennesima prova di come questo personaggio sia per natura uno che scommette alto. Uno che rilancia sempre più in là al cinema, che rischia molto e che vince quasi sempre. Perché è un passo in avanti.

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