Come ha fatto la Pixar a diventare marginale?

Con il flop di Elemental si apre una nuova stagione: quella della ricerca delle ragioni. Perché la Pixar ha perso il polso del suo pubblico?

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C’è stato un tempo in cui ogni opera Pixar arrivava in sala accolta come il film d’animazione più importante dell’anno. L’anno dopo ancora. E quello successivo anche. Facevano soldi, vendevano giocattoli e portavano sempre un passo in avanti ciò che si poteva fare con l’animazione a computer. L’età dell’oro. 

Oggi per la Pixar è difficile capire che età stia attraversando. Sicuramente una di passaggio, dopo l’allontanamento di John Lasseter a seguito di comportamenti inappropriati sul luogo di lavoro. Al suo posto di direttore creativo è subentrato Pete Docter il cui talento è fuori discussione. Forse maggiore addirittura di quello di Lasseter da un punto di vista registico (guardate quanti film ha diretto tra quelli che abbiamo inserito nei migliori film Pixar da vedere). Il suo carattere da creativo deve però ancora dimostrare di essere applicabile al ruolo dirigenziale. Le doti richieste sono spesso molto diverse.

Ha preso le redini in un momento storico in cui anche i progetti degli studi più solidi e consolidati sono andati gambe all’aria. Ci fu la pandemia, ma anche l’aumento della concorrenza. Sia quella esterna che quella interna con i Walt Disney Animation Studios, supervisionati da Lasseter stesso, che avevano infilato una serie di hit una dietro l’altra. 

La tensione già alta andò alle stelle quando, durante, ma soprattutto dopo lo stop alle uscite cinematografiche per il Covid-19, Disney “sacrificò” i film Pixar concedendogli l’uscita esclusiva su Disney Plus. Per gli analisti era un modo per dare lustro alla piattaforma. Creò però del malcontento tra gli animatori che appare ancora non del tutto sfogato. 

Pete Docter ha infatti recentemente accusato la Disney di avere “abituato il pubblico a vedere queste grandi novità direttamente su Disney Plus”, variando anche la percezione del prezzo del biglietto per le famiglie, rendendo molto più conveniente aspettare. Docter è stato chiaro: “stiamo cercando di fare in modo che il pubblico capisca che rischia di perdersi un’esperienza incredibile se non vede un film sul grande schermo”. Il lavoro da fare, visto il clamoroso insuccesso di Elemental, è ancora molto.

Che cosa sta succedendo alla Pixar?

Lo studio di Emeryville ha impostato il suo flusso di lavoro come un ecosistema creativo molto delicato. In quanto tale infatti è anche piuttosto fragile. Lasseter negli anni sulla cresta dell’onda è riuscito a difenderlo dalle pressioni esterne. Il metodo Pixar è fatto di tentativi sottoposti al “braintrust”, un ampio comitato di creativi che mette sotto processo ogni idea. Qualcosa passa, molto altro viene scartato. Così per ogni fase creativa, si crea un dialogo serrato in ogni reparto. Se qualcosa non funziona, si può cambiare regista in corsa, riscrivere, rigirare. Finché questo metodo costosissimo portava più denaro di quanto ne drenava, era facile accettarlo. 

L’analista Matthew Belloni l’ha chiamato il paradosso Pixar. Con i flop di Onward ma soprattutto di Lightyear, le cose in Disney sono cambiate. Pare infatti che lasciar fare “la Pixar” alla Pixar non sia più considerata all’unanimità una buona idea nei piani alti. Un tempo ci sarebbe stato un muro, a difesa oggi il team interno allo studio è più che mai diviso. Con la vecchia generazione andata, i nuovi si ritrovano in una spirale da cui è difficile uscire. Servirebbe un successo netto, come ai vecchi tempi, senza però avere più a disposizione budget esorbitanti e soprattutto il tempo. 

Invece la ristrutturazione aziendale post pandemica ha portato a dei tagli al personale (molto rari per la Pixar) e a un paradossale aumento di lavoro. La Disney sta puntando molto sui prodotti da mettere su Disney Plus che abbiano però il certificato di qualità Pixar. Così lo studio si ritrova al lavoro sulla serie Win or Lose e, secondo i rumor, anche su una seconda serie basata sul mondo di Inside Out. Esattamente l'opposto di quello di cui avrebbe bisogno ora.

Il mercato è cambiato?

È veramente colpa della Pixar quello che le sta succedendo o è il vento del mercato che sta cambiando giro? È questa la domanda che si stanno ponendo gli analisti e che Docter deve risolvere al più presto.

I recenti successi di Super Mario Bros. - Il film e Il gatto con gli stivali 2 - L'ultimo desiderio sono la conferma che c'è ancora spazio per la fruizione di storie animate sul grande schermo nelle scelte delle famiglie. C'è comunque un problema che potrebbe però non riguardare solo Disney, ovvero la casa più in difficoltà negli ultimi anni (LEGGI QUI TUTTI I DETTAGLI). 

L’ottimo risultato di Spider-Man: Across the Spider-Verse si somma a una serie di successi di film di animazione che derivano però (solo ed esclusivamente) da proprietà intellettuali già ben affermate. Il metodo Pixar va contro questa tendenza. Sin dalle origini la regola è: realizzare idee nuove, fare sequel solo quando si ha tra le mani il film giusto. Per rialzarsi la Pixar dovrà però forzare la mano sul secondo punto, cercando di rivitalizzare i personaggi più celebri e contemporaneamente portare a casa un trionfo netto al botteghino. Infine non resta che sperare che la disattenzione verso i nuovi personaggi sia gestibile con qualche accorgimento e non sistemico.

Quando il mercato cambia, si può perdere il polso dei desideri degli spettatori. È molto difficile recuperarlo. La Pixar non sarebbe certo la prima a scendere dal treno in corsa senza riuscire a risalirci. 

E se l’anomalia fosse stato il successo della Pixar?

Disney Plus per le sperimentazioni, la ricerca e l’innovazione. La sala per i prodotti più sicuri, fatti per il pubblico. Potrebbe essere questa la strategia futura adottata dalla Disney per recuperare terreno. Una nuova collocazione quindi per la Pixar e i Disney Animation Studios che spingerebbe sulle differenti identità evitando una concorrenza diretta. 

L’effettiva applicazione è ancora tutta da vedere, ma sta suscitando una domanda negli analisti: e se l’anomalia del mercato fosse stato proprio il successo Pixar? In fondo, girando in questo modo l’interrogativo, si giustificherebbe il successo di film più tradizionali e meno sperimentali come quelli della Illumination. 

WALL•E aveva un primo atto muto e angosciante su una terra distrutta. UP parla di un vedovo, la storia con Ellie è estremamente adulta (i due non riescono ad avere un figlio). Inside Out parla di emozioni da un punto di vista di analisi psicologica, arriva a mostrare i processi del subconscio. Toy Story 3 è così drammatico che a qualcuno ha ricordato una metafora dell’olocausto. Insomma: opere complesse, sperimentali. Quando le hanno fatte gli altri studi, sono rimaste in una nicchia. Per avere un colpo d’occhio basta guardare le nomination a miglior film di animazione degli ultimi 20 anni. Insieme al blockbuster Pixar ci sono sempre piccole opere animate di grande valore, spesso conosciute solo da una piccola nicchia di appassionati. 

Allora per riuscire a decifrare il mistero dietro alla perdita della magia dello studio bisogna prima sciogliere il più ostico dei nodi. È la Pixar che non è più quella di una volta, o sono gli spettatori che cercano qualcosa di diverso?

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