Comandante parte dalla retorica italiana per raccontare la complessità degli uomini in guerra

Comandante di Edoardo De Angelis è pieno di retorica nei dialoghi dei personaggi. Ma è proprio questo il punto di quello che racconta

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Nel momento culmine di Comandante il capitano del piroscafo belga Kabalo chiede a Salvatore Todaro: “Perché ci avete salvati?”. L’uomo, che li ha ospitati sul sommergibile Cappellini risponde: “Perché siamo italiani!”.

È un momento cinematografico agghiacciante. Una retorica devastante, che arriva in faccia come un pugno o come delle unghie che stridono alla lavagna. Solo che è tutto vero. Le frasi sono state pronunciate realmente. Anzi, pare che Todaro abbia anche aggiunto: “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”. Edoardo De Angelis mostra in questa scena tutto il suo intuito cinematografico. Fa di Comandante un film dal respiro internazionale (seppur come seconda scelta, ha comunque aperto la Mostra del Cinema di Venezia), ma profondamente radicato nella cultura italiana, nella nostra umanità e… nella nostra retorica.

Rivisitare i miti italiani

Quanti film italiani sono riusciti ad entrare nel dibattito politico durante il 2023! Comandante è stato uno dei primi. Seguito da Nata per te (con molto meno clamore mediatico, ma con grande forza cinematografica)e, ovviamente, da C’è ancora domani, ma anche dalla denuncia di Cento domeniche o dall’immigrazione di Io capitano. Tutti titoli che sono riusciti a prendere temi caldi nello stivale e a dare il loro punto di vista. Qualcuno facendo molto parlare (è il caso di Paola Cortellesi) altri riuscendo meno di quanto avrebbero voluto (Antonio Albanese, ma anche Michele Riondino con Palazzina Laf). Nessuno però ha subìto il trattamento di Comandante

Sin dal red carpet, ancora prima che il contenuto del film venisse visto dal pubblico, aleggiava la domanda: un eroe del ventennio può essere un eroe italiano? Perché Todaro non è Captain America, un supersoldato modello senza macchia. È italiano, come dice lui, con tutte le contraddizioni e le fragilità che si porta con sé. Soffre, lancinato dai dolori di un incidente precedente, ma non lo dà a vedere nel sommergibile. Spara al nemico, ma poi non lo lascia annegare. È un uomo di mare, non di guerra. E questo fa tutta la differenza.

Comandante racconta l’affondamento del Kabalo il 16 ottobre 1940 e il salvataggio di ventisei naufraghi. Un fatto che portò tensioni tra Italia e Belgio, una medaglia al valore militare per Todaro e che divenne un esempio virtuoso ricordato nella tradizione della Marina. De Angelis sbilancia però la sceneggiatura. Gestisce la prima parte come se fosse un poema. Ci sono le voci fuori campo agganciate ai pensieri delle donne che vedono gli uomini partire e dei soldati stessi che non vogliono morire. Si prende tanto tempo per mostrare non solo come si faceva la guerra, ma cosa fa la guerra alle persone. 

Favino interpreta Todaro come un uomo all’interno di una profezia che nemmeno lui ha ben compreso (è l’idea migliore del film). Una figura quasi profetica per i suoi sottoposti. Un mito, di stampo tutto italiano.

Un vero Comandante si prende dei rischi

Probabilmente Edoardo De Angelis sapeva di non poter far funzionare tutto di Comandante, ma l’ha fatto lo stesso. È incredibile che il film sia costato solo 14 milioni di euro (una tirata d’orecchie ai 29 milioni di Finalmente l’alba). Tanti per una produzione di questo tipo, pochi per fare un film di guerra. Un po’ si vede. Manca anche la capacità di diventare veramente nuovi, andando ad appoggiarsi un po’ troppo nelle scene di tensione sui trucchi usati e abusati oltreoceano. Con un andamento altalenante e con un focus sul cuore della storia che arriva tardi, De Angelis ha voluto mettere le mani lo stesso sulla storia di Todaro. Insieme a lui molti altri che di cinema non si occupano. 

Perché alla fine è facile, e bello, prendere dei fatti come questi, vederli ingigantiti dalla potenza del cinema, e sviscerarli secondo il proprio modo di ragionare. Todaro era un eroe da ricordare o è parte di una storia vergognosa d’Italia da tenere sotto silenzio? Intendiamoci, non serve una particolare arguzia per comprendere quanto gran parte del chiacchiericcio polemico, e politico, attorno al film sia pretestuoso e vuoto. Il messaggio pacifista del film è chiaro, così come chiara è la voglia di scavare nel mito militare italiano e tirarne fuori una storia che possa avere rimandi attuali, che possa interagire con la cronaca e con ciò che siamo ora. Però è proprio quello che si è detto di Comandante a rendere Comandante un film prezioso nell’annata cinematografica italiana. 

Frasi fatte, parole semplici, persone complesse

Che bello il rischio di essere controversi. Finalmente un’idea cinematografica che non vuole unire il più vasto pubblico possibile sotto un ampio mantello di buonsenso, ma che è costruita interamente alle discussioni che può generare fuori dalla sala. Chi era veramente Todaro? Chi erano gli uomini del suo equipaggio? Quali laceranti contraddizioni portano al loro interno? È il cinema di guerra made in Italy: immagini che mostrano la retorica degli uomini dell’epoca, il loro bisogno di mostrarsi netti, sicuri, saldi. Così facendo raccontano esattamente il contrario: la paura prima di sparare, la voglia di vivere, la rassegnazione sfinita di morire per la patria sapendo che, a casa dei genitori, non potrai tornare. 

In Comandante si parla quasi interamente per frasi fatte. Todaro arriva in marcia, guarda negli occhi e a petto in fuori gli uomini che lo accompagneranno. Salva il nemico impartendo lezioni morali, declamando di essere mosso da una forza più elevata di lui. Un Dio, ma anche lo spirito di un popolo e i suoi duemila anni di storia. Edoardo De Angelis non scappa dall’imbarazzo che provoca questa retorica. La accoglie e la giustifica attraverso tutto quello che mostra nel film prima di arrivare al momento culminante del “perché siamo italiani”. Prima di questa frase, c’è un film che la rende complessa. Per gli uomini salvati (non più nemici, ma compagni di mare) suona così come è scritta. In Salvatore Todaro e nelle altre persone schiacciate nel sommergibile - e anche per gli spettatori - l’accento è diverso. È responsabilità storica, è dovere civile, è legge di mare, ma è anche voglia di tornare a casa, desiderio di uscire vivi dalla guerra, intimo spirito di solidarietà tra uomini che eseguono gli ordini. 

Comandante parte dalla retorica di guerra e riesce a farne un film spinto da tutto il contrario: da una deliziosa complessità.

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