Codice Magnum è una miniera di aneddoti
Codice Magnum, il film grazie al quale Schwarzenegger imparò a recitare, è anche una fonte inesauribile di storie – alcune assurde, alcune parecchio tragiche
La storia di Codice Magnum – intesa come “storia produttiva” – è talmente interessante, assurda e prevedibile insieme, con una tale quantità di personaggi da romanzo e di intrecci produttivi di ogni genere, che viene quasi la tentazione di parlare solo di quella, ignorando tutto ciò che succede dentro il film. Volete sapere alcune delle parole chiave legate al film di John Irvin? “Bancarotta”, “scioglilingua”, “Marion Cobretti”, “comunismo”, “mani tagliate”, “Shakespeare”. Vi bastano? Siamo stati convincenti? Volete saperne di più? Allora continuate a leggere: tra poco parleremo di Atto di forza.
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Tra i progetti che DEG non aveva ancora cominciato a sviluppare, invece, c’era quello di Atto di forza, che al tempo era ancora “un film scritto dagli sceneggiatori di Alien”. De Laurentiis ci teneva tantissimo: avrebbe voluto Richard Dreyfuss o Patrick Swayze nei panni del protagonista, e nelle sue intenzioni il film tratto dal romanzo di Dick sarebbe dovuto essere la primissima produzione americana di DEG. Il problema è che le cose non andarono così lisce (la storia produttiva di Atto di forza merita un approfondimento a parte), e de Laurentiis si vide costretto a mettere in pausa il progetto e a spostare i suoi sforzi altrove. Tra questo altrove c’era tra l’altro la necessità di fare ancora qualche film con Arnold Schwarzenegger, che dopo il successo di Conan si era legato a DDL con un contratto pluri-filmico.
Succede quindi che:
Schwarzenegger viene a sapere dell’esistenza di Atto di forza e decide che vuole essere lui il protagonista (come si legge sempre in quest’intervista che abbiamo già citato sopra)
de Laurentiis non ne vuole sapere, probabilmente (idea nostra) perché pensa che Arnie non sia all’altezza del ruolo
i contratti vanno però rispettati, per cui Schwarzenegger accetta di fare il protagonista in un altro film in preparazione per DEG, che è appunto Codice Magnum. In cambio, l’accordo tra lui e de Laurentiis viene considerato concluso nonostante ci siano ancora, in teoria, film da girare, e Schwarzy è finalmente libero di fare quello che vuole
la produzione di Atto di forza passa di regista in regista e di sceneggiatore in sceneggiatore ma non va, di fatto, da nessuna parte, fino a che DEG va in bancarotta e viene ceduta a Carolco Pictures (quella di, tra gli altri, Rambo e Terminator)
a questo punto Schwarzenegger torna alla carica, convince Carolco ad acquistare i diritti di Atto di forza e a scegliere lui come protagonista, e il resto è storia
In tutta questa altalena di emozioni e di fallimenti, che si concentra tutta sul film che alla fine verrà diretto da Paul Verhoeven, l’esistenza di Codice Magnum è quasi una casualità, se non un incidente di percorso. È un film che esiste per onorare un contratto e levarsi di mezzo un problema, che venne accolto malissimo dalla critica e altrettanto male dal pubblico e che viene spesso indicato come una delle cause del fallimento di DEG (il fatto che fosse tra i primi film della produzione, fallita due anni dopo a seguito di una serie di altri flop, è apparentemente poco importante).
In parte questo atteggiamento è comprensibile: Codice Magnum è una versione inutilmente complicata e appesantita da una sceneggiatura tracimante di Commando, inteso come un film action nel quale il nostro eroe deve sgominare un’organizzazione criminale e lo fa in un climax clamoroso nel quale ammazza qualsiasi cosa si muova, in un tripudio di ultraviolenza anni Ottanta. Ed è anche un film che ha la sfortuna di uscire nello stesso anno di Cobra, che racconta una storia simile ma lo fa con quel dono della sintesi che al film di John Irvin manca. Il risultato è, banalmente, un film migliore, e infatti Cobra è stato rivalutato con gli anni e oggi viene ricordato come un cult, mentre di Codice Magnum ci si scorda facilmente: è un’opera che soffre di una sovrabbondanza di personaggi più o meno secondari, che vengono presentati a mitraglia e che spesso rendono difficile seguire tutto quello che accade perché non si fa in tempo ad assimilare i loro volti e le loro affiliazioni. È un film la cui esistenza è giustificata principalmente dalla sequenza finale, i classici immancabili venti minuti di massacro nei quali il protagonista smette di essere un uomo e diventa un cyborg assassino, e che avrebbe beneficiato di tagli e sistemazioni per l’ora e mezza precedente.
Eppure è difficile voler male a Codice Magnum. È il primo film nel quale Schwarzenegger deve recitare per davvero, nel senso che deve uscire dal personaggio che il suo corpo statuario gli ha costruito addosso e deve calarsi nei panni di un poliziotto sotto copertura che con i suoi modi educati e la sua parlantina deve convincere un boss mafioso a farlo lavorare per lui. E gli viene anche bene, al netto di un paio di battute-scioglilingua che lo mettono chiaramente in difficoltà:
È anche un film al quale hanno lavorato due persone che hanno avuto due carriere opposte anche dal punto di vista geografico. Il primo è John Irvin, inglese adottato da Hollywood negli anni Ottanta: Codice Magnum è il suo primo film americano, e Schwarzenegger ha dichiarato più volte che è stato Irvin a renderlo un attore migliore. Il secondo è Sam Wanamaker, americano fuggito in Inghilterra negli anni Cinquanta perché era comunista e aveva paura che Hollywood non l’avrebbe più fatto lavorare (o peggio): durante la sua permanenza in terra britannica ha, tra le altre cose, ricostruito il Globe Theatre di Shakespeare, mentre in Codice Magnum si diverte un mondo a interpretare il mafioso italoamericano di Chicago, a dimostrazione che l’amore per la recitazione va al di là di ruoli, stereotipi e abitudini.
Infine c’è la vicenda di uno dei due sceneggiatori, Gary DeVore, che lavorò insieme a Norman Wexler su una storia scritta da Luciano Vincenzoni e Sergio Donati (un titolo per uno: Giù la testa, C’era una volta il West). DeVore, che dopo Codice Magnum firmò un paio di altri film senza che la sua carriera esplodesse mai per davvero, è morto nel 1997: sparì una notte mentre guidava da Santa Fe a Santa Barbara, e la sua macchina venne ritrovata solo un anno dopo – dal sedile mancava il computer che conteneva la sua nuova sceneggiatura, e soprattutto dal corpo di DeVore mancavano le mani. Ancora oggi il suo omicidio è irrisolto, ma nel 2014 un documentario, The Writer with no Hands, propose la teoria che dietro la sua morte ci fosse un qualche complotto governativo.
Cosa c’entra tutto questo con Codice Magnum, un film nel quale un ex poliziotto in disgrazia torna in azione sotto copertura per infiltrarsi tra i ranghi della mafia di Chicago e incastrare il boss Luigi Patrovita? Direttamente non c’entra nulla, ma indirettamente è la dimostrazione che, al netto di ogni legittima critica sulla sostanza, Codice Magnum è comunque un film che vale la pena ricordare perché è un ritratto incredibile di un’era di Hollywood nella quale, per qualche anno, anche l’Italia era riuscita a ritagliarsi uno spazietto.