Cliffhanger: perché i film non finiscono più?

Il cliffhanger è uno strumento molto utilizzato nei blockbuster più recenti. Come mai? e quali sono i pericoli dell'abuso di questa idea?

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Chi ha visto Lost lo sa. Meglio delle puntate era quel vuoto lasciato di settimana in settimana. Il tempo utile, dalla fine dei titoli di coda alla sigla della successiva, per informarsi, confrontarsi, fare teorie. I cliffhanger di Lost erano un passaggio di palla dagli autori agli spettatori per costruire insieme un significato.

Chi ha visto Avengers: Infinity War lo sa. Quel finale ha venduto da solo il biglietto per Endgame. Due film diversi. Uno la storia di eroi divisi che cadono. L’altro è la terapia: l’analisi del proprio passato per individuare il trauma fondamentale di ciascun personaggio, le ragioni della divisione, e la capacità di superare la fragilità insieme. Legati uno all’altro, eppure godibili separatamente. Un gran finale in due parti.

Chi ha visto Spider-Man: Across the Spider-Verse ha sentito il vociare del pubblico imprepatato a quel finale. Lo sa: dovrà sperare che tutto fili liscio dietro le quinte per poter vedere il secondo tempo della storia nel marzo 2024. L'attesa è durissima, quasi quanto lo fu il rendersi conto che il film non avrebbe chiuso nessuna delle molte trame aperte.

L'ansia di non finire

Il cliffhanger, letteralmente finale sospeso, nasce nei serial muti che andavano cinema. È la tecnica prediletta dei romanzi a puntate e dei fumetti per convincere i lettori a comprare il numero successivo. È lo strumento fondamentale nella cassetta degli attrezzi delle serie TV. Oggi il cinema commerciale, che costruisce la sua identità attingendo da tutti questi mondi, se ne è appropriato. I grandi blockbuster non si fanno troppi problemi a non finire. Anche lo spettatore pagante sembra accettare che un biglietto non corrisponda a una storia, ma a metà di essa. 

Tra i precursori ci fu Harry Potter. La scusa ufficiale per dividere in due il finale era di voler adattare al meglio il lungo e articolato settimo libro. Oppure di avere esaurito il filone d’oro e al posto di fare solo tanti soldi con il finale, fare due volte la stessa cifra con due finali. Una furba applicazione del concetto di economia di scala perfezionata da Peter Jackson con la trilogia de Il signore degli anelli. Giro tutto insieme, e lo presento separato.

Lui aveva dimostrato però che un finale sospeso poteva essere anche completo e soddisfacente. Poi però aveva fatto pure l’opposto, tagliando a metà l’arco narrativo di Smaug che si sarebbe chiuso naturalmente, per via di un arco e di una freccia di altro tipo, dopo una quindicina di minuti. Una furbata de Lo Hobbit veramente imperdonabile.

Twilight e Hunger Games continuarono la diluizione delle opere letterarie. Poi, con il boom degli universi supereroistici, così elastici e plasmabili, si fece di meglio. Invece che dilatare un materiale finito, si poteva renderlo infinito. 

Cliffhanger: lo strumento per chi non ha senso della misura?

C’è un contenitore e c’è un contenuto. Una storia e un tempo entro cui raccontarla. Paul Atreides può diventare membro delle tribù Fremen, ma non può trovare la propria vendetta. Per quella si deve aspettare Dune parte due. Abbiamo già avuto un assaggio del futuro, grazie alle sue visioni, ma la storia non si sarebbe mai chiusa in caso di flop. Per paura di esagerare si è preso un contenitore più piccolo. Denis Villeneuve non ha girato i due capitoli contemporaneamente, ma ha atteso la risposta del pubblico prima di avere luce verde sul secondo. 

Passi cauti, figli dell’epoca dei franchise, che aprono però molte domande. Se le cose fossero andate male ci saremmo trovati di fronte a un film tronco, inficiandone per sempre la sua valutabilità. Si aprono molte domande.

Veramente il pubblico che si vede 8 episodi di una serie tv in un paio di giorni non è disponibile ad andare troppo oltre le tre ore in sala? Il problema è il numero di spettacoli proiettabili in una giornata? Ma con un intervallo, pausa cibo e bevande, le sale non possono ammortizzare la perdita, se non guadagnarci addirittura di più? Lo si faceva con i film fiume negli anni ’50, quando andava cambiato il rullo di pellicola, perché dovrebbe essere diverso oggi?

Il cliffhanger è quindi anche un rischio. Quante volte si può lasciare un film a metà prima che il trucco smetta di essere accettato dal pubblico? Il panorama culturale aiuta il cinema a fare questa scelta. Ci stiamo abituando sempre di più alle narrazioni interrotte, all’attesa e all’interconnessione tra più media. Fu la trilogia di Matrix a impostare così le cose: un cliffhanger, e un mondo crossmediale da esplorare nell’attesa per completare i buchi della narrazione. 

Se non finisce, allora è un doppio kolossal

Il cliffhanger è un segnalatore ben preciso per il pubblico. Ci sono i blockbuster, film enormi e costosissimi. E poi ci sono i blockbuster con cliffhanger, cioè gli stessi film solo che ancora più enormi e costosissimi. Fast X ha promesso di essere l’apice della saga. Una trama talmente carica di cose da non starci nella durata di un solo film. Mission Impossible voleva superare Fallout, così ha diviso in due Dead Reckoning. Presto la stessa sorte toccherà anche a Wicked

Non si interrompe un’emozione”, diceva Federico Fellini contro gli spot pubblicitari in mezzo ai film in televisione. Chissà cosa ne penserebbe di progetti concepiti appositamente per rimandare un soddisfacimento emotivo pieno. E se questa sensazione di vuoto, diventasse parte integrante dell’esperienza dello spettatore? Se fosse proprio lo scopo delle prime parti lasciare l’emozione irrisolta? In fondo questa sarebbe una sensazione che il cinema ha esplorato molto poco. 

Il futuro e la tollerabilità del cliffhanger si giocherà, come sempre, sull’uso che ne faranno i registi. Strumento narrativo o strumento di marketing? L’attesa sarà inglobata nel senso stesso del film o servirà solo per far leva sul senso di completezza per raddoppiare i biglietti venduti? Quando Sam sale sulla barca di Frodo per andare verso l’ignoto alla fine de La compagnia dell’anello, si sente che una storia è finita, un’altra sta per iniziare. Dentro Le due torri il tempo trascorso per gli spettatori si traduce nella fatica che incombe sui personaggi per qualcosa che non abbiamo visto, ma che c’è stato. Si può quindi usare con intelligenza questa pausa.

Il cliffhanger rientra poi in una logica comunitaria. Non ha senso vedere un finale sospeso senza avere qualcuno con cui parlarne. Si applica bene all’esperienza di sala che si riversa sui social e nei gruppi di appassionati. 

La formula magica del cinema degli anni ’10 è stata quella di dare allo spettatore quello che voleva il prima possibile e nella maggior quantità permessa. Il prossimo decennio potrebbe essere segnato dall’opposto: dare tutto ciò che desidera, poco alla volta, il più a lungo possibile. 

Ma quanto saremo disposti ad aspettare? Quanto ci piacerà farlo? La risposta, ovviamente, è in sospeso.

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