Cliffhanger è un action socialmente distanziato
Doveva essere ambientato in un uragano, invece Cliffhanger è finito in alta montagna: è il vero segreto del suo successo
Se la prospettiva di trascorrere i prossimi mesi in casa vi riempie di un atavico terrore misto a claustrofobia, Sylvester Stallone ha una soluzione: distraetevi con lui vagando tra le nevi delle Montagne Rocciose, come l’ex Italian Stallion fece nel 1993 con Cliffhanger (guarda il trailer), uno dei suoi maggiori successi degli anni Novanta e un film che, se le cose fossero andate come sarebbero dovute andare all’inizio, sarebbe completamente diverso da quello che abbiamo (nonché un film che fa del distanziamento sociale una delle sue tematiche principali).
Cliffhanger e Gale Force
La storia di Cliffhanger è quella di come riuscire a vendere un progetto a Hollywood non significhi necessariamente vederlo realizzato nella forma in cui lo si era concepito (o vederlo realizzato in generale). La sua esistenza è la convergenza di due traiettorie creative che coinvolgono da una parte proprio Stallone, sul quale torniamo tra poco, e dall’altra David Chappe, uno sceneggiatore che nel 1984, nove anni prima dell’uscita di Cliffhanger, scrisse un film intitolato Gale Force. Gale Force, che in quei nove anni venne riscritto almeno sei volte, sarebbe dovuto essere secondo Chappe “Die Hard in un uragano”, e fu per qualche anno al centro di una gara tra major per accaparrarsene i diritti – gara che vide coinvolti anche Ridley Scott e Roland Emmerich in quanto possibili candidati alla regia, e che alla fine venne vinta da Carolco Pictures (che in quegli anni attraversava un periodo d’oro e produsse tra gli altri i primi due Rambo, Atto di forza, Essi vivono, Basic Instinct...).
LEGGI: “It was the fuck of the century”: Basic Instinct è arrivato su Netflix
E qui torniamo a Stallone: al tempo, Carolco l’aveva appena ingaggiato per una commedia con John Candy, probabilmente perché la produzione non aveva ancora avuto modo di vedere Oscar – Un fidanzato per due figlie e Fermati, o mamma spara. Del film, teoricamente intitolato Bartholomew vs. Neff, non si fece nulla, mentre sembrava molto più promettente l’idea di attaccare il nome di Sly a Gale Force.
Ed è qui che comincia il vero delirio produttivo.
Cliffhanger e Renny Harlin
Il nome scelto per la regia di Gale Force è quello del finlandese Renny Harlin, reduce da Die Hard 2 e inizialmente contrario al progetto perché non voleva finire a girare “un altro Die Hard 2”, appunto. Harlin si convince ad accettare la regia quando gli promettono libertà creativa assoluta, un’offerta alla quale il nostro risponde con entusiasmo e cominciando a riscrivere pesantemente lo script, aggiungendo un sacco di scene d’azione esageratissime (sì, è sempre lo stesso che qualche riga fa non voleva rifare, ehm, Die Hard 2). Talmente esagerate che Carolco si rende conto che sarebbero impossibili da girare senza un budget faraonico, cancella il progetto e sposta tutte le persone che ci stavano lavorando, Harlin e Stallone compresi, su una nuova sceneggiatura intitolata, appunto, Cliffhanger e scritta da Michael France (quello di GoldenEye e di tre pessimi cinecomic come l’Hulk del 2003, The Punisher e i Fantastici 4 del 2005).
Quello che nasceva come un clone di Die Hard ma ambientato in un uragano si era dunque trasformato nel giro di pochi anni, nella storia di una guida di montagna che deve sfruttare le sue conoscenze di quell’ambiente estremo per fermare un gruppo di criminali in cerca di una valigetta piena di soldi. Che poi è come dire "un altro clone di Die Hard", nella versione “Die Hard ma in montagna”, ma nel quale il ruolo di protagonista è affidato non a un uomo qualunque come il John McClane di Bruce Willis, ma a un tizio palestratissimo e noto per la sua partecipazione in film rigonfi d’azione e testosterone. Un lungo, tortuoso giro creativo che alla fine diede vita a quello che è ancora oggi un grande film d’azione, nonostante sia esso stesso figlio di un gigantesco equivoco.
Un action socialmente distanziato
Cliffhanger è un continuo tiro alla fune. Da una parte c’è Stallone, che si innamorò di questa sceneggiatura silenziosa e survivalista, nella quale l’austera quiete dell’alta montagna fa da sfondo a un inseguimento tra formiche; Sly si immaginava un film meno esplosivo delle sue ultime uscite al cinema, non un Rambo 2 tra le montagne ma un’opera più meditativa, con il minimo sindacale di interazioni umane e un bello scontro tra l’uomo e gli elementi a fare da scheletro narrativo – un action socialmente distanziato insomma, lontano dagli assembramenti (di cadaveri) dei suoi film più famosi, per girare il quale Stallone sfidò anche la sua paura delle altezze.
Dall’altro capo di questa metaforica fune c’è invece Renny Harlin, uno che in carriera ha tentato continuamente di convincerci (e di convincere se stesso) di essere qualcosa di più che un regista caciarone e innamorato delle esplosioni e delle botte – con scarsissimo successo peraltro. Harlin prese il Cliffhanger immaginato da Stallone e ne alzò il volume a 11, moltiplicando le sequenze action e gli stunt spettacolari: per uno in particolare, un salto tra due aerei in volo, il genere di cosa che oggi Tom Cruise girerebbe senza controfigure insomma, lo stuntman di Stallone venne pagato un milione di dollari, una cifra record ancora oggi. Stallone si vide addirittura costretto a far tagliare in fase di montaggio circa 12 minuti di girato, che oggi si trovano nella director’s cut e che contengono alcune sequenze talmente assurde che il pubblico ai test screening scoppiò a ridere.
Il miracolo dell’equilibrio
Eppure, nonostante la sua duplice natura e lo scontro ideologico tra regista e protagonista, Cliffhanger funziona, e ancora oggi è un ottimo modo per passare un’ora e quaranta in compagnia di un tizio silenzioso, di un cattivo scaltro e crudele (John Lithgow con un orrido accento finto-inglese) e dell’arcinota “splendida cornice” delle Montagne Rocciose. Che in realtà sono le Dolomiti italiane dalle parti di Cortina d’Ampezzo, una scelta al risparmio ma, questo va detto, geologicamente sostenibile (la dolomia, la roccia principale delle Dolomiti, è presente anche nelle Montagne Rocciose, anche se in misura minore) e che regala comunque a Harlin la possibilità di giocarsi qualche affascinante ripresa aerea utile a prendere il fiato e facilissima da azzeccare (provateci voi a sbagliare una ripresa aerea delle Dolomiti al tramonto).
Alla fine è proprio la montagna stessa, la presenza di questi colossi vecchi come il mondo che fanno da sfondo alla sfida tra Gabe Walker ed Eric Qualen, a tenere a bada Harlin e a dare a Stallone tutti i momenti meditativi e d’atmosfera che si era sognato. Ambientato altrove, in città, al mare, in campagna, Cliffhanger sarebbe finito per essere “un altro Die Hard 2” come nei peggiori incubi di Harlin (alla realizzazione dei quali lui stesso lavorò attivamente, peraltro); ha invece avuto la fortuna di nascere un uragano per diventare un action d’alta quota, e noi ringraziamo con un sorriso.