20 Leoni d'Oro in 20 anni: la classifica dei vincitori del Festival di Venezia dal 2004 a oggi

Venti Leoni in venti anni: ecco la nostra classifica dei vincitori del Festival di Venezia dal 2004 a oggi, dal peggiore al migliore

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Venti Leoni in venti anni. Dal 2004 al 2023. Dalla prima edizione targata Marco Müller all'eterno Barbera che dopo le sue prime tre rassegne in Laguna 1999-2001 regna incontrastato come Direttore Artistico dal 2012 a oggi, fino all'edizione 2026 compresa. Venti anni caratterizzati da una triplice alleanza che si viene a creare tra Venezia-Hollywood-Oscar, accogliendo anche Netflix in Concorso a braccia aperte a partire dal 2015. Ne fanno le spese Medio Oriente, Asia e Sudamerica che lentamente spariscono dal palmarès. Infatti fa specie vedere ben 9 produzioni o coproduzioni Usa agguantare il Leone dal 2004 a oggi.

Ecco la nostra classifica premettendo che sono gusti personali, ideologie e provocazioni.

20 - Sacro GRA di Gianfranco Rosi (2013, Italia)

Bozzettismo senza “limitismo” per citare Francesco Salvi. Solo personaggi buffi ed eccentrici come fossero abitanti di un pianeta marziano (la camera scende dal cielo all'inizio) e non della Roma concreta e periferica. Ultimo Leone italiano grazie a Bernardo Bertolucci in giuria che fece imbestialire Xavier Dolan non dandogli niente e fece esplodere Rosi dandogli troppo. Il genere documentario venne comunque nobilitato dimostrando di poter vincere il premio più grosso.

19 - Tutta la bellezza e il dolore - All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras (2022, Usa)

Se lo meritava tutto Bones and All di Guadagnino quando invece si optò per questo ritratto della fotografa attivista Nan Goldin. Gran personaggio, film medio.

18 - Somewhere di Sofia Coppola (2010, Usa)

Contestarlo fu fin troppo facile con l'ex fidanzato della regista Quentin Tarantino Presidente di Giuria. Non è invecchiato benissimo a differenza dell'infantile papà attore del film che quando si fa fare il make-up da decrepito partecipa all'unica scena degna di nota della pellicola. Il resto è la solita Coppola che stravede per maschietti alpha egoriferiti ed autorefenziali peggio di Scorsese con i gangster. Poi con Priscilla avrebbe cambiato idea.

17 - Lebanon di Samuel Maoz (2009, Israele)

Siamo dentro la visione limitata di un carro armato israeliano nella Guerra del Libano datata 1982. Possiamo vedere del mondo solo ciò che ci permesso dall'ottica dell'ingegneria bellica ovvero il mirino di un cannone. Idea geniale. Che peccato aver rivisto Maoz all'opera solo nel 2017 con il fantastico Foxtrot.

16 - Lussuria di Ang Lee (2007, Taiwan, Usa, China)

Il secondo Leone per Lee a un soffio da I segreti di Brokeback Mountain. Era il suo momento. Un bel noir torbido e anche leggermente zozzone con un finale secco, spietato e fulmineo che oggi non si vede più.

15 - Il segreto di Vera Drake di Mike Leigh (2004, Uk)

Per quelli che pensano che il cinema politico sia noioso, furbetto e retorico perché i diritti sono tutti belli già che acquisiti in società. Sì, certo. Peccato che ogni due giorni da qualche anno si legge di qualche governo che vuole intervenire sul diritto della donna all'aborto. Dall'America all'Italia. Il film di Leigh ci ricorda quale sarebbe l'alternativa. Ha una pellicola “sorella” in questa classifica.

14 - Ti guardo di Lorenzo Vigas (2015, Venezuela)

L'avevamo già amato grazie a Larraín in Tony Manero (2008) ma caspita: capimmo che Alfredo Castro era l'Al Pacino dell'America del Sud grazie a questo filmone in cui il suo personaggio non riusciva proprio a tollerare di essere gay. Oggi si direbbe Queer.

13 - La scelta di Anne di Audrey Diwan (2021, Francia)

Erano più fortunate le signore inglesi che incontravano Vera Drake. Pellicola gemella dell'altro Leone firmato Leigh ma dal punto di vista di chi l'interruzione di gravidanza dolorosamente la cerca e non la pratica. Meritava di più È stata la mano di Dio di Sorrentino? Sì. Ma trattasi comunque di gran film.

12 - Nomadland di Chloé Zhao (2020, Usa)

La nomade Swankie si lancia in un monologo “Ho visto cose” che ci fa pensare a Roy Batty di Blade Runner. Roy parlava di visioni epiche fantascientifiche. Swankie di animali, laghi, giornate in mezzo alla natura. L'ideologia della replica di un maschio bellicoso e quella di una donna soavemente vagabonda. Ma sono uguali. Entrambi i loro mondi stanno morendo.

11 - The Wrestler di Darren Aronofsky (2008, Usa)

Stavano messi uno peggio dell'altro. Il regista era stato fischiato a Venezia e l'attore non sembrava più lui per quanto aveva modificato chirurgicamente il suo aspetto. Poi Aronofsky e Rourke tirano fuori questo ritratto di looser semplicemente perfetto. Arrivò l'ultimo giorno in Laguna. E mise al tappeto tutti gli altri.

10 - Pietà di Kim Ki-duk (2012, Corea del Sud)

Quanto ci manca questo regista “straccione” che ha rappresentato la Corea del Sud per 20 anni prima di Bong e Park Chan-wook. Quella scia di sangue lasciata per strada… perché non riusciamo a dimenticarla?

9 - Faust di Alexander Sokurov (2011, Russia)

Delirante, caliginosa, folle rilettura del patto mefistofelico goethiano come se Jodorowsky incontrasse Kubrick in un giorno di nebbia tra rocce taglienti dove è bello ferirsi. Quando Aronofsky lo premia a Venezia in mezzo ai mugugni non solo lo amerà per sempre. Proverà pure a copiarlo con il suo Noah (2014) tre anni dopo. Non riuscendoci.

8 - I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee (2005, Usa)

I cowboy gay fecero parlare per anni e anni. Basta solo questo per capire che il film era stato piuttosto azzeccato. Ma c'è un dato in più: si sfiorò la Storia perché per una manciata di voti questo Leone non divenne qualche mese dopo Miglior Film all'Oscar. Stava cambiando tutto. L'Academy andava verso i Festival e i Festival andavano verso l'Academy. L'attrazione reciproca era palpabile. E quel desiderio non era mai esistito prima del film di Ang Lee. Mancava poco.

7 - La forma dell'acqua – The Shape of Water di Guillermo del Toro (2017, Usa)

Il colpaccio sfiorato da Ang Lee riesce a Del Toro. Vinci in Laguna a settembre e vinci a Los Angeles a febbraio. Mai accaduto prima. Un mostro bicefalo: Leone + Oscar. Ma anche un altro record che fece piangere di commozione noi horrorofili: il monster movie era ufficialmente cinema d'autore. Ma quando mai prima? Friedrich March vinse Miglior Attore a Venezia nel 1932 per Il dottor Jekyll (1931) di Mamoulian. Siamo pronti per Joker.

6 - Roma di Alfonso Cuarón (2018, Messico)

Un bimbo viene salvato dalla morte da due simboli femminili: la domestica popolana fiera e la mamma borghese bullizzata dal patriarcato. Chi è il pargolo? Alfonso Cuarón. Sarà vera quell'immagine? Chissenefrega. Il grande Cuarón si ricorda la sua infanzia proprio così.

5 - Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza di Roy Andersson (2014, Svezia)

Se ti piace questo senso dell'umorismo, non finisci più di ridere anche a distanza di anni. Questo era un regista che esordiva nel 1970 con una storia d'amore e d'ambientazione familiare a colori un po' mattoide e quasi muta ma ormonale, mossa e pimpante. Poi è sbroccato del tutto iniziando a realizzare vignette a camera fissa con attori con la faccia dipinta di bianco in un mondo incenerito da una certa catatonia. Trovando il tutto piuttosto divertente. Ma probabilmente questo è quello che realizzeremmo anche noi se fossimo dei piccioni seduti su un ramo che riflettono sull'esistenza.

4 - Still Life di Jia Zhangke (2006, Cina)

Quella Venezia che amava e premiava la Cina. Tanto tempo fa. Questo geniale regista era un pischello (36 anni) e già mischiava Olmi con Cronenberg cioè osservazione del paesaggio rurale e urbano in profonda trasformazione e cambiamento nel corso del tempo. Il mondo è un organismo cangiante che muta insieme a noi, formichine sul suo enorme dorso. Jia Zhangke è il più bravo a filmare queste variazioni geografiche ed umane sul grande corpo della nostra terra.

3 - Povere creature! di Yorgos Lanthimos (2023, Irlanda, Uk, Usa)

Da creatura a creazione. Da Frankenstein a Bella Baxter: c'è un certo qual progresso estetico ed ideologico. Bella diventa personaggio cinematografico e storico epocale come il Vagabondo di Charlot, Doinel di Truffaut, l'Alvy Singer di Woody Allen o il Michele Apicella di Moretti. Ecco il punto di riferimento della nuova donna e simbolo per le signore della Gen Z dove si smette di sperimentare e si comincia finalmente a celebrare la fine del dominio maschile in società e nelle camere da letto. Che risate, che potenza, che rivoluzione.

2 - The Woman Who Left - La donna che se ne è andata di Lav Diaz (2016, Filippine)

L'abbiamo visto tutto. Giuriamo. Al massimo ci siamo fatti due pause sigaretta con Francesco Castelnuovo di Sky Cinema consci che Lav Diaz ce lo avrebbe permesso con una pacca sulla spalla. Che meraviglia. Quasi quattro ore di una ex detenuta incavolata nera che vuole vendicarsi di certi bastardi che l'hanno fatta finire in galera facendo amicizia con un travestito che ogni tanto pestano a sangue. Quando ci entri dentro, non vuoi più uscirne. Si è sollevato un vespaio quando il Presidente di Giuria Sam Mendes ha voluto il Leone per questo film “breve”. Ma i Festival servono anche a questo. A strappare. E questo è uno strappo da urlo.

1 - Joker di Todd Phillips (2019, Usa)

La logica continuazione della rivoluzione La forma dell'acqua di soli due anni prima: non esistono più steccati tra Festival e box office, fumetto ed arthouse, cinema d'autore e commerciale, divismo e ascesi, Empire e Cahiers du Cinéma, saga ed atto unico, pop e chic, Martin Scorsese e Bob Kane + Bill Finger. Ora tutto è possibile, il pubblico è pronto così come i Festival. E infatti, nonostante la Warner non volesse, questo capolavoro immenso va in Concorso e vince con naturalezza il Leone e poi tranquillo si porta a casa pure 1000 milioni di dollari di botteghino mondiale con una plusvalenza di ”soli” 945 milioni. Adesso ci vediamo il sequel nel Concorso 2024 che dal trailer sembra ispirato al Marat/Sade (1967) di Peter Brook. Speriamo che anche nell'Italia idiota che non fa saga da Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), prima o poi, qualcuno arrivi a capire che Joker è la contemporaneità assoluta.

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