Chrono Tintin #2: Tintin in Congo

Nella sua seconda avventura, Tintin si reca in Congo: una storia che sarà oggetto di dure accuse di razzismo

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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Dopo la conclusione di Tintin nel Paese dei Soviet, Hergé desidera far viaggiare il suo reporter in America per fargli incontrare i pellerossa, da cui è affascinato fin da bambino. Nel 1930, però, l'autore ha soltanto 23 anni e si lascia influenzare dal suo editore del Petit Vingtième, che già lo aveva spinto a portare Tintin nell'Unione Sovietica; questa volta la meta suggerita è il Congo, colonia belga da una ventina d'anni, al fine di confezionare della propaganda rivolta ai lettori più giovani, raccontando loro il processo di colonizzazione e diffusione culturale in corso nello Stato africano.

Tintin in CongoTintin in Congo non ha ancora una sceneggiatura elaborata, ma come l'avventura precedente può essere descritto come una serie di scenette umoristiche, tra la pantomima e la comicità slapstick, affine ai film realizzati in quel periodo, prima dell'avvento del sonoro.

Il fumetto viene realizzato in bianco e nero, in una forma analoga a quella utilizzata per il viaggio sovietico di Tintin, ma arriva a noi in una versione decisamente più elaborata. Negli anni '40, infatti, l'editore suggerisce di aggiungere il colore e ridurre il numero di pagine; questa struttura non viene applicata soltanto ai nuovi episodi, con Hergé che deve rimettere mano alle storie già pubblicate (con l'eccezione di Tintin nel Paese dei Soviet, ritenuto troppo controverso dallo stesso autore) per uniformarle al suo stile caratteristico che nel frattempo aveva meglio definito.

Approfittando di questa nuova versione, Hergé non si limita a ritoccare solo il comparto visivo e la struttura della tavola, ma modifica anche alcune scene in cui il fine propagandistico risultava smaccato: un esempio è il discorso sul Belgio che Tintin tiene ai giovani studenti africani, diventato successivamente una lezione di matematica.

Ma, dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche questa seconda avventura del reporter belga diventa oggetto di dure critiche, accusata di razzismo nei confronti del popolo africano. In realtà, in modo simile a quanto avvenuto nella precedente, Hergé motiva questa rappresentazione ingenua sulla base degli stereotipi diffusi all'epoca: un peccato di gioventù a cui avrebbe potuto rimediare con una maggiore documentazione o un viaggio in prima persona nello scenario dell'avventura. Gli abitanti del villaggio congolesi sono chiaramente delle macchiette, una parodia esagerata costruita con innocenza, in cui effettivamente fatichiamo a leggere una cattiveria di stampo xenofobo, bensì una conoscenza superficiale di una situazione che, qualche anno dopo, sarebbe stata decisamente più chiara al di fuori del continente africano.

Non sono mancate inoltre le critiche da parte degli animalisti, visto che una buona metà delle scene di questo volume vedono Tintin minacciato da bestie esotiche, dalle quali il reporter si difende in modi che oggi non reputeremmo politically correct: da un rinoceronte fatto esplodere con la dinamite a una scimmia scuoiata al fine di utilizzare la sua pelle come costume per mimetizzarsi tra gli animali; anche da questo punto di vista, Tintin in Congo ricerca l'umorismo utilizzando con candore un tipo di violenza che probabilmente oggi non sarebbe concessa, se non in prodotti volutamente dissacranti e controversi.

L'assenza di una sceneggiatura omogenea viene però risolta in parte nel finale, dove Hergé giustifica molte delle aggressioni subite da Tintin creando un filo conduttore: il mandante è infatti Al Capone, che vuole prendere il controllo del commercio di diamanti in Africa e vede la presenza del popolare reporter come una minaccia ai suoi traffici. In questo modo l'autore riesce a inserire un'anticipazione che fa da collegamento all'avventura successiva ambientata in America, dove Tintin si recherà accompagnato, come sempre, dal fedele Milou.

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