Chiudono i cinema e ci sentiamo tutti dentro il film L’Ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich
L'ultimo spettacolo: quello dei cinema italiani per l'emergenza covid, e il film di Peter Bogdanovich che racconta una realtà molto vicina
Il motivo di questo paragone è palese sin dal titolo: l’ultimo spettacolo raccontato nel film è infatti l’ultima proiezione del piccolo cinema della polverosa città di Anarene, nel Texas. Oggi la città è un luogo fantasma dell’America, spopolato negli anni sessanta con la fine dei giacimenti di carbone. Bogdanovich racconta la morte del luogo, parlando della fine dell’innocenza e della spensieratezza della gioventù che lo popola.
Il giorno della partenza è anche il giorno di chiusura definitiva della sala.
È facile oggi, nella nostra realtà, sentirci anche noi alle soglie dell’ultimo spettacolo dei cinema italiani, fortemente colpiti dalla crisi. E, sebbene l’opera di Bogdanovich non presenti virus, quarantene, o DPCM, fotografa bene un passato in bianco e nero (su suggerimento di Orson Welles) quanto mai attuale.
Il cinema, quel luogo centrale nella vita e nella geografia della città, viene ignorato per gran parte del film. I personaggi passano davanti alle sue insegne, non si fermano quasi mai, ma ne sono influenzati. Si comportano come cowboy, sognano l’amore come le grandi stelle del cinema, ambiscono a status sociali da sit-com (ricchi e senza problemi se non quelli amorosi). Sprizzano di vita, di passioni. La loro ambizione della tarda adolescenza è quella dell’esplorazione: sessuale e di vita per molti, più legata ai luoghi per altri.
I più deboli rimangono indietro, a spazzare le polverose strade di Anarene. I vecchi muoiono e si contendono le eredità. Le donne, depresse e sole, cercano di rivivere con nostalgia gli amori proibiti e le passioni di un tempo.
Non c’è una vera e propria trama ne L’ultimo spettacolo, ma un incrociarsi di storie individuali di fantasmi che ancora non lo sono. Quanta la somiglianza con l’atmosfera del giro di vite di Henry James! È proprio vero che i luoghi, la casa d’infanzia, diventano tombe per chi non riesce a fuggirne. L’esistenza stessa, nelle due opere, è bramosia di altro che, anche se non ben noto, spinge a cambiare, a fare a botte e a riconciliarsi.
Ad esistere.
Non hanno pace i protagonisti, si tormentano… ma per motivi futili.
Vengono fatte più “cerimonie” per contestare una brutta sconfitta sportiva della squadra locale, che per accompagnare i ragazzi in guerra. I matrimoni vengono celebrati fuori campo, ma le risse sono un rito da svolgere in mezzo alla strada. Amori, amanti, discorsi. La città si tiene in vita sul leggero legame che è il chiacchiericcio, il “sentito dire”. Impegnatissimi a fare nulla, i personaggi si parlano, si ascoltano e attendono.
Questa filosofia un po’ nostalgica è incorniciata dal toccante monologo di Sam (Ben Johnson) che porta due ragazzi a pescare. Ci sono pochi pesci nella zona, l’acqua è piena di tartarughe e probabilmente la giornata andrà a vuoto. Ma Sam ribatte che è proprio questo il motivo per cui va a pescare lì; non per il pesce, che neanche gli piace, ma perché può osservare quel paesaggio a cui ha dato da custodire i ricordi della propria giovinezza.
Bogdanovich nelle sue opere racconta anche la nostalgia di un cinema che non c’è più, di una macchina dei ricordi che non può fare altro che imitare e omaggiare memorie altrui. Eppure, quando il cinema di Anarene sta per chiudere e l’ultimo spettacolo sta per illuminarsi sullo schermo, le poche vite rimaste nella città fantasma si radunano, per l’ultima volta, tutte insieme.
Quella di domenica è stata l’ultima proiezione per tutti i cinema d’Italia, almeno fino al 24 novembre. Nell’ultimo weekend sono stati strappati 255mila biglietti. Una cifra alta e insperata, che racconta di un forte sostegno del pubblico, di una grande voglia di ritornare a condividere i ricordi sullo schermo. Domenica anche noi, come i protagonisti del film, ci siamo ritrovati per salutare il cinema che chiude. Domenica ci siamo sentiti tutti dentro a L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich.