Chinatown: compie 50 anni il film che vive su tre epoche
I 50 anni Chinatown sono l'occasione per celebrare le tre epoche del cinema su cui vive il film di Roman Polanski
Compie 50 anni una delle sceneggiature migliori di sempre e uno dei film più iconici degli anni ’70. Un neo noir radicato nell’atmosfera Hard Boiled, con tutti i personaggi al posto giusto per il cinema che l0ha preceduto (la polizia corrotta, la femme fatale, il detective cinico), ma pienamente rivoluzionario e moderno nel modo in cui smonta, omaggiando, ogni elemento narrativo classico. Sono insomma 50 anni che Chinatown, di Roman Polański e dello sceneggiatore Robert Towne, ha fatto vedere un inizio di cinema contemporaneo. Una riflessione sulle forme del racconto e sull’ibridazione di stili che non lascia indietro il cinismo adulto degli anni ’70. Un incrocio perfetto di stili, per un classico che fa convivere dentro di sé tre epoche diverse della storia del cinema.
Los Angeles, 1937
Chinatown inizia alla fine di una storia, un caso appena chiuso dall’investigatore J.J. Gittes. Sta per iniziare un altro, nella figura di una finta Evelyn Mulwray, ma questo, per ora, non importa. Jack Nicholson interpreta un detective che sembra uscito dai noir di Raymond Chandler o dai film di John Huston, regista che qui compare non a caso come attore nel ruolo fondamentale di Noah Cross. Molto più che un omaggio, il suo ruolo si fa significato. Gittes, dal canto suo, è un uomo del 1937 con più passato che futuro.
Fossimo stati in un film degli anni '30 alla battuta “Lascia perdere, Jake... è Chinatown” sarebbe corrisposta la morale con cui il detective impara la lezione del gilm. Non importa che vinca o perda, nel Noir classico la realtà insegna qualcosa. Nel finale, fortemente voluto da Polański in opposizione al suo sceneggiatore, il passato di Gittes ritorna più forte di prima. Ancora una volta in quelle strade maledette la vita gli insegna l’impotenza, il suo errore costante, la sua sconfitta. Non basta voler fare la cosa giusta. La corruzione e il male è più forte. Così quell'enigmatica sentenza che chiude il film non si fa morale, ma descrizione di uno stato umano.
È un Roman Polański ancora traumatizzato dalla tragedia della sua vita, il brutale assassino di Sharon Tate, quello che si oppone al finale più ottimista voluto da Towne. È grazie proprio alla disillusione degli ultimi suoi secondi che Chinatown trasporta il noir nel neo-noir. Il film è ambientato negli anni caldi dell'epoca classica delle storie di detective e criminali, ma nel suo testo c'è una decostruzione profonda di quegli schemi. Nel protagonista c’è ogni cliché del genere che viene puntualmente smentito. Lui dovrebbe essere un’anima tormentata che con cinismo riesce a dedurre la verità. I suoi ragionamenti, per quanto disillusi e inclini a vedere il male, non lo sono abbastanza. L’investigatore sbaglia puntualmente ogni intuizione. Crede che sia una storia di acqua e di denaro, è una storia di stupro e corruzione. Le piste sbagliate che segue appartengono ad un’epoca precedente. Gli anni ’10 della California.
California, 1910
Nella vita reale, Los Angeles era una grande attrazione per il mercato immobiliare statunitense ben prima che l’industria del cinema si trasferisse a Hollywood. Se l’est era il luogo delle città e della vita ordinata nelle case tutte uguali, l’ovest era uno spazio da scoprire. Con la promessa di vivere tutto l’anno sotto il sole, la ferrovia portò una crescita rapidissima nella popolazione losangelina. Per mantenere vivo il sogno californiano di queste persone serviva l’acqua. Si deviò così il fiume di Owens per portare l’approvvigionamento idrico a Los Angeles, rendendo impossibile l’agricoltura nella valle, rimasta a secco.
Le guerre dell'acqua in California sono il fatto storico su cui si basa Chinatown. Un conflitto politico e imprenditoriale risolto però un decennio prima rispetto agli anni in cui si svolge il film. Nel 1928 Los Angeles aveva vinto la battaglia contro la valle di Owens con la distruzione di ogni attività agricola in quel luogo. Nel 1937 di Chinatown qualcuno ancora prova a lucrarci.
Il film di Polański risiede in quel periodo in maniera leggermente anacronistica, andando così a sommare due decenni. Il personaggio di Hollis Mulwray è basato su William Mulholland l’uomo a capo del Dipartimento dell’Acqua e dell’Energia che plasmò la geografia della California. C’è dentro tanto cinema in Chinatown, senza però rivelarsi mai esplicitamente. La corruzione di chi dovrebbe amministrare quelle terre esprime la rabbia di uno sceneggiatore e di un regista contro un sistema. Come a dire che il cinema che loro stanno facendo è sorto su un terreno molto fragile, ferito e violentato. Un’industria apparentemente solida, ma sorta su una faglia di Sant’Andrea reale quanto metaforica. Senza rubare l'acqua, Hollywood non sarebbe mai nata.
Hollywood, 1974
La terza epoca di Chinatown è il decennio entro cui è stato prodotto. Quegli straordinari anni ’70 per il cinema americano caratterizzati da maturità e cambiamento. I nuovi registi avevano ormai tanti anni di storia del cinema con cui giocare. I padri fondatori e le grandi star del passato stavano morendo, era tempo di rifondare un nuovo linguaggio.
Così Roman Polański si poteva permettere di fare non un noir, ma il noir dei noir. Un film come non si era mai visto prima e irriproducibile. Ci ha tentato Jack Nicholson facendo la regia de Il grande inganno, il sequel di Chinatown che nessuno considera tale. Una trilogia che mai si farà realmente, perché queste storie hanno messo le radici proprio nel clima che si respirava negli anni ’70. Da quella libertà di essere pessimisti è nato Chinatown; difficilmente la si recupererà. Gli eventi storici richiedevano serietà. Il cinema si era aperto alla violenza (Chinatown ha dei temi e delle scene impossibili da realizzare negli anni '30-'40) e alla fine dell’innocenza.
Chinatown ha posto le condizioni della sua immortalità quando è riuscito a esistere contemporaneamente in tre periodi storici. Nel passato delle origini di Hollywood, nel suo presente narrativo e in quello produttivo. Un film fuori dal tempo. Per questo, 50 anni dopo, è ancora il migliore.