Chiedimi se sono felice è un pezzo di storia di Milano

Oltre a essere il miglior film di Aldo, Giovanni e Giacomo, Chiedimi se sono felice è anche il racconto di una città in trasformazione

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Chiedimi se sono felice è un pezzo di storia di Milano

Uno degli errori che si fanno più spesso parlando di cinema italiano è quello di pensare che esista il cinema italiano – che sia un unico blocco creativo all’interno del quale non ci sono differenze o “scene”, solo un’unica supposta e mai vista identità nazionale che sta dietro a ogni impulso creativo da Bolzano a Lampedusa. Non vuole essere una critica al sistema-Paese, solo la considerazione incontestabile che oltre al generico cinema italiano esiste anche tanto cinema regionale, quando non addirittura cittadino, e che ogni pezzo d’Italia ha le sue storie e il suo modo di raccontarle al punto che anche al netto degli accenti un film pensato e realizzato in Veneto si distingue a prima vista da uno pensato e realizzato in Puglia.

Chiedimi se sono felice navigli

Chiedimi se sono felice, e chiedimelo in milanese

E come esiste un cinema, chiamiamolo così, locale, ne esistono anche gli alfieri. Chi è nato a Roma ha Alberto Sordi e Carlo Verdone, in Campania ci sono Totò e Troisi, la Toscana ha prodotto un’enorme quantità di cinema regionale elevato poi a capolavoro nazionale, per la Basilicata c’è... Rocco Papaleo?, e così via, regione per regione e città per città.

In questo senso Milano è in una curiosa condizione di inferiorità rispetto alle altre metropoli italiane: troppo impegnata a lavorare a testa bassa dalle 9 alle 18, è ancora ferma, in termini di rappresentazione, a certe opere degli anni Settanta, e non ha mai davvero trovato il suo Sordi o il suo Totò, accontentandosi per anni di essere il bersaglio di facili ironie sui dané e le fabbrichette e il taaaac, una fucina di personaggi detestabili che ancora ai tempi di Boris non aveva smesso di sfornare anti-talenti. Una risposta a questa istanza in realtà esiste, è appena arrivata su Disney+ insieme agli altri film di Aldo Giovanni e Giacomo, e si chiama Chiedimi se sono felice, un film straordinario ma un ancora più straordinario documento storico – e contemporaneamente profetico – su Milano e la milanesità.

Chiedimi se sono felice giovanni

La milanesità (e dintorni) di Chiedimi se sono felice

Terzo film per il cinema del trio nato sui palchi del cabaret milanese (e sulla loro particolare milanesità torniamo dopo), Chiedimi se sono felice è il frutto del lavoro di una squadra straordinaria e, a costo di ripeterci, profondamente meneghina. Oltre ai tre e all’allora fedelissimo Massimo Venier (da Varese), soggetto e sceneggiatura sono di Walter Fontana (da Abbiategrasso) e di Paolo Cananzi (da Rimini, ma milanese d’adozione e sposato con Marina Massironi dal 1994), due dei migliori scrittori comici degli anni Novanta, il primo arrivato anche in TV con qualche breve sketch a Mai Dire Gol, il secondo più schivo e dedito alla scrittura ma pur sempre la persona che una volta disse “Non si lavava da tempo immemorabile: sotto le ascelle aveva ancora tracce di placenta”.

Avrete notato che nessuno di questi è di Milano: fanno parte di quella generazione che dalla cintura circostante si è spostata in città attirata dalle promesse di un neonato, fervente e molto redditizio ambiente culturale che era partito dai teatri di periferia per arrivare negli studi di Mediaset, un’ondata della quale fanno parte anche, appunto, Aldo, Giovanni e Giacomo e che ha portato una ventata d’aria fresca nella città di Gaber e Jannacci, che era per molti versi ancora ferma a Gaber e Jannacci. Lo stesso trio rappresenta alla perfezione la nascita di questa sorta di mostro tricefalo, il milanese dalle tre anime: quella cittadina da sempre, burbera e pragmatica (Giovanni), quella d’importazione che non ha mai spezzato i legami con le sue radici meridionali (Aldo), e quella, poetica e un po’ ingenua, che arriva dalla provincia, con gli occhi spalancati di fronte alla grande città e alle sue infinite possibilità (Giacomo, che è di Busto Garolfo come i Cops).

Il loro (e quello dei vari Bertolino, Storti, Oreglio...) era un modo nuovo di raccontare Milano e la sua gente, e di rappresentarla come una città in trasformazione, alla vigilia di una svolta epocale che la farà uscire dall’adolescenza dorata e un po’ vuota degli anni Ottanta e della Milano da bere per farla entrare nell’età adulta e renderla una città moderna internazionale turistica et cetera, tutto quello che avete sentito in questi ultimi anni relativo al “modello Milano” insomma, un’espressione la cui validità lasciamo giudicare a voi – ma chi si ricorda Milano nella seconda metà degli anni Novanta e la rivede oggi non potrà fare a meno di notare quante promesse siano state realizzate, e quanto di quello che oggi viene lodato in TV e sui giornali era già presente, in potenza, quando Aldo, Giovanni e Giacomo facevano i loro film, ed era solo in attesa di essere raccolto.

Chiedimi se sono felice piazzetta

Maschere, mimi e nasi finti

Chiedimi se sono felice è ovviamente una grande storia d’amore e soprattutto di amicizia, il primo film di AG&G ad abbandonare (quasi del tutto) la dipendenza dagli sketch televisivi e teatrali del trio per concentrarsi esclusivamente sulla storia; ha enormi ambizioni letterarie, un finale pirandelliano (con tanto di didascalia, visto che si scopre che “Pirandello” è il soprannome di Aldo), una struttura che ricorda vagamente quella del Cyrano che è l’opera teatrale che i tre vogliono rappresentare... sul suo valore come, per tornare al discorso iniziale, “film italiano” si sono già scritti fiumi di parole e non vale la pena dilungarsi ulteriormente – anche se pensiamo valga la pena sprecare due righe sul rapporto tra film e colonna sonora (di Samuele Bersani, con special guest Marco Ferradini), e su come l’utilizzo di certi pezzi per raccontare in musica alcune sequenze narrative sia non solo estremamente anni Ottanta, ma una tecnica narrativa cara a Sylvester Stallone, un nome che siamo certi non vi aspettavate di leggere in un pezzo su Aldo, Giovanni e Giacomo.

Ma Chiedimi se sono felice è anche un film su un gruppo di milanesi – quarantenni, peraltro, non adolescenti, negli anni dei Come te nessuno mai – e sulla loro città, che rivista oggi ha molto poco di riconoscibile a parte qualche squarcio del centro (vuoto, certo, ma in tempi di covid...), ma che è popolata da una serie di figure che, per chi aveva vent’anni quando il film uscì e oggi ha l’età dei protagonisti, assomigliano molto a una collezione di profezie su due gambe. Marina (Massironi) è una hostess, non c’è quasi mai ma può permettersi di affittare una graziosa casa di ringhiera dietro l’Arco della Pace in Sempione. Giacomo dice di fare l’attore e tecnicamente ha ragione, finché non aggiunge che il suo mestiere è doppiare colpi di tosse per mediocri sceneggiati televisivi. Anche Giovanni sogna di fare l’attore invece fa il mimo ai grandi magazzini, ma è un milanese vero, con il cuore dentro la cerchia dei Bastioni, e quindi ha anche uno spazio industriale in una zona periferica pre-gentrificazione che viene convertito in loft, una soluzione che all’epoca era usata come una barzelletta ma che oggi sarebbe perfettamente normale.

trio

Chiedimi come sono oggi

Oggi Milano è piena di gente che fa le stesse cose vent’anni dopo, in un contesto abbellito e spesso, appunto, gentrificato; ma le radici di quello che sarà sono tutte lì, raccontate dagli allora quarantenni con un misto di speranza per il futuro, rabbia per essere nati con vent’anni d’anticipo su una rivoluzione e anche nostalgia per quello che sarebbe inevitabilmente sparito. Che è l’altro lato della medaglia di Chiedimi se sono felice, che racconta anche la Milano dei Navigli ancora sterrati (oggi quella stessa scena sarebbe stata girata su una ciclabile), degli anziani che ti si attaccano alla mano per farsi aiutare a scendere da un tram affollato (se abitate a Milano vi è sicuramente capitato più di una volta), persino di cose che non esistono se non nella fantasia di chiunque sia passato di notte per piazza Mercanti dopo il 2000 sognando di poterla usare campo da basket, quel genere di fantasia che aiuta a sentire la città un po’ più tua e che Chiedimi se sono felice sforna in continuazione scena dopo scena.

(la stessa fantasia peraltro che fa sì che il loft dove vive Aldo si trovi in via Mecenate, a Milano est, eppure appena i tre escono di casa si ritrovano alternativamente a Rozzano, nel profondo ovest, oppure in zona Garibaldi)

Considerazioni geografiche a parte (che sono comunque un gioco estremamente divertente: casa di Giovanni, per esempio, sta in zona porta Romana, a sei km circa da casa di Aldo: pensate a quanto doveva essere sudato durante quel bacio!), quello che Chiedimi se sono felice è riuscito a raccontare, non sappiamo quanto volontariamente ma con il senno di poi in maniera estremamente efficace, è quella milanesità “di passaggio” che ha traghettato la città da Gaber e i Gufi alla trap e al bosco verticale, più rassegnata che nostalgica, e pronta al cambio di paradigma. Che nel frattempo è avvenuto: aspettiamo che venga raccontato, e che Milano abbia il suo nuovo Chiedimi se sono felice.

Tre uomini e una gamba, Così è la vita e Chiedimi se sono felice sono da oggi su Disney+.

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