Checco Zalone, ultimo e più originale interprete della "commedia da comico televisivo"

In attesa di Quo Vado?, scopriamo da dove vengono i film di Checco Zalone, ultimo interprete della più redditizia tradizione del cinema italiano degli ultimi 40 anni

Critico e giornalista cinematografico


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Tra pochi giorni uscirà Quo Vado?, nuovo film di Checco Zalone, sempre diretto da Gennaro Nunziante come i precedenti tre.

L’ultimo, Sole a Catinelle, è stato il film italiano dal maggiore incasso della storia del nostro paese (51,9 milioni, prima di lui solo Avatar con più di 60 milioni), questo uscirà in 1500 sale e ha nel mirino la molto improbabile rottura del precedente record.

Checco Zalone è un comico diventato noto con la televisione, la principale fucina di incassi del cinema italiano degli ultimi 30 anni, e i suoi film rispondono ad un genere ben preciso: la “commedia con comico televisivo”. Si tratta di un sottogenere della commedia romantica che ha una sua scansione, sue regole e un suo linguaggio filmico abbastanza autonomi dal genere madre con cui condivide il blando racconto di un amore leggero.

Quelli dei comici televisivi sono film quasi sempre diretti dagli stessi ma comunque caratterizzati da un linguaggio audiovisivo molto povero e ridotto all’osso, tuttavia con il loro successo dicono qualcosa su come cambino le esigenze sociali. Se i film di Zalone non avessero avuto alcun successo sarebbero stati dimenticati in fretta come i mille altri film di comici televisivi che abbiamo avuto la forza di cancellare dal cestino della nostra memoria (Amici come noi, Ti stimo fratello…), invece il loro continuare ad affermarsi come l’escapismo per antonomasia di questi anni li pone necessariamente al centro della riflessione sul cinema di commedia italiano.

Quelli dei comici televisivi sono film quasi sempre diretti dagli stessi ma comunque caratterizzati da un linguaggio audiovisivo molto povero e ridotto all’osso

A canonizzare per primo questo sottogenere è stato Adriano Celentano, che comico non era ma che si era emancipato dal solo ruolo di musicista proprio con la televisione. I suoi film fondano e con il tempo cristallizzano l’idea di un cinema di commedia pensato intorno ad un corpo unico, storie che iniziano e finiscono intorno al proprio protagonista e che alle sue battute si affidano per qualsiasi esito comico con sporadiche incursioni di fidate spalle (meglio se dai corpi strani). Ancora di più sono film fatti a forma della comicità del loro protagonista e non viceversa come accade con gli attori di commedia. In altre parole la differenza tra Ugo Tognazzi o Giuseppe Battiston da una parte e Francesco Nuti o Leonardo Pieraccioni da un’altra è che i primi interpretano un ruolo, dunque si mettono al servizio di una sceneggiatura e del tono di un film, mentre i secondi vivono in un film pensato intorno alla loro comicità e al loro carattere, che ha la loro forma.
In questo senso sono film non troppo diversi agli spettacoli teatrali degli stessi comici, opere in cui in scena c’è una persona sola, un unico corpo su cui vengono puntate le luci.

Così è anche per Checco Zalone, arrivato in sala con Cado dalle Nubi mettendo in scena l’origine del suo personaggio, cioè il desiderio di emergere di un musicista, l’emigrazione e l’esibizione della propria arretratezza culturale (che prende la forma del politicamente scorretto come degli errori grammaticali). In quel film, che già faceva segnare un più che ragguardevole traguardo di 14 milioni di euro, Zalone seguiva pedissequamente il percorso battuto da Benigni, Siani, Pieraccioni, Aldo Giovanni e Giacomo e qualunque altra presenza televisiva trasportata di peso nel grande schermo: dipingere un mondo che somigli a lui e al suo umorismo, in cui poter sguazzare. Questo avviene perché l’unica componente che “finanzia” il film è il successo già maturato con un certo linguaggio e certe gag, dunque queste sono la sicurezza, l’elemento intorno al quale costruire tutto.

Quo Vado

Quello di Zalone è però un corpo comico diverso dal solito, uno che può dire tutto, non è amabile come Pieraccioni nè compatibile come Verdone, non è tenero e bello come Siani nè sfortunato come i tre Aldo Giovanni e Giacomo ma più simile all’anarchico Benigni e perfido come il primo terruncello di Abatantuono (per rimanere solo tra i comici televisivi di grande successo al cinema), uno a cui il pubblico è il primo a consentire variazioni e trasgressioni che a nessun altro sarebbero concesse, uno da cui ci si aspetta distruzione, che non subisce ma infligge. Imbattibile in questo senso la locandina di Sole a catinelle in cui si fa portare in spalla dal figlio mentre è intento a mettersi in posa per la foto, un simile umorismo non sarebbe concesso ad altri.

Già Che bella giornata ne conferma la volontà di posizionarsi in una zona in cui l’insulto e la presa in giro cattiva sono auspicate e vissute come liberazione dalla buona tolleranza. Zalone non è vittima di gag, non riceve offese ma è carnefice, crea problemi che si riversano su qualcun altro e fonda così il suo successo, sull’esigenza di facile trasgressione scatenata da un sistema mediatico sempre più irregimentato all’estrema tolleranza. Se esiste Zalone è perché dall’altra parte la comicità ha smesso di essere violenta. In misura diversa e con un uso molto diverso del linguaggio filmico è lo stesso principio che scatena il bisogno dell’umorismo demenziale e folle di Maccio Capatonda.

Quo Vado? promette di proporre il solito umorismo ma in giro per il mondo

Se Pieraccioni e Siani sono i bambini timidi che se la cava appena a scuola, Celentano è il fico e Verdone il simpatico ma sfortunato, Zalone è il bullo che vive i suoi giorni di gloria all’interno del microcosmo scolastico, una tipologia comica inesplorata. Vessa e insulta tutti, usa ogni minima forma di potere cui accede per esaltare se stesso e si fa vanto delle caratteristiche peggiori.
Eppure nei suoi film non c’è niente di diverso da ciò a cui i comici televisivi ci hanno abituato, sono commedie sentimentali in cui la parte di sentimento è asciugata, moderata e banalizzata, film con un’immancabile spalla femminile molto più esile del corpo che negli anni Carlo Verdone è riuscito a dare alle sue partner. Le ragazze nei film di Zalone non sono diverse dalle sagome che Pieraccioni oppone al suo personaggio, buone per alzare la palla e consentire al comico di schiacciare, sempre blandite e adorate, donne angelo innocue con vestiti bianchi, mai forti realmente, mai diverse da un immaginario di quiete e serenità, di capelli in piega e trucco moderato. Mai autonome, sempre pronte a scegliere il bruttino simpatico che non le ha sapute nemmeno corteggiare. In una parola: pronte.

Sole a catinelle però tentava già un lieve distacco dal solito, forte del successo incredibile del film precedente (43 milioni) osava uscire dal reame del personaggio musicista e inseriva Checco nella vita civile, ne faceva un lavoratore con figlio, lo trasformava in persona da che era personaggio (ma con moderazione). Pur rimanendo un film fondato sull’umorismo di parola in cui la regia si limita ad inquadrare chi sta parlando con la massima chiarezza possibile, cerca di emancipare Checco e slegarlo da Zalone. In più “rinnova” la formula portando Checco in giro. Perché se la sua comicità si fonda sul politicamente scorretto occorre ogni volta trovare luoghi e posti diversi in cui applicarlo. Come i fratelli Marx fondavano i loro film su situazioni sempre nuove da sovvertire, su ordini costituiti sempre diversi da annullare con il loro caos (università, corse di cavalli, viaggi in nave, manifestazioni sportive, spettacoli teatrali…), Zalone pure ha bisogno di posti ingessati da graffiare di paesaggi nuovi in cui muoversi.

Quo Vado? promette di proporre il solito umorismo ma in giro per il mondo, dichiara fin da subito la sua esigenza di spostare il corpo di Checco in nuove situazioni. Mentre gli altri comici televisivi possono riproporre sempre situazioni molto simili perché il loro umorismo ha a che vedere con se stessi (cioè loro subiscono qualcosa e questo scatena la battuta), Zalone è carnefice e deve maltrattare sempre qualcuno di diverso. Non basta a se stesso.

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