Che succederà se davvero Netflix e Amazon tenteranno di migliorare il business delle sale

Cosa potrebbe accadere in caso Netflix, Amazon o simili acquistino una catena di cinema e che problemi dell'esercizio potrebbe risolvere

Critico e giornalista cinematografico


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Intanto il festival di Cannes, si è aperto molto più dell’anno scorso.

A Maggio del 2017 dicevano che mai più si sarebbero visti al festival film che non fossero poi distribuiti in sala almeno in Francia, ora Fremaux ha detto “Mai più in concorso”, di fatto trovandogli un posto nel fuori concorso che non è per nulla uno scarto o un ripiego (anzi in tanti lo chiedono per non rischiare di prendere le botte nella competizione e avere il medesimo richiamo mediatico, tappeti rossi e prestigio).

E quasi parallelamente nell’ambiente l’idea che Netflix, Amazon o qualsiasi altro gigante dello streaming possa acquistare una catena cinematografica sembra sempre meno assurda. Non ci sono notizie in materia ma solo speculazioni che ipotizzano, e in certi casi auspicano, l’arrivo di un outsider nel business dell’esercizio cinematografico per poter avere una vera e profonda rivoluzione, sottolineando quanto la cosa avrebbe senso anche per chi fa streaming. Inoltre ragionare su un ipotetico acquisto di una catena di cinema (non una sala dunque ma una buona fetta di sale) è un modo per ragionare sui problemi che l’esercizio da sé fatica a risolvere e invece qualcuno che ha in mano anche altro (la produzione di film e serie, abbonamenti richiesti ecc. ecc.) potrebbe sanare.

Non sfugge a nessuno che un simile scenario prevederebbe un accentramento che solitamente non è proprio sano. Il medesimo soggetto produrrebbe film, li distribuirebbe sullo schermo televisivo e poi li manderebbe nelle sale (le sue di sicuro, magari anche le altre), creando un unico grande imbuto per i filmmaker e un interlocutore unico a cui rivolgersi, o alle cui regole sottomettersi. Ma è anche vero che negli ultimi decenni la difficoltà di produttori, distributori ed esercenti ad accordarsi sui cambiamenti da apportare al sistema sono state tali che forse uno scossone anche in termini di assetto non sarebbe male.

Frank Gristina su TheStreet ad esempio applica uno sguardo da economista, che quindi non tiene nessun conto della parte creativa, della parte artistica e dell’eccezione culturale (il principio per il quale alcuni mercati, cioè quelli che hanno a che vedere con la cultura, dovrebbero essere soggetti a regole economiche un po’ diverse, che favoriscano anche prodotti di non immediato appeal). Lo stesso individua degli snodi interessanti quando, parlando del sistema americano, identifica 3 principali problemi con l’esercizio moderno: la tecnologia (non i proiettori ma tutto il sistema distributivo e di acquisto), l’integrazione verticale (il rapporto con produttori e distributori) e i prezzi. Sappiamo tutti che il cinema è il divertimento più economico ma è anche vero che non è possibile spendere qualcosa che si avvicina a 100€ per andare a vedere un film con la famiglia e un paio di amici. O quantomeno, si può fare ma non si può pretendere che sia un’abitudine, può solo essere un evento eccezionale.

Moviepass e tutte quelle compagnie che stanno ideando modi per vendere abbonamenti flat al cinema (paghi un tot al mese e vai in sala quanto vuoi) hanno indicato una possibile strada, evidentemente un gigante dello streaming potrebbe aumentare il prezzo del suo abbonamento per includere passaggi illimitati sulle proprie sale e potrebbe trovare altre economie di scala sui propri film, pagando molti meno intermediari. Oppure potrebbe dare gratis i suoi film (gratis nel senso di “compresi nell’abbonamento flat”) e far pagare poco di più per quelli altrui, guadagnando lì e con il tempo potendo rinegoziare con gli studios gli accordi di distribuzione. Perché è evidente che i margini dovranno essere inferiori per tutti, nessuno escluso, se si vuole riportare il cinema a prezzi che ne stimolino una fruizione più frequente.

Il punto alla fine è che come è accaduto in tantissimi altri settori dell’economia, un gigante di internet arriverebbe non ad integrarsi nell’ecosistema delle sale ma a distruggerlo, a rivoluzionarlo completamente, da capo a piedi e come un terremoto. Esattamente quello che solitamente l’esercizio tende ad evitare.

Basti pensare al lavoro sulla tecnologia e sui dati che potrebbe fare una compagnia del genere. Netflix, Amazon e simili sanno molto sui propri abbonati, sanno cosa guardano, cosa gli piace e dove vivono, potrebbero distribuire in maniera più mirata invece che a pioggia come avviene oggi, potrebbero “davvero” mandare solo certi film in sala e altri tenerli per la televisione, potrebbero di fatto modificare l’idea che abbiamo di cosa vada visto in un cinema e cosa in tv, un cambiamento che sappiamo benissimo essere nel nostro futuro e che prima arriverà meglio è.

Se il cinema d’autore avrà sempre un suo senso, pur incassando molto poco (ma a fronte di un costo di produzione più basso, agevolazioni date dalle co-produzioni e di una distribuzione molto ampia), mentre i blockbuster dovranno sempre faticare a pareggiare costi di produzione giganti, il meglio del cinema medio potrebbe tranquillamente fare a meno della sala. Si tratta delle produzioni che non puntano né sul linguaggio del cinema, né sulla spettacolarità e che in televisione (con le televisioni di oggi) si godono perfettamente come del resto godiamo delle serie tv.

Tutto questo, cioè ottimizzare la distribuzione, risolvere la questione del costo del cinema e un uso finalmente appropriato della tecnologia a disposizione per migliorare l’economia di scala, può davvero essere fatto dai soggetti che ad oggi lavorano nella catena dell’industria cinematografica? Sembra improbabile. Come anche per il mercato della musica, l’ingresso delle compagnie tecnologiche pare l’unico modo in cui davvero riformare tutto all’insegna di un consumo più vicino ad esigenze, gusti e modi di fruire di quel pubblico che tutti dicono di voler riagganciare ma nella pratica nessuno fa nulla per prendere.

Di contro per una grande compagnia tecnologica applicare i suoi metodi ad un business che ha luogo nel mondo reale potrebbe essere il complemento perfetto per inserirsi ancora meglio nella catena dell’industria e migliorare il suo core, cioè la produzione e distribuzione online.

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