Che cosa ha visto Robert Zemeckis in Pinocchio?

Pinocchio sembra un film su commissione Disney. Cosa hanno visto Robert Zemeckis e Tom Hanks in questo progetto?

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Parliamoci chiaro. Pinocchio di Robert Zemeckis ha l’aspetto di un lavoro su commissione. È il remake live action non del libro di Collodi bensì dell’adattamento del 1940. C’è venerazione in ogni fotogramma, dalle canzoni all’aspetto dei personaggi, e da parte di Disney una gran voglia di tornare a vendere giocattoli. Difficile considerarlo un film riuscito se non per la sua dose di nostalgia. Persino la mano del regista è particolarmente nascosta sotto uno stile da multinazionale: cioè senza asperità o tratti di rottura, coloratissimo e istituzionale. 

Quest’anno in cui è esplosa la Pinocchio mania (siamo in attesa anche dell’adattamento di Guillermo Del Toro in uscita a dicembre) il burattino che desidera essere bambino si conferma una di quelle storie che Hollywood ritiene immortali. C'è spazio, in questo contesto, per il libero arbitrio di uno dei registi di intrattenimento più significativi di sempre?

Cosa ci ha visto Robert Zemeckis?

Molto poco, viene da dire visto il risultato. Eppure ci sono alcune scelte chiave, che non salvano il film, in cui però si scorge una interpretazione personale.

L’aggiunta più significativa è quella di Fabiana (Kyanne Lamaya) e della sua marionetta Sabina. Compaiono qua e là lungo il secondo e il terzo atto e hanno il percorso più irrisolto di tutti. Forse sono state strategicamente introdotte per un sequel? La loro scena più riuscita riguarda però un transfer nel dialogo molto interessante cinematograficamente. Pinocchio per quanto desideri essere un bambino vero fatica ad adeguarsi alla frenetica avventura che gli sta capitando. L’unico momento in cui riesce a esprimersi con sincerità è quello in cui Fabiana lascia che sia Sabina a parlare con lui. C’è un’identificazione nel materiale con cui sono fatti, entrambi di legno. La scena si può leggere però anche più concretamente come la bambola di pezza che aiuta i bambini a parlare, un giocattolo intermediario per le emozioni.

Questo si riscontra anche nel finale dove Zemeckis si disinteressa della trasformazione in bambino vero. Svecchia in questo modo la morale: il grillo parlante\coscienza viene abbandonato perché Pinocchio ne ha sviluppata una sua interna. Per il regista però la condizione per cui si è “veri” e non di legno, è interamente legata alle emozioni. Provare dolore e gioia per il proprio papà lo rende di fatto come tutti gli altri. Si può essere figli in carne ed ossa o in legno e continuare a sbagliare e a cacciarsi nei guai. Una prospettiva finalmente moderna che bene si addice anche ad un prosieguo.

Citazioni a tempo d'orologio

La filmografia di Zemeckis dimostra il suo amore per l’ibridazione tra animazione (anche digitale) e live action. Da Chi ha incastrato Roger Rabbit il regista ha mantenuto il tono citazionista. Gli orologi di Geppetto suonano tutti insieme mostrando statuette dai classici Disney e Pixar. Un’idea così isolata rispetto al resto del film che stona particolarmente. Si capisce però l’intento “meta” che avrebbe dovuto togliere un po’ di polvere su una storia fin troppo abusata al cinema.

Realtà e fantasia, uomini veri e marionette arrivano anche da Benvenuti a Marwen. Un altro tono e altri obiettivi, ma ancora una volta la ricerca della vita negli oggetti serve per passare i traumi. Perché Geppetto ha perso un figlio, e vuole ricrearlo (non a immagine e somiglianza, sarebbe stato troppo complesso per un film del genere). È un peccato che tutto ciò sia stato affrontato con superficialità. Perché leggendo gli indizi sparsi qua e là sembra che in questa sceneggiatura la voglia di Pinocchio di diventare un bambino sia legata all’accettazione del papà. Stessa cosa al contrario: il desiderio di Geppetto era di riavere suo figlio, non un burattino animato. Le due trame si incontrano così sul finale. Ma tutto corre troppo velocemente e in maniera svogliata per colpire veramente.

Fantasia… mostruosa

Ci sono più mostri che nel Pinocchio animato. Zemeckis a tratti, e molto timidamente, inserisce degli elementi di novità. Il mostro marino come un Kraken, le creature di fumo e un paese dei balocchi molto più psicanalitico che espressionista. Il luogo è uno specchio delle paure del protagonista come raramente è stato.

Il problema è che tutta la fantasia è ricondotta a forza nella "fantasia Disney". Addirittura il brano When You Wish Upon a Star, onnipresente nella colonna sonora, sa di omaggio aziendalista. Altro che toccare corde emotive" Un product placement interno e autoriferito, come a spiegare il celebre logo e i valori che guidano la casa di produzione. Continuamente sottolineato e spiegato rende il tutto perfetto per il Disney + Day. Assurdo per il cinema.

Cosa avrà visto Zemeckis in Pinocchio oltre alla possibilità di svecchiare qualche elemento, sperimentare con la computer grafica, e provare qualche accenno più complesso sull’identità, resta un mistero. Sappiamo che invece fu Tom Hanks a insistere con entusiasmo per entrare nel film chiedendo all’amico regista di interpretare Geppetto. 

Ho sentito che lo stava girando. Io e Zemeckis ci troviamo ogni tre mesi e affrontiamo questioni filosofiche, ci raccontiamo le rispettive vite e i progetti. Ho saputo che stava facendo Pinocchio, l’ho chiamato e gli ho detto “hai Geppetto oppure non ancora?”. Mi ha chiesto se fossi interessato e gli ho risposto, “Bob, attraverserei l’isola che non c’è fumando una sigaretta per lavorare ancora con te in un film”.

Forse è questo Pinocchio: l’occasione per due amici di tornare bambini e divertirsi con leggerezza a fare cinema. Il paese dei balocchi però, va attraversato con attenzione.

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