Che cosa ha detto Shelley Duvall su Kubrick e le lacrime sul set di Shining
Shelley Duvall è tornata dopo anni a parlare alla stampa. Ecco cosa ha detto su Kubrick e sulla durissima lavorazione per Shining
L’intervista fu molto criticata, proprio per avere spettacolarizzato e mostrato al mondo la malattia mentale di Shelley Duvall. La figlia di Stanley Kubrick, Vivian, aveva criticato la trasmissione definendola “spaventosamente crudele” e una “forma di intrattenimento senza cuore”.
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È effettivamente riemerso un quadro di una donna con una grande dignità, con momenti di assoluta lucidità alternati a istanti di confusione. Un’attrice che ha portato sulla sua pelle, e nella sua mente, alcuni momenti di cinema altissimo e indimenticabile, ma non senza conseguenze.
Duvall ebbe l’offerta per il film da Kubrick stesso che le disse di ammirare la sua capacità di piangere. E la utilizzò al massimo, durante le estenuanti sessioni di ripresa che duravano sei giorni alla settimana per più di 16 ore. La donna arrivò a Londra per le riprese da sola, e l’intera produzione del film fu un’esperienza solitaria. Se Jack Nicholson aveva infatti affittato una casa a Londra dove conviveva con Anjelica Huston, Duvall aveva affittato un appartamento nell’Hertfordshire dove ha vissuto da sola. Doveva inoltre lavorare su se stessa per entrare nel drammatico stato emotivo del film e restarci molte ore.
Kubrick non la maltrattò, ma sicuramente non vide il disagio e la fatica che il ruolo comportava per l’attrice. Con il suo metodo cercava di portarla all’estremo continuamente, quasi torturandola emotivamente, proprio come il suo personaggio. Questa la toccante dichiarazione rilasciata da Duvall riguardo alla preparazione prima di una scena:
Pensavo a qualcosa di triste nella mia vita, quanto mi mancavano la mia famiglia e gli amici. Ma, dopo un po’, il tuo corpo si ribella. Ti dice: “smettila di farmi questo. Non voglio piangere ogni giorno”. E alcune volte solo questo pensiero mi faceva piangere. Svegliarsi il lunedì mattina così presto e realizzare di dover piangere tutto il giorno perché era programmato. Volevo scoppiare in lacrime. Pensavo “oh no, non posso farcela, non posso farcela”. E alla fine ce l’ho fatta. Non so come. Anche Jack mi ha detto la stessa cosa. Ha detto “non so come tu abbia potuto farcela”.
Quando il giornalista le ha chiesto se si fosse sentita abusata da Kubrick o sottoposta a un trattamento crudele l’attrice ha smentito:
È stato sempre cordiale e amichevole, ha passato molto tempo con Jack e me. Voleva sedersi e parlare per ore mentre la crew aspettava. Gli dicevano “Stanley, abbiamo 60 persone che ti aspettano” ma (quel dialogo) era una parte del lavoro molto importante.
Shining fu sicuramente un periodo molto difficile della vita dell’attrice. Non è provato però il legame tra lo stress del set e la sua condizione attuale. Quello che è certo è che la sua performance, entrata nella storia del cinema come una delle più iconiche di sempre, è nata da uno sforzo emotivo durissimo. E queste parole non fanno che riconfermare quanto anche lei, spesso all’ombra dei giganti Nicholson e Kubrick, abbia trasportato il film sulle sue spalle. Un lavoro silenzioso e solitario che ci ha donato un capolavoro immortale.
Fonte: HollywoodReporter