Challengers di Luca Guadagnino, in realtà, non è un melodramma a tre | Bad Movie

I protagonisti di Challengers sono semplicemente divini. Zendaya risplende, ma i colpi vincenti sono affidati a Josh O'Connor e Mike Faist

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Spoiler Alert

Il Bad Movie della settimana è Challengers di Luca Guadagnino, al cinema dal 24 aprile

Premessa

Quel lazzarone di Guadagnino. Il veicolo 2023 costruito ad hoc per far arrivare Zendaya (anche produttrice come Margot Robbie per Barbie) all'Oscar come Miglior Attrice Protagonista, a nostro avviso, è in realtà un film su Mike Faist e Josh O'Connor. Più specificamente sul loro amore. Un cavallo di Troia, insomma. L'ottavo lungometraggio di finzione diretto dal regista palermitano-internazionale è un inno alla love story tra due uomini che di mestiere prendono a racchettate con violenza una pallina gialla. Non il massimo della maturità, come ammetterà ironicamente uno dei due.

Challengers non è un melodramma a tre. Diciamo piuttosto una love story gay a due che tarda a scattare fino al magnifico finale dove si salta la rete della compressione e repressione che divide Patrick (O'Connor) e Art (Faist) da quando sono tennisti prodigio dodicenni per finalmente abbracciarsi e stringersi l'un l'altro come avrebbero dovuto fare già da un bel po'. Due maschi in competizione condizionati dall'omofobia, dunque ignoranti, bloccati in un eterno confronto peggio dei cavalieri dell'esordio di Ridley Scott. Entra in campo anche una femmina ferita nel corpo. L'ex giocatrice e campionessa Tashi Duncan (Zendaya) osserva Patrick e Art dalle tribune dello stadio nel 2019. Essendo, a differenza dei due, molto colta e consapevole capisce quella tenerezza e quel desiderio represso e compresso appena conosce quei due scriccioli per la prima volta nel 2006. Negli anni li visiterà, ascolterà, aiuterà e allenerà. Ci farà pure l'amore (con uno addirittura arriva una figlia). Il corpo della donna non è desiderabile più di quello dell'uomo (scelta assai astuta in chiave contemporanea come Garland che annulla ogni forma di desiderio erotico nei suoi giornalisti dentro Civil War per accalappiare la Gen Z, che ormai odia il sesso nei film e se lo vede si incavola perché lo trova sempre una scelta meschina e disonesta). Pensiamo che Zendaya Maree Stoermer Coleman ce l'avrebbe fatta a entrare in cinquina agli Oscar per l'edizione 2024 (lo slot di Annette Bening sarebbe stato il suo?) se Challengers non fosse stato rinviato. Potrebbe comunque farcela per quella del 2025, e se dovesse accadere Challengers avrà totalmente raggiunto il suo obiettivo. Ma non è lei l'innamorata sofferente. Chi dunque?

Fire & Ice

Patrick Zweig e Art Donaldson, amici e campioncini fin da piccoli come quando Belardinelli radunò a Formia la formidabile generazione dei Bertolucci, Panatta e Barazzutti. Li chiamano da sempre Fire & Ice come un cartoon di Ralph Bakshi diretto nel 1983 da corpus fumettistico di Frank Frazetta. Patrick Zweig è sbruffone, ha il cognome di uno degli scrittori preferiti da Wes Anderson (omaggiato in Grand Budapest Hotel), tennista fortissimo tra gli juniores ma poi una pippa da adulto (270esimo della classifica Atp a 31 anni). Non amministra bene le sue finanze, rifiuta di andare al college, non accetta consigli da una giocatrice molto più forte di lui (“Sono un tuo pari non una groupie!”), rivendica costantemente la sua autonomia rispetto a Tashi (peccato che si metta spesso una maglietta che prima metteva lei) ma la sua sfacciataggine è irresistibile. Quando Josh O'Connor fa la faccia da malandrino guardandoti con l'occhio implorante e le labbra piegate in un sorriso furbetto capisci che quello spaccone è però dannatamente simpatico e guascone. Ci passeremmo volentieri una serata o anche un viaggio non superiore alle tre settimane.

Amiamo Patrick perché ci ricorda che anche quando tocchiamo il fondo (tipo Julie Andrews che sviene dalla fame davanti al cibo in vetrina in Victor/Victoria di Blake Edwards, film adorato da Guadagnino) comunque non è ancora arrivato il momento di prostituirci con una coppia di attempati gay che contempla quasi quasi l'idea di rimorchiarsi lo straccione. Un attimo… ma per caso con la segretaria black del torneo de La Rochelle il virile Patrick si sarebbe forse trasformato in “marchettaro” qualora avesse avuto l'occasione? Pensiamo di sì. Perché il suo condizionamento sessuale glielo avrebbe concesso. Con la donna sì, con gli uomini no.

Di contro Art Donaldson sembra un nome da animatore Disney. Eccolo qui, Ice, ma del ghiaccio appuntito che poi si scioglie al sole ha solo la forma, grazie a un viso affilato e penetrante. Mike Faist lo fa cucciolo timido, a volte vicino al Woodstock di Schulz (di nuovo l'innocenza del fumetto/animazione per delineare graficamente questo personaggio). Lui il “senso di Stanford” lo capisce eccome e quindi eccolo studiare al college se Tashi gli dice di farlo, uniformarsi (nel senso che si mette proprio l'uniforme di Stanford come tanti altri), pendere dalle labbra della Duncan che non a caso bacia lui per primo mentre sarà Patrick a batterlo nel tempo facendoci l'amore e fidanzandosi subito con quella intellettuale del tennis. La filosofa. La protettrice. L'arbitro del rapporto tra Patrick e Art. In due parole…

Tashi Duncan

“Il tennis è una relazione” dice subito agli studentelli Fire & Ice. Chissenefrega se uno vince o se uno perde, se la palla entra o se la palla esce, se la prima di servizio fa ace oppure no. Non è questo il tennis per Tashi. Per lei quello sport è solo una scusa per entrare in rapporto con l'avversario, in una relazione che da intellettuale si fa poi carnale e passionale. Durante una partita lei legge l'avversario usando la racchetta, arrivando a intuirne le convinzioni più profonde. Addirittura una volta capisce improvvisamente che la signora con cui gioca è una razzista.

Nel film di Guadagnino, vediamo Tashi sempre molto controllata e riflessiva. Si eccita e caccia un urlaccio essenzialmente solo quando si trova davanti un match profondo, inquietante e sexy come una grande opera d'arte. O da duellante (all'inizio quando non è ferita) o da spettatrice (nel magnifico finale quando dopo l'infortunio è nel pubblico e finalmente vede quella benedetta relazione tra Patrick e Art materializzarsi davanti i suoi occhi). Prima di quel momento abbiamo conosciuto una donna cartesiana che ha dovuto reinventarsi da atleta a mentore/allenatore/manager/moglie/socia non senza fatica, frustrazione o sofferenza.

Sostanzialmente pensiamo che Tashi abbia avuto il compito arduo di far finta di farsi amare da Fire & Ice in attesa che la vera love story tra i due prendesse corpo. Ha resistito a Fire & Ice. Non si è congelata (nel rapporto con Art dove è manager a tratti gelida) e non si è bruciata (con il fiammeggiante Patrick dove l'impulso prende contraddittoriamente il sopravvento anche in una control freak come lei). Anche Tashi è liberata dal finale. Ecco perché si eccita, torna a urlare vicino a un campo da tennis ma soprattuto sorride di gusto felice perché i due, finalmente, non avranno più bisogno di lei per amarsi l'un l'altro.

Compress/Repress

La canzone che arriva alla fine ha un testo chiarissimo soprattutto quando Trent Reznor e Mariqueen Maandig cantano “Compress, repress / repress, compress / And then just surrender”. È un inno all'arrendersi all'amore. Quale però? Il connubio Fire & Ice o il poliamore? Ancora una volta, dopo Povere Creature! di Yorgos Lanthimos, un altro grande film della contemporaneità anglosassone (noi latini stiamo assai distanti) che si chiude con il superamento della monogamia come suggerisce la presenza di Toinette, l'amica socialista di Bella Baxter placidamente posizionata tra Bella e Max McCandles nel finale rilassato del film di Lanthimos modello arcadia.

È realmente così? Si apra il dibattito. È una possibilità. Tra queste righe e queste parole si crede più alla storia d'amore tra Patrick e Art con Tashi a fare d'ora in poi l'amicona cupido. Ma non escludiamo al 100% il poliamore. Una cosa ci salta alla mente: quando Spike Lee lo proponeva alla fine di Lei mi odia (2004) era proprio un fottuto rivoluzionario. Praticamente in 20 anni nessuno ci ha più pensato troppo dentro il cinema mainstream fino a Povere creature! e ora, forse, anche Challengers. Solo che in Lanthimos (attraverso l'ottimo sceneggiatore Tony McNamara che stravolge il libro di Alasdair Gray) lo schema è due donne + un uomo. Qui invece cambia in due uomini + una donna.

Un attimo. Cosa ci ricorda?

Past Lives

La sceneggiatura di Challengers è scritta dall'amante concreto e sincronico americano contrapposto a quello ipotizzato sudcoreano del passato nel gran film di Celine Song? Ebbene sì. Justin Kuritzkes pare replicare nel film di Guadagnino quello che gli è successo in vita? Può essere. Se il film di sua moglie è autobiografico come lei ha sempre sostenuto… ci sono pochi dubbi. Il simpatico fancazzista che diventava youtuber nella sua stanzetta del college con il video virale Potion Seller nel lontano 2011 è colui che viene interpretato da John Magaro in Past Lives, sorpresona agli Oscar 2024 e al box office italiano. È lui l'autore del copione di Challengers. È da questa nuova sensibilità maschile, non più tossica ma salubre, che stanno nascendo nuove grandi storie e ideologie cinematografiche con personaggi rivoluzionari come anche il Max McCandles di Povere creature!

A meno che il buon Kuritzkes non abbia voluto trasfigurare la sua sofferenza d'amante nei confronti della donna bizzosa e indecisa che ha frequentato per anni immaginando in Challengers una storia d'amore tra lui e il suo rivale sudcoreano per vendicarsi di qualche notte insonne. E questo sarebbe forse ancora più intrigante in una chiave speculativa. Glielo chiederemo quando lo incontreremo, se lo incontreremo mai.

Conclusioni

Guadagnino mai stato così celestiale, allegro e atletico? Sì. Un certo culto dell'allegria e convivialità ci ha ricordato i momenti più sereni di A Bigger Splash (2015) affidati al personaggio di Ralph Fiennes ispirato all'amicone Carlo Antonelli con cui il regista scrive ogni tanto i necrologi dei grandi del cinema.

Certi momenti salottieri di serenità in quel film… prima che la gente si ammazzasse e affogasse in piscina, ovviamente. Challengers è il suo film sportivo ricco di endorfine e giovani corpi atletici filmati con la stessa simpatica sensualità con cui Rafelson riprendeva Jeff Bridges, Sally Field e Arnold Schwarzenegger ne Il gigante della strada nel 1976.

I tre attori sono semplicemente divini. Zendaya risplende. Ma i colpi vincenti sono affidati tutti a Josh O'Connor e Mike Faist.

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