Il castello nel cielo è ovunque, dal Gigante di Ferro a Zelda

Il castello nel cielo è uno dei film più influenti di sempre, e negli ultimi quarant’anni lo si ritrova più o meno ovunque

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Il castello nel cielo tornerà nei cinema dal 27 luglio al 2 agosto grazie a Lucky Red

Il castello nel cielo, terzo lungometraggio di Hayao Miyazaki e il primo dell’allora neonato Studio Ghibli, è un esempio perfetto di quella che abbiamo deciso di ribattezzare “sindrome di Star Trek”. Succede soprattutto quando si approccia la serie di Gene Roddenberry da adulti, e puntata dopo puntata ci si sorprende di trovarsi davanti a idee già viste e già sentite – in opere successive, ovviamente. Da lì si comincia a vedere Star Trek ovunque, a riconoscerne l’impatto fondamentale nel suo genere e non solo. Laputa, com’è anche noto, un titolo (e non solo) ispirato all’isola inventata da Jonathan Swift, fa lo stesso effetto: è un’opera fondamentale, decisiva e influente come… non vorremmo esagerare, ma forse come nessun’altra creatura di Miyazaki, pur non essendo per forza la migliore. E quindi, una volta che si viene a contatto la prima volta con l’avventura di Sheeta e Pazu, è impossibile tornare indietro, e Laputa comincia a spuntare ovunque.

Non cominciamo neanche a elencare tutti i manga e gli anime che hanno pescato a piene mani da Il castello nel cielo, perché rischieremmo di finire domattina di scrivere l’introduzione. Da Makoto Shinkai a Mamoru Oshii passando, secondo alcuni, per Hidetaki Anno, il primo film dello Studio Ghibli ha segnato l’immaginario di intere generazioni ma soprattutto ha inventato (o popolarizzato e schematizzato alla perfezione, perché c’è sempre qualcuno meno famoso che certe cose se l’era inventate prima) un’enciclopedia di trope narrativi e di world building paragonabili per impatto a quanto fatto con Spielberg e la sua Amblin in America.

La sua ondata di influenza (artistica, non virale) arriva anche a Occidente: John Lasseter ha detto più volte che Laputa è uno dei suoi film preferiti, per esempio, e anche Il gigante di ferro di Brad Bird lo ricorda spesso, nel design del robot ma anche nella sua personalità. E d’altra parte si potrebbe obiettare che il film stesso nasce da un felice incontro tra le influenze più disparate: non solo Swift, ma anche lo steampunk e l’estetica vittoriana che incontrano il fantasy lo-tech di Nausicaä, l’avventura alla Jules Verne e il folklore giapponese, il tutto innestato su una struttura da romanzo picaresco con tanto di non uno ma due orfani come protagonisti. Miyazaki non ha mai nascosto le sue ispirazioni e la sua ammirazione per la produzione artistica occidentale, motore di certe idee originali e inconfondibili che trovano qui (e in Porco Rosso) la loro espressione migliore.

Se c’è un ambito che più di tutti deve baciarsi i gomiti per via del fatto che Hayao Miyazaki si sia un giorno inventato questa storia, però, è quello dei videogiochi, in particolare di quelli che, con un termine un po’ datato e secondo qualcuno razzista, vengono definiti “giochi di ruolo giapponesi”. Dai Final Fantasy ai Dragon Quest ai Tales Of, l’impronta di Il castello nel cielo è inconfondibile. C’è nella storia di due ragazzi indifesi e soprattutto soli che smettono di esserlo quando si incontrano, e che insieme riescono a superare difficoltà apparentemente insormontabili grazie al loro grande cuore. C’è in certe scelte estetiche: Sheeta che fluttua dolcemente al suolo illuminata da un raggio di luce blu che si sprigiona dalla pietra magica che porta al collo è un’immagine che, dal 1985 a oggi, abbiamo visto nelle sue infinite varianti in centinaia di JRPG.

Il castello nel cielo c’è in tantissimi videogiochi per la sua costante ricerca del ritmo, per il modo in cui struttura il suo racconto intorno a una serie di set piece collegati da momenti di raccordo che servono prima di tutto per preparare la strada alla prossima, imminente sequenza spettacolare. Guardando Pazu è impossibile non pensare a Oliver, il protagonista di Ni No Kuni – La minaccia della strega cinerea, ovvero quello che è diventato famoso come “il videogioco dello Studio Ghibli”. C’è nelle centinaia di migliaia di robottoni che sembrano cattivi ma in realtà hanno un cuore. C’è nell’unione tra natura, archeologia e tecnologia che è il castello nel cielo del titolo, un po’ rovina alla Indiana Jones, un po’ dungeon alla Zelda.

E ovviamente Laputa è ovunque grazie al suo abbondante uso di aeronavi, certo non un’invenzione di Miyazaki di per sé, ma qui usate per la prima volta come vere e proprie fortezze volanti, case semoventi, l’equivalente steampunk dell’Enterprise – personaggi del film, non solo semplici mezzi di trasporto. Un buon JRPG si misura dalla qualità delle sue aeronavi, e il merito è di Il castello nel cielo. Persino Super Mario Bros. 3 non sarebbe lo stesso senza le sue aeronavi.

A cementare la reputazione di Il castello nel cielo ha contribuito senza dubbio il fatto di essere un film maestoso, in termini di animazione (tutta a mano, ovviamente), di colonna sonora (del solito impeccabile Joe Hisaishi), di impatto visivo e drammaturgico. Pur essendo un’avventura tutto sommato spensierata e anche divertente, è anche un’epica, con un respiro quasi da Signore degli Anelli (pur senza raggiungere in questo senso le vette dell’opera precedente). Sarebbe stato un filmone anche senza l’influenza immensa che ha avuto, insomma. Figuratevi così.

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