La casa stregata: compie quarant’anni la stranezza soprannaturale di Pozzetto
La casa stregata, sono passati quarant’anni del curioso esperimento di Bruno Corbucci di girare una commedia di fantasmi con Renato Pozzetto
Ci siamo persi e torniamo quindi indietro a Renato Pozzetto: Corbucci gli ritaglia un ruolo su misura che mette insieme il suo amore per il surreale e l’assurdo e la sua anima milanese. Che in La casa stregata va in trasferta: Giorgio Allegri, questo il nome del suo personaggio, è un bancario che viene trasferito a Roma, e mentre cerca di ambientarsi tra quelli che sua suocera chiama “gli zulù” (al di là dei giudizi di merito, il film è oggettivamente pieno di battute anni Ottanta che vi faranno pensare “oggi non gliela farebbero scrivere”) va anche in cerca di una nuova casa, dove trasferire sé stesso, il suo cane Gaetano, la fidanzata Candida (Gloria Guida in uno dei suoi ultimissimi ruoli per il cinema) e la già citata suocera. La classica storia del sempliciotto sradicato e disorientato che caratterizza molti film di Pozzetto, ma con un twist: Giorgio è una persona di relativo successo, non un pesce fuor d’acqua, e le sue frizioni con la sua nuova città non hanno la stessa naïveté che aveva, per esempio, Artemio in Ragazzo di campagna.
Non stiamo parlando di qualcosa di metaforico/simbolico, né di una classica commedia degli equivoci fatta di vedo-non-vedo (più la seconda, visto che parliamo di fantasmi) nella quale per tutto il film rimaniamo con il dubbio che ci sia una spiegazione razionale dietro gli eventi in stile Poltergeist che si verificano nella villa. No, La casa stregata è un film con un fantasma che esiste e ha un’influenza molto tangibile sulla vita di Giorgio, la sua carriera, il suo rapporto con Candida, persino quello con il suo cane. In termini pratici questo significa lasciare spesso Pozzetto da solo sul set e fargli fare facce buffe mentre intorno a lui gli oggetti si muovono e le porte sbattono; e farlo spesso monologare, o dialogare con una creatura di puro spirito che di fatto è la stessa cosa. L’idea stessa del film è fatta apposta per lasciare al suo protagonista un palco e la libertà di improvvisare e divertirsi.
Vale la pena segnalare che Pozzetto non esagera con questa libertà e non si fa trascinare dalla tentazione di diventare mattatore unico. Il suo Giorgio è pur sempre un serissimo ragioniere, che affronta anche le situazioni più assurde con la razionalità e il senso pratico del milanese in trasferta. Il suo inappuntabile contegno e la moderazione con cui affronta quest’opera quasi solista, e il rifiuto di trasformarlo in uno one Renato show, contribuiscono a rendere il film più divertente anche della qualità media delle sue battute: diciamo che Pozzetto ha lavorato con sceneggiature migliori e con dialoghisti più in forma, e raramente La casa stregata scatena risate sguaiate e incontrollabili.
Al contrario, per essere un film comico italiano dei primi anni Ottanta è insolitamente sobrio e atmosferico, con una grande cura nella messa in scena e in particolare nel modo in cui è presentata la casa del titolo. La locura vera fa capolino solo nel terzo atto – che ci regala tra l’altro la dimostrazione che Renato Pozzetto sarebbe stato un Super Mario migliore di Bob Hoskins – e comunque senza mai esplodere davvero. L’unico elemento che davvero stona in questa storia italiana di fantasmi (ma non, vale la pena precisarlo, di fantasmi all’italiana: La casa stregata non prende quasi nulla dal folklore e dalle tradizioni locali e punta piuttosto sull’ectoplasma classico hollywoodiano) è la colonna sonora del gigantesco Detto Mariano, che è ovviamente molto bella ma che c’entra anche molto poco con il resto del film. Che, per la cronaca, quando uscì quarant’anni fa incassò 876.000.000 delle vecchie lire: se sapete di cosa parliamo, congratulazioni! siete anziani. La casa stregata è invecchiato bene in questi quarant’anni. E voi?
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