Carlito’s Way non è solo un altro Scarface
Carlito’s Way ha la sfortuna di essere “solo” un altro De Palma, ma riesce a elevarsi oltre lo status di semplice clone
Carlito’s Way uscì nei cinema italiani il 22 dicembre 1993
Carlito’s Way e la sfortuna di arrivare dopo
La prima, grande sfortuna di Carlito’s Way è di essere la seconda, attesissima collaborazione tra Brian De Palma e Al Pacino, che nel 1993 tornavano a raccontare una storia di criminalità organizzata come avevano fatto dieci anni prima con Scarface. Era impossibile quindi che Carlito’s Way uscisse al cinema senza venire immediatamente paragonato al suo predecessore – che però nel frattempo aveva avuto un decennio per accrescere la sua fama, diventare un classico riconosciuto e ultra-citato da chiunque e trasformare Tony Montana in una leggenda. Vale la pena qui ricordare che anche Scarface non fu precisamente un successo travolgente di pubblico e critica, almeno all’inizio: incassò abbastanza da andare in pari, ma gli ci vollero anni per arrivare al livello di fama di cui gode oggi.
A Carlito’s Way questo lusso non venne concesso. C’era già un riferimento per il genere, diretto dalla stessa persona e interpretato dallo stesso attore, e quindi il film poteva al massimo sperare di non sfigurare, perché è quasi impossibile sbalzare al primo colpo dal suo trono un prodotto culturale con alle spalle anni di studi, approfondimenti e complimenti. E infatti Carlito’s Way non sfigurò, ma neanche fece faville; Carlito Brigante piacque, ma non quanto Tony Montana. Quello che passò del tutto inosservato fu il fatto che quella di De Palma fosse una scelta, non un limite di scrittura.
Carlito, uomo sobrio
Quello che vogliamo dire è che uno dei motivi per cui Scarface è così amato è che è un film magniloquente, barocco, esagerato, con momenti iconici tutti costruiti intorno a un’idea estrema, che sia una letterale montagna di cocaina o una sparatoria infinita. E questo perché Tony Montana è un gangster, è uno che vuole scalare la (metaforica, questa volta) montagna e diventare un pezzo grosso. È dentro al crimine fino al collo e ci sguazza, e non ha intenzione di uscirne.
Al contrario, Carlito Brigante è davvero un uomo redento, che fa l’impossibile per cambiare una volta per tutte il suo destino. Ha un sogno, che lo porta lontano dagli Stati Uniti. Ha un passato, certo, che gli conferisce un’aura quasi mitologica che si rivela essere, per gran parte del film, la sua arma principale. Ma soprattutto, a differenza di Tony Montana, Carlito non ha voglia. Carlito’s Way è in questo senso più vicino al terzo Padrino, per restare in tema Al Pacino, che a Scarface: è la storia di un uomo che tutte le volte che pensa di esserne uscito viene trascinato di nuovo dentro. Nessuna delle persone con cui parla Carlito dopo essere uscito di prigione crede davvero che sia un uomo cambiato. Il suo primo nemico è la sfiducia endemica che il prossimo ha nei suoi confronti – a buon diritto, visto che parliamo di un ex killer prezzolato, ma lo stacco tra come la gente continua a vedere Carlito e come egli stesso si vede, o vorrebbe essere visto, è la più grande fonte di frustrazione per il protagonista, che ha spesso la sensazione che la gente intorno a lui semplicemente non lo ascolti.
Quel gigante di Al Pacino
Ovviamente c’è un motivo se Carlito’s Way riesce a fare discorsi così complessi pur non essendo un film particolarmente parlato, e questo motivo è poi un’altra delle sfortune del film. Parliamo di Al Pacino, che lungi dal limitarsi a replicare Tony Montana adattandolo alla sua nuova nazionalità dà vita a un personaggio realmente tridimensionale (anche di più, secondo noi, della sua controparte in Scarface…) e che affronta la sua situazione con un approccio più raffinato di quello del gangster medio. “Perché questo dovrebbe essere un problema?”, direte voi.
Chiedetelo a De Palma e ve lo spiegherà con la precisione di chi conosce i meccanismi di Hollywood come le sue tasche: Al Pacino era reduce dall’Oscar per Profumo di donna, il che secondo De Palma avrebbe automaticamente causato critiche e paragoni (poi puntualmente arrivati), perché se hai vinto l’Oscar per un film, qualsiasi altra opera nella quale compari è sicuramente di qualità inferiore. Questo, unito all’immancabile confronto con Tony Montana (un personaggio decisamente più esplosivo e quindi facile da ricordare), ammazzò ogni possibilità di successo per il povero Carlito Brigante, che pure rimane una delle interpretazioni migliori della carriera di Al Pacino. Migliore e sfortunata, un po’ come tutto Carlito’s Way: nel caso non foste già dalla parte giusta, approfittate del suo compleanno per riguardarlo e, finalmente, rivalutarlo.