Captain America: un eroe a stelle e strisce. Ma come ha fatto a piacere anche fuori dagli U.S.A?

Oggi Captain America riesce ad appassionare un pubblico vastissimo. Eppure, all'inizio aveva un problema: come farlo amare fuori dagli U.S.A?

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Oggi sembra scontato che un personaggio come Captain America riesca ad appassionare un pubblico vastissimo. Ci appare logico che un vecchio Steve Rogers, che ha deposto lo scudo per riuscire a coronare il sogno di quel ballo perso nel tempo, commuova il mondo intero.

Eppure, all'inizio, Captain America era un problema. O, per lo meno, era un personaggio assai complicato da gestire. Nel lontano 2011, quando il personaggio fece il proprio debutto, il suo nome "America" aveva ancora un’inflessione kitsch. Suonava propagandistico, retorico, ingenuo. È la pesante eredità che grava su chi nasce in tempo di guerra (il fumetto, non solo il personaggio) per chiamare i giovani ad una posizione, per segnare il racconto della guerra tra “buoni” e “cattivi”. 

Certo, Steve Rogers nei fumetti si è evoluto, è diventato complesso e drammatico. Ma questo, gran parte del pubblico del cinema, non lo sapeva. Come riuscire quindi a convincere fuori dall’America a pagare per le avventure di un supereroe che, dal nome e dal costume, sembrava voler coccolare le fantasie nazionalistiche del nuovo mondo?

Ci furono due mosse molto furbe, che permisero al film per lo meno di giocarsela. La prima fu una scelta obbligata: allungare il titolo. Non più Captain America ma, Captain America: il primo vendicatore. Come a dire: non stiamo raccontando una storia americana, stiamo narrando le origini degli Avengers. La "A" che indossa non è "America", ma "Avengers". E invece il film fu poi, sapientemente, un trattato cinematografico sulla propaganda. Su come gli Stati Uniti amano raccontare se stessi e su come, alla fine, si celebrano imprese finte dimenticando gli atti di eroismo più costosi.

La seconda scelta importante fu quella di promuovere il film come prodotto “dai creatori di Iron Man”. Non che Tony Stark fosse meno radicato nel tessuto U.S.A, anzi! È attivo nella guerra in medio oriente, produce e vende armi, ha fondato un polo tecnologico d’eccellenza… ma chiunque può aspirare ad essere un genio playboy. Più difficile voler essere la rappresentazione vivente della bandiera a stelle e strisce.

Captain America nasce quindi al cinema affrontando direttamente il suo passato. Era necessario un film per la sua origin story? No di certo. Ma serviva conoscerlo nella guerra, nei suoi giorni senza poteri, per capire che Steve non è l’America. Steve è l’ideale di un uomo buono.

Captain America

Da qui cambia tutto. Captain America implode su se stesso. Si contorce nelle contraddizioni lancinanti. Inizia a vedere il proprio paese come lo vede il mondo esterno. Non troppo, ma quel che basta per un blockbuster dal respiro globale. I suoi sono valori universali, che talvolta si scontrano con quelli considerati tipicamente americani. In Civil War, Steve Rogers compie un atto da terrorista. Non rispetta la legge, va in clandestinità. Perché crede nella libertà, anche a costo della sicurezza. Tutto questo mentre, nel mondo reale, veniva portato avanti un programma di sorveglianza di massa (denunciato poi da Edward Snowden).

Nei giorni prima dell’arrivo in sala gli executive della Paramount (che allora distribuiva i film Marvel) raccontavano Steve Rogers come “un simbolo di libertà, forza e determinazione. Qualità con cui il pubblico di tutto il mondo può identificarsi”. Stan Lee stesso disse che il film non sarebbe stato “contro nessun paese o alcun gruppo di persone, ad eccezione dei cattivi, che possono appartenere a qualsiasi razza, confessione religiosa o nazionalità”.

Steve Rogers non crede (più) nell’America a partire da The Winter Soldier. C’è lo specchio della guerra fredda, ma è solo un accenno. Bucky è espressione dei sovietici non più di come Il Teschio Rosso lo era della “minaccia comunista”. Era piuttosto un novello Hilter, un dittatore spietato bramoso di controllo sul mondo. Ma nella storia Marvel al cinema non è ben chiaro quanto di questi eventi del mondo reale siano accaduti né in che modo. 

I Marvel Studios portano le sue avventure fuori dall’America. Ne Il primo vendicatore gran parte della storia è ambientata in Europa. Con Captain America: Civil War, il conflitto assume scala globale tanto da richiedere ai registi di indicare con didascalie il luogo in cui si svolge l’azione. Addirittura, Cap finisce esule in Wakanda.

La Marvel si è spesso inventata luoghi di fantasia come quello sopra citato: Sokovia, Latveria e Madripoor sono tre esempi. L’Amerca dei Marvel Studios, pur essendo metafora dell’oggi, non è diversa da una nazione di fantasia. Il presidente Ellis, “crocifisso” in Iron Man 3 è quanto di più generico un presidente possa essere (nei fumetti non è così).

Captain America è però il supereroe più politico. Non sappiamo dove metta la il suo voto nel segreto dell’urna (anche se lo possiamo intuire); sappiamo però quanto ha pagato le sue scelte. Steve prende posizione. Gli viene chiesto di essere una guida ma, quando ci si trova di fronte a un bivio non si possono provare entrambe le strade. E per questo si fa dei nemici e va in crisi. 

Il suo corpo ferito di fronte a Thanos non rappresenta più un’America a pezzi. È la carne di un ideale, non di un senso di nazionalismo. È un uomo che sta in piedi contro la corruzione, contro chi brama il potere per opprimere. Un nome ormai diventato vuoto, portato da un individuo pieno di tutto ciò che, comunemente, è considerata virtù. 

Ora lo scudo passa a Sam Wilson. Un americano che invece dovrà affrontare la sua nazione, i pregiudizi che si celano nelle sue strade, la divisione che la dilania. Lo scudo non è mai stato così conteso. 

Trovate tutte le notizie sulla serie The Falcon and the Winter Soldier nella nostra scheda.

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