Captain America: The Winter Soldier, fare i supereroi è un duro lavoro | Un film in una scena
Con Captain America: The Winter Soldier cambia tutto: i Marvel Studios iniziano a esplorare i generi e cosa significa essere supereroi
Captain America: The Winter Soldier non è solo, ancora oggi, uno dei film dei Marvel Studios più riusciti e maturi. È la storia che ha trasportato l’universo cinematografico su un’altra dimensione. Da qui in poi le cose inizieranno a farsi sul serio, con il genere supereroistico che inizia a muoversi nel resto del cinema.
I Russo riescono a portare a casa un peso massimo a livello di casting: Robert Redford. La sua presenza è significativa. In primo luogo per il bell’omaggio al già citato film di Sydney Pollack di cui l’attore era protagonista. Ma non solo. Il fondatore del Sundance, il festival più importante per il cinema indipendente, non ché un attore molto esigente e ritirato in una sorta di “pensione con eccezioni” dal lavoro, raggiungeva la squadra di creativi che aveva appena sconvolto il botteghino con The Avengers. Prima di lui solo Anthony Hopkins aveva superato il velo di pregiudizio verso queste produzioni.
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Per la prima volta la Marvel adotta un titolo direttamente tratto da una run fumettistica. Ed Brubaker, in quegli anni apprezzato scrittore delle storie di Cap, diede il suo benestare (e anche una mano alla sceneggiatura. Chi vi scrive non ha prove a sostegno di questa affermazione, ma ne è fortemente convinto). The Winter Soldier ha quindi la libertà di non essere un seguito, ma un film a sé stante. Saranno tutti così le puntate della storia Marvel seguente. Ad eccezione dei Guardiani della Galassia che, con i loro “capitoli” mantengono un’uniformità di tono e di trama che gli altri non hanno.
Captain America: The Winter Soldier parla dell’America di quel tempo.
Nel 2013 Edward Snowden denunciava un piano di sorveglianza di massa sostenuto dal governo degli Stati Uniti. Nel 2014 lo S.H.I.E.L.D crollava sul grande schermo.
Chi doveva mantenere la pace si scopre contaminato da chi fomenta la guerra. Captain America, soldato simbolo, è costretto a fuggire come un nemico della nazione. La statura morale inizia a non servire più, nel mondo moderno, per fare la cosa giusta. I giusti si rivelano corrotti, chi agisce per il mantenimento della sicurezza si trova, come un sovversivo, ad opporsi al sistema di cui era ingranaggio fondamentale.
Tutte cose già viste, lette e scritte più volte. Che meritano però di essere ribadite in quanto passaggio fondamentale nella costruzione del personaggio.
C’è un’altra cosa, passata spesso in ombra, che rende The Winter Soldier un film incredibile e rivoluzionario: è il primo cinecomics in cui essere supereroi emerge come un lavoro, non più che come una semplice scelta morale.
Rileggiamo l’universo Marvel sotto questa prospettiva: Tony Stark è il genio, l’Elon Musk che non conosce padroni. È il capo di se stesso, le sue invenzioni fotografano la sua interiorità.
Thor è invece il principe. Ricoperto di onori e potere (inizialmente) non per merito, ma per stirpe. Non ha superiori, ad eccezione del padre, e raramente si degna di rapportarsi ai sudditi.
Hulk è l’outsider. È imprevedibile, bipolare, non può appartenere a un ruolo sociale solo. È fuori da ogni classifica e gerarchia.
E poi c’è Cap, che di capitano non ha niente, anzi! Steve Rogers è l’uomo che prende ordini, che porta a termine i compiti assegnati. È l’impiegato delle missioni super segrete, il lavoratore che risponde ad un capo, spesso senza farsi troppe domande. I fratelli Russo gliele fanno porre. Lo mettono di fronte al suo ruolo nel meccanismo, gli chiedono di guardarsi all’interno e decidere da che parte stare.
Un personaggio normale avrebbe affrontato la sua coscienza. Cap deve affrontare il proprio passato. E così anche i comprimari: inizialmente al posto della Vedova Nera doveva esserci Occhio di Falco, poi scomparso dalla sceneggiatura in funzione di Natasha. Chi più di lei ha un passato tormentato con cui confrontarsi?
“Prima era il KBG, ora l’Hydra”, dice Romanoff a Rogers: sembra di stare sempre dalla parte sbagliata, di combattere per il nemico.
Sam Wilson, Falcon, è un soldato a fine carriera che fa i conti con il passato. Un commilitone morto, lo stress post traumatico, una vita nuova che è sempre più difficile da costruirsi. Falcon non deve più obbedire, è fuori dal sistema.
Nick Fury invece proprio con le sue azioni nel passato ha creato e motivato la visione politica distorta e distruttiva di Alexander Pierce.
Infine Bucky, il Soldato D’Inverno, vera propria controparte “spettrale” di Captain America, annunciato dalla splendida colonna sonora di Henry Jackman come un grido lontano che si perde nei ricordi. Come aggiustare il passato? Come correggere quello che è stato e, in certi casi, è stato perduto (il rapporto con Peggy Carter, separato letteralmente in due epoche distinte)?
L’impiegato Rogers ha ricevuto l’ordine di distruggere ciò che è stato... e andare avanti. L’uomo Steve ha scelto di smettere di combattere contro ciò che non può cambiare. Di convivere con il proprio retaggio e fare al meglio… un passo alla volta.
“Pare che sia tu a dare gli ordini ora!” dice Fury a Captain America, prima di accettare di smantellare lo S.H.I.E.L.D.
Nel film c’è una scena che racchiude tutto questo. È un momento trascurabile, sebbene di grande tensione e ben diretto, ma che assume secondo questa lettura una luce nuova e diventa un passaggio chiave.
Brock Rumlow (Frank Grillo) tiene in ostaggio la centrale operativa S.H.I.E.L.D. Punta la pistola ad un uomo di fronte al computer e gli ordina di avviare il lancio del progetto Insight, che porterebbe all’uccisione di migliaia di persone. L’uomo esita, trema di paura, sa che sta rischiando la vita. Ma trova il coraggio di rifiutarsi e opporsi, dando il tempo e lo spazio di una controffensiva.
In un film basato su una prospettiva più terrena e concreta, fatto di politica e corruzione, questa è la forma in cui anche un comune lavoro, svolto da persone comuni, può diventare una faccenda da supereroi.
La ribellione all’autorità è ciò che separa gli eroi dai villain.
Questi ultimi, quasi sempre fuori dalle regole, sovversivi agenti di caos (Joker ne è l’emblema), per la prima volta sono ai posti di comando. E su questa sfiducia nella politica Marvel (ma molto tangibile anche nel mondo reale!), si baserà proprio una Civil War in cui gli “impiegati" dovranno alzare la testa e ricostruire da capo un nuovo sistema di equilibri.
E tutto questo grazie ai fratelli Russo chiamati come semplici esecutori televisivi, e rinati come sovversivi registi cinematografici.