Cannes 72 riconosce il nuovo cinema d'autore (quello di genere) in un palmares buono. Ma l'anno prossimo?

L'edizione 2019 di Cannes ha sancito la scoperta anche per Cannes di quale sia il nuovo cinema d'autore

Critico e giornalista cinematografico


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La palma è andata, semplicemente, al migliore. Per il secondo anno di fila la giuria di Cannes si allinea con il parere della maggior parte delle persone che hanno seguito le proiezioni del concorso e assegna il massimo premio ad un film asiatico. L’anno scorso Un affare di famiglia di Hirokazu Kore-eda, quest’anno Parasite di Bong Joon-ho (acquistato per l’Italia da Academy Two, quindi uscirà). Lontano dai suoi film di fantascienza, dai suoi film di mostri, dai suoi film polizieschi, questo di Bong è un film a forma di festival, una commedia nera, politica, piena di genere e idee, in cui il suo rigore e il suo gioco di primi piani e sfondi serve a raccontare alti e bassi, ricchi e poveri. Assieme a Park Chan-wook e Kim Ki-duk, rimane il più grande talento uscito dalla Corea, è venuto qualche anno dopo questi due e a differenza loro sembra migliorare con il tempo.

In questo concorso che è stato pieno di film di genere o fintamente tali, tanto che sembra proprio che il comitato di selezione abbia finalmente capito cosa sta succedendo al mondo del cinema d’autore (il cinema di genere è il nuovo cinema d’autore da diversi anni a questa parte), il secondo premio l’ha preso un film con fantasmi (Atlantics, decisamente non granchè ma almeno voglioso di creare qualcosa tra l’animismo voodoo africano e il cinema come lo conosciamo) e il terzo a pari merito un film brasiliano con droni, sparatorie e vendette (Bacurau, anche qui non eccezionale) e uno di banlieue (Les Miserables, questo sì una rivelazione, opera prima di Ladj Ly).
Infine il premio per la miglior attrice è andato a Emily Beecham per l’horror (all’acqua di rose) Little Joe.

Il resto dei premi somigliano più al consueto, tra Banderas miglior attore per Dolor Y Gloria (lo avevamo capito dal primo giorno tanto è clamorosa quest’interpretazione), i Dardenne per la miglior regia (Young Ahmed grida vendetta per come è tronco) e l’inevitabile Portrait of a Lady on Fire per la sceneggiatura. Tre dei quattro film diretti da donne in concorso sono stati premiati, è rimasto fuori solo Sibyl di Justine Triet. Era davvero troppo anche per la giuria.
Infine la tenerezza, l’umorismo e la marginalità di Elia Suleiman sono fruttati un premio speciale. Ci può stare.

Niente per Tarantino, cosa che si era capita, perché il suo film proprio non è un film a forma di premio a Cannes. E niente per Bellocchio, troppo dura la concorrenza nelle categorie in cui era più accreditato.

Non una premiazione perfetta (e quando mai lo sono?) ma abbastanza soddisfacente.

Di certo rispetto a come era partito il festival, agli annunci e ai film “sulla carta”, è stato molto migliore delle aspettative. Un’edizione che ha rischiato più di quel che non ci si aspettasse e ha regalato un livello medio del concorso ottimo, piazzando fuori concorso diversi film ottimi (Maradona, Rocketman, Belle Epoque, The Gangster, The Cop, The Devil). Pochissime fregature d’autore.
Nonostante tutto ciò la cronica assenza di star ha svuotato il festival. Era infatti tangibile che ci fosse meno gente dell’anno scorso, quando a sua volta c’era stata meno gente del precedente.

La vera impresa di Thierry Fremaux però è stata di oscurare le altre sezioni (e non gli riusciva da tempo!), quest’anno non pervenute, non discusse, mai in partita. L’unico film che sembrava interessante al di fuori della selezione ufficiale (Lighthouse) si è rivelato una delusione.

La domanda cruciale ora è cosa farà Cannes per recuperare il cinema americano. Quest’anno due film collettivi (The dead don’t die e Once Upon A Time in Hollywood) hanno salvato la baracca, ma il prossimo? Finita l’era Weinstein, rimessasi in forze Venezia e sbarrata la strada a Netflix (occhio che un film di Netflix c’era ma non in concorso, che è la sezione che gli è proibita) come può questo festival sperare di garantire ogni anno delle star americane? E come può, in tutta onestà, continuare a ripetere di essere fiero di non essere piegato agli interessi degli americani, di non essere una succursale di Hollywood un festival che tutto quello che ha lo deve a come a fine anni ‘70 e per tutti gli ‘80 è diventata la finestra della New Hollywood mentre il festival di Venezia rimaneva chiuso?

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