Call of Duty: Black Ops IIII, cosa rende unico Blackout rispetto a tutti gli altri battle royale

L’esordio di Call of Duty: Black Ops IIII nell’arena dei battle royale è stato certamente un successo.

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Quello di Call of Duty: Black Ops IIII è un battle royale a suo modo atipico, particolarissimo, figlio di un retaggio che non tradisce le sue origini. Nonostante Blackout sia un prodotto evidentemente e chiaramente derivativo, un erede illegittimo, per non dire clone all’ennesima potenza, del arcinoto ed apprezzatissimo PlayerUnknown's Battlegrounds, c’è un dettaglio che ne distingue il ritmo e, allo stesso tempo, aiuta ad esaltarne il gunplay estremamente più raffinato e profondo del pur affermato concorrente.

Dopo decine e decine di partite, dopo numerose ore passate sui server del gioco, possiamo affermarlo senza alcun timore di smentita: questa modalità serviva a rinvigorire lo spirito di una saga che rischiava di avvitarsi mortalmente su sé stessa, inseguendo trend ormai superati, accontentandosi di convincere riproponendo il solito, familiarissimo, mix di meccaniche ampiamente collaudate.

[caption id="attachment_190885" align="aligncenter" width="1000"]Call of Duty Black Ops IIII screenshot Visivamente il titolo ricorda molto alcuni scorci di PlayerUnknown's Battlegrounds.[/caption]

Multiplayer e modalità Zombie, come abbiamo già sottolineato in sede di recensione, svolgono alla grande il compito prefissatosi. Da una parte, sottraendo, eliminando jet pack ed amenità simili, Treyarch ha preferito che i deathmatch si focalizzassero sull’utilizzo strategico delle abilità uniche degli Specialisti, quando non su un ragionato gioco di squadra. Dall’altra, offrendo una quantità di contenuti ed una varietà senza precedenti, abbiamo potuto saggiare la bontà e ricchezza di un’apocalisse zombie impreziosita da una (pseudo)trama sufficientemente stuzzicante da invogliare i videogiocatori a scoprire tutti i segreti celati nelle ambientazioni proposte."Una volta atterrati sul campo di battaglia, in effetti, la differenza si sente immediatamente. Non solo nella reattività del sistema di controllo, già piuttosto soddisfacente nella produzione Epic Games, ma anche e soprattutto nel feeling restituito ad ogni colpo esploso, nella gestione perfetta degli hitbox, nella più netta diversificazione tra una bocca di fuoco e l’altra"

Paradossalmente, tuttavia, è proprio Blackout ad apparire come la modalità più innovativa del terzetto. Al di là del fatto che stiamo pur sempre parlando del primo battle royale tripla A ad esordire sul mercato, il primo, per quanto incluso in un pacchetto più ampio, a non essere proposto gratis (Fortnite) o ad prezzo budget (il già citato PlayerUnknown's Battlegrounds), l’esperienza proposta da Activision ha affettivamente un retrogusto tutto suo.

Una volta atterrati sul campo di battaglia, in effetti, la differenza si sente immediatamente. Non solo nella reattività del sistema di controllo, già piuttosto soddisfacente nella produzione Epic Games, ma anche e soprattutto nel feeling restituito ad ogni colpo esploso, nella gestione perfetta degli hitbox, nella più netta diversificazione tra una bocca di fuoco e l’altra.

Questione di pedigree, certamente, di esperienza del team di sviluppo, ovviamente, di un gameplay che si è evoluto attraverso quindici anni di vita della saga, tra episodi di successo e qualche inevitabile passo falso.

Eppure, dicevamo in apertura, non basta questo a rendere davvero unica ogni partita a Blackout. Il discriminante rispetto agli altri battle royale, va cercato altrove, un altrove che non ha nulla a che vedere con quanto realizzato da Treyarch e richiesto da Activision. A fare la differenza sono i videogiocatori stessi, animali esotici, quasi del tutto sconosciuti all’attuale panorama dei battle royale, autentici ibridi forgiati dal gunplay sotteso da Black Ops IIII.

Innanzitutto, un dato di fatto: Blackout è automaticamente impostato per essere affrontato in team da quattro componenti. C’è la squadra a due, non manca certamente la possibilità di affrontare il tutto in solitaria, ma lo standard prevede lo stesso gioco di squadra che rende tanto speciale, ed inedito, il multiplayer di questa iterazione.

Non ci sono i poteri speciali degli Specialisti, ovviamente, eppure si scopre piuttosto in fretta che senza un minimo di cooperazione non si ha praticamente alcuna speranza di farcela nel violentissimo mondo di Blackout. Sì, perché a balzare immediatamente all’occhio è l’estrema aggressività di tutti i concorrenti. Laddove una mappa dalle proporzioni ben più generose rispetto a quelle di Fortnite, sembrerebbe suggerire ritmi più compassati, anche lontani dall’azione ci si accorge come il counter degli utenti ancora in gioco cali con incredibile rapidità.

Nonostante una velocità e capacità di spostamento degli avatar tendente al realismo, l’impossibilità di costruire strutture che facilitino nell’eliminazione degli avversari, la relativa assenza di eventi casuali che incentivino i soldati a raggrupparsi in un unico punto della mappa, in Blackout si spara molto e spessissimo.

I tempi morti, quelli che a modo loro sanno rendere peculiare ed appassionante ogni partita a PlayerUnknown's Battlegrounds, sono ridotti all’osso, piccole parentesi entro cui recuperare nuove armi o gestire il proprio equipaggiamento. Salvo rarissimi casi non si riesce proprio a “camperare”, a trovare una posizione in cui nascondersi, a barricarsi in modo efficace.

Blackout è permeato da una vivacità che veicola un gameplay brioso, intenso, a tratti frenetico. Non si vince (solo) muovendosi con circospezione: le azioni concitate, le manovre irruenti, le strategie sfrontate sono premiate spesso e volentieri.

[caption id="attachment_190886" align="aligncenter" width="1000"]Call of Duty Black Ops IIII screenshot Anche in posizioni e situazioni di evidente vantaggio, non si può mai essere certi di avere la meglio.[/caption]

Non è Fortnite nella misura in cui si è ancorati ad un forte realismo, non è PlayerUnknown's Battlegrounds per il ritmo d’azione che assorbe il videogiocatore in un vortice assuefacente fatto di partite che si consumano con relativa velocità.

Sarà un battle royale, quello di Call of Duty: Black Ops IIII, ma lo è in un modo del tutto atipico, grazie soprattutto alla sua utenza, forgiata da anni di FPS made in Activision, incentivata da un gameplay più raffinato di quanto si possa pensare.

Da ultimo arrivato, insomma, Blackout ha già imposto nuovi standard al genere dei battle royale. Il che non è affatto poco.

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