Bussano alla porta: nessuno vuole stare davanti all’apocalisse
Un'analisi (con spoiler) di Bussano alla porta. Il nuovo film di Shyamalan è fatto di villain riluttanti e di twist ben nascosti
Attenzione spoiler su Bussano alla porta. Non sono pochi. Leggete con discrezione.
Una coppia vuole passare una vacanza tranquilla con la propria figlia in una casa in mezzo al bosco. Quattro sconosciuti si presentano alla loro porta. Hanno armi bianche che si sono costruiti da soli. Con tutta la gentilezza possibile forzano l'ingresso, entrano, sequestrano la famiglia con galanteria. Scusandosi li informano che andrà fatto un sacrificio. Uno di loro dovrà morire per mano dell’altro famigliare per scongiurare l’apocalisse.
La cosa che colpisce di più di Bussano alla porta è però la sua dimensione civile. Il film procede come una discussione tra gentleman, se non fosse che due sono legati e gli altri quattro hanno gli occhi da pazzi fanatici. Dave Bautista, che interpreta Leonard, offre un’interpretazione a contrasto tra il corpo e i suoi dialoghi. È la miglior scelta di regia. Perché lui è un adorabile insegnante delle scuole elementari con un fisico mai visto per quella professione (fa ridere a immaginarlo). È ovviamente minacciosissimo (Eric e Andrew, i due malcapitati, sono spaventati solo da lui) ma consegna le linee di dialogo più pacate ed emotive. Dopo pochi minuti è già chiaro che né lui, né gli altri, vogliono fare quello per cui sono lì.
È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo
Shyamalan riesce così a infilare la sua sensibilità dentro un libro non scritto da lui (è di Paul G. Tremblay) e una sceneggiatura scritta insieme a Steve Desmond e Michael Sherman. Cioè che anche questo mondo funziona secondo delle regole cosmiche e delle leggi che non capiamo. Chi si risveglia e le intuisce è costretto poi a seguirle.
Ribellarsi al proprio destino è la cosa più sbagliata che si può fare in un film di Shyamalan. Persino il dottor Malcolm Crowe del Sesto senso passa tutta la storia a prendersi cura di Cole solo per non accettare la sua reale condizione.
Bussano alla porta si eleva oltre la media grazie a questi momenti: quando nessuno vuole ammazzare brutalmente gli altri eppure lo fanno. Quando accade gli assassini soffrono ancora di più della famiglia imprigionata! Piangono, hanno conati di vomito e crisi di panico. Killer riluttanti che si ammazzano tra di loro e non possono torcere un capello alle persone che vogliono (o meglio devono) vedere morte. Un paradosso che contiene tutto il divertimento e la tensione del film.
Sul finale Bussano alla porta si concede un attimo di pausa. È tutto girato strettissimo, la profondità di campo non permette di vedere molto oltre il volto dei personaggi. Ci sono quattro pareti che bloccano sempre la visuale, solo gli specchi permettono di vedere il sole che filtra. Nell’ultimo istante, quando la fine del tempo è stata fermata allo scadere, Shyamalan spalanca la visuale. Una macchina che si allontana nel primo campo lungo del film. È cambiato, per i due sopravvissuti, il modo di vedere il mondo. Una famiglia chiusa non basta più a se stessa. Le azioni e le decisioni di un singolo possono salvare un’infinità di vite. Lo sguardo sulla propria esistenza si allunga e acquisisce complessità.
È un bel finale eppure così lineare che lascia un po’ di amaro in bocca. Come se ci fosse ancora spazio per un’ulteriore sorpresa, per cambiare la prospettiva ancora una volta. Per uno Shyamalan twist. Ora che le lenti permettono di guardare il paesaggio nella distanza, anche chi guarda il film dovrebbe cambiare prospettiva e arrivare a capire qualcosa che gli è sfuggito. E invece no. Niente colpo di scena. Il regista indiano, questa volta, si è trattenuto. Ma perché?
C’è uno Shyamalan twist prima di Bussano alla porta
Perchè questa volta M. Night Shyamalan ha messo il ribaltamento, spesso cifra stilistica della sua produzione, prima ancora che la storia iniziasse. Lo Shyamalan twist è un risveglio. Una nuova consapevolezza. Un cambio di focale, dove i personaggi vedono per la prima volta qualcosa della loro realtà che non avevano intuito prima. In Bussano alla porta non c’è. Nemmeno l’apocalisse che si manifesta sotto gli occhi atterriti di Eric e Andrew appartiene a questa categoria, perché fondamentalmente è presente e in bella vista per tutto il tempo. Sono loro a non crederci. La sceneggiatura prova timidamente a instillare il dubbio: è tutta una macchinazione di Redmond? Non sono così sconosciuti questi visitatori ma avevano già molestato prima la coppia? Con l’effetto però che più si mettono in evidenza le coincidenze, più siamo portati a credere alla -corretta- lettura sovrannaturale.
Quello che vediamo nei 100 minuti di film è la conseguenza di uno Shyamalan twist avvenuto prima dell'inizio. O meglio di quattro Shyamalan twist. Leonard, Sabrina, Adriane e Redmond sono i personaggi di questo colpo di scena. Sono loro che escono cambiati prima e dopo la loro personale rivelazione. Se si dovessero scrivere delle storie sul loro passato prima di avere le visioni, queste si concluderebbero tutte con lo stesso twist: quattro persone normali, per bene, si scoprono parte di un ciclo naturale\divino di giudizi universali.
Nel secondo atto capirebbero che visioni non sono follia, ci sono delle prove della loro fondatezza, pur restando nel dubbio. Il vero colpo di scena avverrebbe incontrandosi, e trovando così la prova definitiva che l'apocalisse sta arrivando: Leonard non è da solo. Sabrina, Adriane, Redmond neanche. Alla fine di questo ipotetico prequel si parlerebbero per la prima volta e guardandosi in faccia capirebbero di dover uccidere per salvare la terra.
Bussano alla porta inizia così come il terzo atto di una storia che non appartiene ai due protagonisti, Andrew ed Eric. Per questo il loro rapporto si sviluppa molto meno di come si evolve Leonard. Shyamalan sbilancia quindi il normale andamento del suo modo di raccontare e fa uno dei suoi film più convenzionali. Sicuramente riuscito, ma meno rischioso e coraggioso di alcuni dei suoi titoli più controversi.
È quello che gli serve ora, per ritornare a parlare al suo amato pubblico: dei confini precisi, degli spazi e delle restrizioni che spingano al massimo la sua creatività e nuove modalità di racconto che impediscano al suo stile di diventare cliché. Shyamalan usa i suoi trucchi in questo film con discrezione, li colloca un po’ più indietro, prima dell'inizio. Il film che avrebbe fatto lui, da solo, senza un materiale da cui partire, si svolge fuori scena e lo sentiamo dai racconti dei quattro sequestratori. Shyamalan, defilato, lascia che la storia prenda il sopravvento e scorra da sola. Questa volta sceglie di apparire di meno.
Forse nemmeno lui voleva stare davanti all’apocalisse.