Bros è un flop inspiegabile?

Bros è una commedia divertente e ben scritta, che è andata malissimo al botteghino per motivi collaterali e non facili da capire

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Bros è su Netflix

Non è facile spiegare come mai Bros, una delle commedie romantiche meglio scritte degli ultimi anni, sia andato così male al botteghino. Non lo è perché ciascuno ha la propria interpretazione, e il fatto che una sia valida non esclude che possano esserlo anche le altre. Rarissimo caso di rom com non eterosessuale, e caso ancora più introvabile di rom com omosessuale non adolescenziale, il film di Nicholas Stoller ha scatenato più reazioni dopo aver floppato che dopo essere uscito in sala; l’arrivo su piattaforma anche in Italia ci ha fatto venire la curiosità di tornare sull’argomento, in attesa di capire se le visioni casalinghe lo aiuteranno a guadagnarsi almeno lo status di “film di culto”.

Bros: cos’è?

Prima di provare a capire perché abbia floppato, un breve riassunto su cosa sia Bros, scritto dallo stesso Stoller insieme al protagonista Billy Eichner e prodotto dal sempre affidabile Judd Apatow. È semplice: è una storia d’amore tra due uomini che, come tutte le storie d’amore del cinema, è ostacolata da qualcosa – in questo caso dalle diversità caratteriali tra i due, certo, ma soprattutto da una serie di sovrastrutture intellettuali, culturali, sociali e anche psicologiche legate alla loro omosessualità ma anche alla loro natura di maschi.

Bobby (Eichner) è il prototipo del gay intellettuale newyorkese, che ha un podcast cinico e sarcastico, è in forma pur senza fare davvero sport, ha degli standard molto bassi nella ricerca di un partner per una sera e talmente alti per l’uomo della sua vita da essere sostanzialmente irraggiungibili – e infatti lui si descrive come “single e felice di esserlo” (la citazione non è letterale). Aaron, al contrario, è il prototipo del gay che non sai essere gay finché non te lo dice: gli piace il country, fa un noiosissimo ma ben pagato lavoro d’ufficio, è palestrato, ama lo sport e sembra ignorare completamente tutto quello che riguarda la cultura gay. La frizione tra i due è soprattutto qui: Bobby sogna di trovare un uomo che sia sostanzialmente… be’, lui stesso clonato, mentre Aaron non sa nulla della storia del movimento LGBTQ+ e fa di tutto per non rendere la sua omosessualità parte della sua identità. Bros è, di fatto, tutto costruito su questo contrasto, come le migliori commedie romantiche.

Bros: com’è?

Bros è il genere di commedia romantica brillante e intelligente che è talmente concentrata sulla scrittura, sulle interpretazioni e sull’alchimia tra i due protagonisti da lasciare un po’ in secondo piano il lato tecnico. Cioè: è un film molto poco girato e anche molto poco diretto, con qualche magagna tecnica soprattutto in fase di montaggio e nessuna particolare creatività in termini di inquadrature o movimenti di macchina. È un’opera di servizio, o meglio al servizio di quello che vuole raccontare e dei messaggi che vuole far passare.

Il fatto è che poi gli elementi che gli interessano sono trattati con i guanti di velluto. La scrittura è sempre ficcante, sempre brillante e spesso esilarante; Eichner e Luke Macfarlane funzionano come dovrebbe funzionare una coppia in una rom com, cioè alla grande; i personaggi di contorno, altro ingrediente fondamentale per il genere, sono tutti all’altezza della situazione; si ride spesso, a volte sotto i baffi, a volte sguaiatamente. Bros è, insomma, un’ottima commedia romantica, che se non avesse avuto i due protagonisti omosessuali avrebbe ottenuto senza alcun dubbio un buon risultato al box office.

Ma è proprio vero?

E qui casca l’asino, nel senso che è da due anni che si discute e si cerca di capire di chi sia la colpa del flop di Bros. L’interpretazione più diffusa, proposta per primo proprio da Eichner, è che sia del pubblico eterosessuale, che si è rifiutato di andare a vedere il suo film e in particolare di farsi vedere in coda al botteghino per comprare il biglietto. Per questo prima parlavamo del suo sbarco su una piattaforma: ora che nessuno ti vede mentre scegli di guardarlo, in teoria Bros dovrebbe conoscere una riscoperta.

Siamo d’accordo con Eichner che una parte, forse anche consistente, del pubblico potenziale di Bros sia stata respinta (o abbia deciso di farsi respingere) dalle tematiche trattate: l’omofobia è un sentimento ancora parecchio diffuso, anche quella più soft che ti fa dire cose tipo “non ho nulla contro i gay ma non voglio vederli che si baciano”. E siamo d’accordo anche con chi all’epoca fece notare come il marketing del film non facesse granché per convincere questa parte di pubblico, e anzi potesse risultare abrasivo e, ancora, respingente. Fa comunque un po’ sorridere pensare che ci possa essere gente che decise di ignorare Bros perché si era sentita presa in giro e sminuita da certe frasi presenti già nel trailer, perché di solito è la stessa gente che si lamenta che non si può più dire nulla, e che ormai ci si offende troppo facilmente.

Più di tutto, però, siamo d’accordo con quanto scrisse Variety all’epoca: le commedie romantiche nascono e muoiono intorno ai loro protagonisti, e nessuna sceneggiatura per quanto a orologeria potrà mai controbilanciare un cast non di richiamo. È una delle regole del genere, e Bros non la rispetta: ha delle ottime ragioni per non farlo, ma purtroppo la realtà dello staccare biglietti è che, se non hai una o due star a disposizione da piazzare sulla locandina, è molto difficile che tu riesca a farti notare in un panorama che si nutre di star power più che di grandi storie (il che non vuol dire che non ci siano grandi storie tra le rom com, solo che di solito il pubblico lo scopre dopo che le ha viste). Il bello di Netflix e dintorni è che questa regola non vale, o ha comunque meno potere: siamo ragionevolmente convinti che Bros abbia la possibilità di rifarsi, ora che lo si può vedere in camera caritatis.

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