Brexit, il Regno Unito esce dall'Unione Europea: e i videogiochi?
E' ancora presto per valutare l'impatto dell'uscita del Regno Unito dall'Unione Europa: cosa può significare Brexit per il mercato dei videogiochi?
A volte però la storia, quella che entra nelle stanze, le brucia, da torto o da ragione, si insinua anche nel nostro splendido isolamento. Il referendum britannico dell’altro ieri con la conseguente uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (la Brexit, per usare un orrendo termine del gergo eurocratico) avrà ripercussioni colossali sull’economia mondiale, sulla politica e sulla vita di ognuno di noi. Lasciamo ad altri le analisi di ampio respiro (il Financial Times ha dedicato un’intera sezione del suo sito al post - Brexit), noi ci occupiamo solo di giochini ma, pure nel nostro piccolissimo, qualcosa è destinato a cambiare. Con la Sterlina ai minimi dal 1985, l’indice FTSE a -16% e una riapertura dei mercati dopo il week end che si preannuncia simile alla Battle of the Bastards di Game of Thrones, il futuro inglese pare tutto fuorché allegro.
In generale si respira grande incertezza: intervistato da Polygon, Phil Harrison, già dirigente di SCEE e Microsoft Game Studios, ha spiegato che “non cambierà nulla dalla sera alla mattina, ma potrebbero esserci dei problemi”, aggiungendo che “i publisher non potranno fare molto se il prezzo dei prodotti aumenterà a causa di nuovi standard doganali, inoltre non siamo in grado di dire ora quali saranno le conseguenze sui posti di lavoro”. Già, il lavoro, l’industria videoludica - come moltissime altre realtà ad alto contenuto tecnologico - non fa distinzioni basate su nazionalità o cittadinanza, cerca i migliori ingegneri, i migliori artisti e i migliori programmatori e, per assumerli, deve offrire condizioni e stipendi invitanti. Londra e, in generale, il Regno Unito fino a ieri rappresentavano una sponda più che solida nel procelloso male europeo. Ma domani? Se il nuovo governo imponesse una politica più restrittiva per i visti lavorativi? Se gli accordi post - Brexit comportassero tasse più alte e meno sgravi fiscali?
Quasi un secolo fa George Orwell, concludendo il suo storico reportage dalla Spagna della guerra civile, scrisse:
E poi l'Inghilterra – l'Inghilterra meridionale, probabilmente il paesaggio più curato del mondo. Quando lo si attraversa, soprattutto se, reduci dal mal di mare, si è tranquillamente sprofondati fra i morbidi cuscini del treno che dal porto va a Londra, riesce difficile credere che qualche cosa da qualche parte accada veramente. Terremoto in Giappone, catastrofi per fame in Cina, rivoluzioni in Messico? Nessuna preoccupazione, domattina il latte sarà come sempre davanti alla porta di casa e il «New Statesman» uscirà venerdì.
Ecco, questa volta qualcosa è accaduto veramente, forse nei prossimi anni assisteremo a una migrazione dei grandi studi verso l’Europa continentale oppure il Regno Unito riuscirà a mantenere la sua trentennale leadership. Le previsioni, come ci hanno dimostrato i sondaggi sulla Brexit, ci beccano sempre molto poco, nel frattempo possiamo solo aspettare e guardare, dalla tribuna, dove porterà questo ennesimo tornante della storia.