Brexit: quali conseguenze sull'industria cinematografica e televisiva? Le reazioni a caldo

Le reazioni a caldo dell’industria cinematografica e televisiva al voto del referendum in Gran Bretagna

Redattore su BadTaste.it e BadTv.it.


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I risultati del referendum in Gran Bretagna sull’addio all’Unione Europea occupano tutte le prime pagine della stampa internazionale. Mentre il mondo si interroga su cosa succede ora, anche l'industria cinematografica e quella televisiva si chiedono quali potrebbero essere le possibili ripercussioni sul settore creativo e dell’entertainment. Abbiamo raccolto alcune opinioni a caldo e dichiarazioni di vari addetti ai lavori rilasciate alla stampa di settore. Ovviamente, non essendoci un precedente di questo tipo in base al quale fare previsioni utilizzando dati concreti, è bene specificare che al momento non c'è una risposta univoca sulle ripercussioni che la Brexit potrebbe avere sul settore produttivo del grande e piccolo schermo. Il futuro, ancora una volta, è tutto in divenire.Non essendoci un precedente di questo tipo in base al quale fare previsioni utilizzando dati concreti, è bene specificare che al momento non c'è una risposta univoca sulle ripercussioni

È tuttavia indubbio che una parte importante dell'industria audiovisiva si senta, al momento, in una sorta di limbo. Le industrie cinematografica e televisiva hanno espresso complessivamente posizioni favorevoli alla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione, proprio perché questa provvede allo stanziamento di una gran quantità di fondi e di sussidi sul mercato britannico, oltre a essere un quadro di riferimento fondamentale per le co-produzioni internazionali. I dubbi, al momento, sono molti. L’incertezza riguardo l’attuale debolezza della Sterlina, che nella notte ha subito un tracollo verticale, potrebbe anche porre domande di breve periodo agli Stati Uniti e a varie produzioni internazionali che potrebbero (il condizionale è d’obbligo) riconsiderare l’ipotesi del Regno Unito come meta privilegiata per le riprese di molti prodotti destinati al grande e al piccolo schermo. A tale proposito, l'Hollywood Reporter considera varie opzioni per il medio-lungo periodo: che una sterlina più debole potrebbe essere un bene per i produttori ma un male per il Box Office; che le co-produzioni internazionali potrebbero trovare maggiori ostacoli; che il sistema di tax credit dell'industria audiovisiva britannica, così come lo conosciamo ora, potrebbe essere seriamente minacciato; addirittura, che in assenza dei meccanismi dell'Unione la burocrazia per il settore possa aumentare anziché diminuire.

Se al momento si vedono reazioni immediate sui mercati (le azioni di ITV sono crollate del 19% nella notte, mentre quelle di SKY hanno visto un crollo dell’8% nelle ultime 24 ore), è ben più difficile prevedere assestamenti di mercato di breve e lungo periodo. Michael Ryan, a capo della Independent Film & Television Alliance e partner commerciale di GMF Films ha commentato:

La decisione di uscire dall’Unione costituisce un grande tonfo per l’industria cinematografica e televisiva britannica. Sono entrambi settori costosi e ad alto rischio, e avere certezza circa il quadro di regolamentazione di questo business è assolutamente fondamentale. È una decisione che, a oggi, ci scuote profondamente. Non sappiamo più come funzioneranno le nostre relazioni con i co-produttori, i finanziatori, i distributori e, soprattutto, non sappiamo se saranno immesse nuove tasse sulle nostre attività nel resto d’Europa o come i nostri finanziamenti saranno raccolti senza nessun input dalle agenzie di finanziamento europee. Il settore creativo del Regno Unito è stato un forte e indispensabile contribuente alla nostra economia. Questa, per noi, sarà probabilmente una catastrofe.

Questa settimana la Creative Industries Federation, nei cui oltre mille membri troviamo Fox, Aardman, Lionsgate, Channel4, NBC Universal e Disney ha dichiarato che, secondo un recente studio, il 96% dei propri membri si è schierato per la permanenza nell’Unione, soprattutto per garantire la libera circolazione dei talenti nel suo territorio. Oggi, il ceo di Creative industries John Kampfner ha dichiarato che l’organizzazione avrà ancora un ruolo più che attivo nel salvaguardare il futuro delle arti, delle industrie creative e della cultura all’interno del Regno Unito:

Nel creare una nuova identità e nel riposizionarci nel mondo, le nostre arti e le nostre industrie creative avranno un ruolo fondamentale. Sarà vitale per tutti i settori lavorare insieme per assicurarci che l'accesso ai fondi e la capacità di reclutare talenti siano salvaguardate anche con un Regno Unito fuori dall’Europa. Da oggi, l’importanza della cultura britannica nel rappresentare il nostro Paese nel mondo sarà ancora più grande.

Gia nei primi giorni della settimana, un gran numero di produttori cinematografici e televisivi britannici si era speso nel ricordare i potenziali rischi di un’uscita dall'Unione. Tra loro, Tim Bevan di Working Title e Barbara Broccoli, produttrice del franchise di James Bond, oltre a Michael G. Wilson, Iain Canning (Il Discorso del Re), Lord David Puttnam (Momenti di Gloria), Matthew Vaughn (Kingsman: Secret Service) ed Elizabeth Karlsen (Carol). Tutti hanno ricordato agli addetti ai lavori un mondo pre-Unione nel quale le esportazioni britanniche erano pesantemente sottoposte a tasse e barriere tariffarie e doganali nell’oltrepassare i confini. Negli ultimi 30 giorni, un gran numero di professionisti britannici tra i quali Patrick Stewart, Benedict Cumberbacth, Chiwetel Ejiofor, Jude Law e il regista Steve McQueen, hanno firmato una lettera congiunta schierandosi per la permanenza del Regno Unito nell’Unione:

I nostri successi creativi a livello globale sarebbero seriamente indeboliti se ce ne andassimo così. Dalla più piccola delle gallerie d’arte fino al più grosso dei blockbuster, molti di noi hanno lavorato a un enorme numero di progetti che non sarebbero mai esistiti senza la vitale collaborazione dei finanziamenti e delle maestranze oltre i nostri confini.

Il gruppo di studio Enders Analysis prevede una possibile recessione post-Brexit che potrebbe causare un declino dei ricavi pubblicitari di emittenti ed editori nel Regno Unito. Nello studio, viene messo in luce come l’industria britannica dell’audiovisivo sia fortemente esposta ai risultati del referendum, poiché nel 2014 circa la metà delle sue esportazioni (5.5. miliardi di dollari, circa 4 miliardi di sterline) hanno avuto come destinazione il mercato europeo. Lo studio mette fortemente in guardia da una possibile Brexit, che potrebbe compromettere le stime dei ricavi da advertising attesi nel periodo 2016-2018, per i quali si prevedeva (prima del voto) una crescita del 5,4%. I fondi del programma di finanziamento europeo per il settore audiovisivo britannico stanziati tra il 2007 e il 2015 ammontano a circa 180 milioni di dollari. Il programma Creative Europe (la più recente declinazione del programma MEDIA europeo) ha dato supporto a oltre 227 organizzazioni culturali e creative britanniche. “Se ce ne andiamo, perdiamo la colla del nostro business” commenta la produttrice Rebecca O’Brien di Sixteen Films. “Gran parte dei distributori americani lavora in sedi operative nell’area di Londra, e le case di produzione britanniche traggono enormi benefici dal supporto dell’Unione. L’addio della Gran Bretagna all’Europa sarà un grande passo indietro per il cinema britannico e europeo”.

Parlando alla Cannes Lion Conference, anche il CEO del Wall Street Journal William Lewis ha messo in luce alcuni rischi che l’economia britannica potrebbe dover affrontare dopo la Brexit. Se Lewis ha comunque invitato alla prudenza, ha ricordato come i servizi finanziari avrebbero comunque una facilità maggiore nell’uscire dal Regno Unito e stabilirsi altrove.

In Francia, Xavier Laroux del National Film Board ha dichiarato: “Il trattato di co-produzione tra Francia e Gran Bretagna rimarrà inalterato, perché è un accordo bilaterale che non è né vincolato né dipendente dall’Unione Europea” specificando che sono previsti solamente tre o quattro film all’anno in co-produzione con il Regno Unito. David Grumbach di Bac Films, con sede a Parigi, ha annunciato nuovi accordi commerciali con la Gran Bretagna, per la quale ci vorranno comunque un paio d’anni per staccarsi completamente dall’Unione. Tempo necessario all’industria per riorganizzarsi su assetti nuovi. “Il Regno Unito potrà anche non fare più parte dell’Unione, ma vi resterà in una mutua relazione di affari. Continueremo a produrre con loro così come produciamo con la Norvegia, la Svizzera e il Canada: Paesi fuori dall’Europa ma con i quali facciamo affari in maniera bilaterale” ha aggiunto Grumbach.

Una considerazione sul voto arriva anche da Andrea Occhipinti di Lucky Red:  "L’industria britannica non era fortemente integrata con il meccanismo dei fondi europei e non faceva parte di Eurimages (il fondo del Consiglio d'Europa per la co-produzione, la distribuzione, esposizione e la digitalizzazione delle opere cinematografiche europee, ndr)” ricorda Occhipinti, “Credo che una parte importante dei risultati del voto sia dovuta a un sentimento anti-Bruxelles, e a una forte insofferenza nei confronti della burocrazia. E’ una considerazione politica, ma è da tenere presente”. È prudente anche Valerio De Paolis, pronto a distribuire l'ultimo film di Ken Loach "I, Daniel Blake" vincitore della Palma d'Oro a Cannes: “Tutti i registi e i talenti britannici continueranno a lavorare ad alto livello, Brexit o non Brexit. Continueranno a lavorare nelle produzioni statunitensi, né più né meno come hanno sempre fatto. Credo proprio che gli investimenti degli studios americani in Gran Bretagna continueranno”.

Su tutti, il più pessimista sembra essere Harvey Weinstein, che ha definito il voto britannico un vero e proprio disastro:

È una catastrofe, non solo per l’economia. Chi ha votato per uscire ha espresso un voto di paura. È un grosso errore. Credo che ora ci sarà più discriminazione nei confronti di alcuni prodotti, soprattutto di quelli percepiti come europei. Sono scioccato soprattutto del fatto che un grande Primo Ministro come David Cameron si dimetta. Dal suo punto di vista, come è comprensibile, non vuole proseguire dopo un risultato del genere e vuole conservare la propria reputazione di Primo Ministro, la storia è importante per queste persone. Ma presto sarà chiaro che aveva ragione. Qui non c’entra solo l’economia, ma anche l’immigrazione. Ripeto, si è trattato di un voto dettato dalla paura. Un grosso errore.

Una volta fuori dall’Unione Europea, la Gran Bretagna dovrà rinegoziare singolarmente il proprio status con ognuno dei partner con i quali intende rimanere in relazioni commerciali. I sostenitori della Brexit indicano come partner privilegiati alcuni paesi del Nord Europa fuori dall’Unione, come la Norvegia e l’Islanda, che godono dei benefici dell’accesso al mercato comune come membri della European Economic Area (EEA). L’Hollywood Reporter ricorda ancora una volta che, di fatto, non sappiamo con certezza cosa accadrà nei prossimi anni. Alla Gran Bretagna occorreranno probabilmente dai due fino ai cinque o sei anni per slacciarsi completamente dalle istituzioni europee. Anni durante i quali l’incertezza giuridica sarà all’ordine del giorno, con ovvie ripercussioni sulla business community, che chiede un meccanismo normativo semplice e snello all’interno del quale operare in maniera efficiente.

“L’incertezza sarà il problema più grande” ricorda da Londra Michael Ryan della Independent Film & Television Alliance: “Finanziare un film indipendente è già rischioso quando le cose vanno bene. Ora vedo più denaro speso in avvocati e contabili per chiudere i contratti. In 5 o 6 anni magari le cose si aggiusteranno ma, per il momento, è un gran casino”.

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