Boyhood torna al cinema, quanti buoni motivi servono per andarlo a vedere?

Dopo i Golden Globes vinti e le nomination agli Oscar ritorna al cinema Boyhood, film che ha tutto per piacere tranne le star

Critico e giornalista cinematografico


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È per prima la Universal Pictures Italia a credere molto nel necessario imperativo di “far vedere” in sala Boyhood, film appartenente alla categoria di quelli destinati a piccole distribuzioni se non uscite tecniche (nessun argomento d’interesse, nessuna vera grande star in cartellone, nessun nome o brand altisonante nel titolo lasciato immacolato in lingua originale, nessun autore-star a dirigerlo), opera che più di un decennio fa sarebbe stata “da passaparola” e oggi è più da visione televisiva o download illegale. Eppure nell’importanza di Boyhood in sala ci crede tutto il sistema del cinema, dalla Universal che per l’appunto lo rimette in sala (per la seconda volta) a partire dal 22 Gennaio, a chi di cinema scrive (le recensioni sono quasi unanimemente piene di cuori e lodi) fino a chi consegna premi (diversi Golden Globes vinti e un ottimo numero nomination pesanti agli Oscar). Eppure questo straordinario film stenta ad essere visto dal pubblico.Un grande sforzo per convincere il pubblico a dare una possibilità a qualcosa che molto probabilmente apprezzerà

Se vi interessano le motivazioni di tanta foga verso l’ultimo lavoro di Richard Linklater su queste pagine ne abbiamo parlato anche più di “spesso”, fin dalla sua presentazione a Berlino, un anno esatto fa, e poi in occasione dell'uscita americana e della prima italiana, abbiamo spinto molto non solo sui caratteri oggettivamente eccezionali (un lungometraggio girato lungo 12 anni con attori che invecchiano realmente) ma anche sulle curiosità e sulle sue qualità di scrittura e regia, cioè su tutte quelle componenti che l’avrebbero reso commovente e toccante anche senza l’espediente dei 12 anni di riprese. E non siamo stati i soli. È insomma tangibile l’impressione del grande sforzo per convincere il pubblico a dare una possibilità a qualcosa che molto probabilmente apprezzerà (se può essere di qualche indicazione la media delle valutazioni su imdb è di 8,3 su 10 da più di 100.000 utenti) e a questo punto la speranza è che le statuette più commercialmente riconosciute del mondo (dovessero arrivare) compiano il miracolo.

Assecondando il vetusto luogo comune dei grandi capolavori benedetti dal successo di pubblico e ignorati, se non addirittura disprezzati, dalla critica (una semplificazione raramente vera che non tiene conto della complessità della critica, quasi mai schierata in una direzione sola ma sempre sfaccettata e in grado di contenere le opinioni negative al pari di quelle positive per ogni film), si potrebbe dire che Boyhood è il tipico caso inverso: un capolavoro adorato dalla critica che il pubblico non riesce a riconoscere come tale alla prima visione (perchè non lo va a vedere) ma che, ne siamo sicuri, con il tempo gli tributerà gli onori che merita. Non siamo infatti dalle parti di un oscuro capolavoro difficile, pessimista e duro ma di un film molto commerciale, pieno di musica, nostalgia, ricordi e dalla presa facilissima, una storia familiare di legami incredibilmente positiva che si distingue dalle altre per come manipola e si lascia manipolare dal tempo. Un film che in mano a chiunque altro sarebbe stato il trionfo del ruffiano e dell’accondiscendente ma che le scelte di Linklater tramutano in un viaggio nel più grande limite dell’umanità: il tempo.
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Vedremo come andrà la seconda uscita di Boyhood, tuttavia sono proprio questi casi clamorosi (quelli di film ottimi per il pubblico che tuttavia il pubblico non va a vedere perchè privi di un elemento di richiamo) che rinforzano l’idea che ormai la distribuzione in sala è lo strumento in assoluto meno adatto alla scoperta filmica. Mentre di certo è la maniera migliore di monetizzare film molto grandi e molto attesi, per quelli più piccoli e interessanti si tratta di un impaccio durissimo, che solo con un’accorta strategia può dare soddisfazioni ma in linea di massima si risolve in una disfatta ingiusta.

Viene da pensare allora quanto, per simili film (quelli che poi, a visione terminata, nei casi migliori si rivelano i più memorabili in assoluto, quelli che possono cambiare delle vite o anche soltanto una giornata) non sia davvero più adatto il modello della pirateria (ovviamente legalizzato), quello che ha la rassicurante caratteristica di consentire l’interruzione della visione a piacimento senza aver perso nè tempo nè soldi (perchè magari parte di un abbonamento flat).

Per quanto sia brutto ammetterlo per chi è affezionato alla sala, lo sforzo dietro i tentativi di penetrazione nel duro disincanto del pubblico delle sale rivela che il grande schermo forse non è più per questo tipo di film.

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