Boicottaggio del Festival di Venezia per il Fus? Magara...

Diverse associazioni e artisti hanno protestato ieri, minacciando il boicottaggio del Festival di Venezia per protestare contro i tagli statali al Fondo Unico per lo Spettacolo. Vi spieghiamo perché è un'assurdità e anche una vigliaccata...

Condividi

Rubrica a cura di ColinMckenzie

Talvolta, certi annunci del mondo dello spettacolo italiano danno un'idea chiara di quello che è diventato, anche se magari questo non era nelle intenzioni degli autori. Negli ultimi giorni, sono aumentate le voci di protesta contro i tagli al Fondo dello spettacolo, tanto che molti hanno lanciato l'idea di boicottare il Festival di Venezia, compreso il sit-in di ieri di fronte al Parlamento. Chi scrive ritiene sicuramente che il mondo dello spettacolo italiano passi troppo tempo a occuparsi di finanziamenti statali e poco a trovare formule di produzione che interessino al mercato. Ma è anche ovvio che, in un sistema in cui la mammella dello Stato ha una tale importanza, dei tagli così drastici creino problemi forti e non semplici da affrontare. Insomma, una protesta è assolutamente comprensibile.

Il punto è: che ci azzecca Venezia? Non mi risulta che il curatore della Mostra Marco Muller gestisca i finanziamenti, che spettano invece al ministero curato da Sandro Bondi (e ancora prima, al ministero dell'Economia di Giulio Tremonti). E perché questo boicottaggio dovrebbe spaventare qualcuno? Il sottoscritto ritiene che anzi sarebbe un'ottima cosa per tutti. Ultimamente, la presenza italiana al Festival è diventata fin troppo ingombrante, come avvenuto lo scorso anno, con quattro titoli in concorso che non hanno propriamente fatto furore. Il tutto con una logica spartitoria e da manuale Cencelli (due posti alla Medusa, due a 01) che non è proprio fantastica. Siamo arrivati al punto che Carlo Rossella, responsabile di Medusa, annuncia tranquillamente con più di un mese di anticipo che Il grande sogno andrà a Venezia, per poi ritrattare una volta accortosi della gaffe. Come dire, se noi decidiamo che un titolo va al Lido, Muller si adegua, discorso chiuso.

Tutto questo, peraltro, avviene con le solite modalità all'italiana. Intanto, ogni volta si tira fuori la fatidica frase "250.000 posti di lavoro a rischio", che ha sicuramente un bell'impatto mediatico, ma non ha senso. Vogliamo dire che senza i finanziamenti statali allo spettacolo rischiano di chiudere tutti, anche i gestori delle multisale che programmano soprattutto cinema americano? Ma per piacere. Ed ecco rispuntare i soliti 'registi impegnati', tipo Citto Maselli, di cui nessun spettatore ha visto un suo film degli ultimi trent'anni, ma che è sempre in prima linea quando si tratta di protestare.

In tutto questo, mai però che nessuno proponga e dia vita a uno sciopero vero, come accaduto recentemente con gli sceneggiatori in America. Da una parte, quando si tratta di danneggiare il proprio portafoglio per ottenere quello che ritengono giusto, molti autori abbandonano i loro propositi battaglieri. E poi, forse c'è anche la paura di fare flop, perché se gli autori televisivi un peso contrattuale lo hanno (ma lì i finanziamenti incidono di meno, quindi perché protestare?), quelli cinematografici francamente hanno poche carte da giocarsi. Ma alla fin fine, siamo quasi ad agosto, sui giornali non c'è nulla da scrivere (lo dimostra lo spazio assurdo dedicato a Festival improbabili e ai loro ospiti) e quindi magari un po' di colore fa anche comodo. Come diceva Flaiano, la situazione è tragica, ma non seria...

Discutiamone nel Forum Cinema  

Continua a leggere su BadTaste