Blade è ancora uno dei migliori cinecomic di sempre
Blade con Wesley Snipes è un cinecomic quasi perfetto e uno dei Marvel migliori di sempre: vi spieghiamo perché
Se vi chiedessimo a bruciapelo una lista dei migliori cinecomic di sempre, non siamo sicuri che Blade verrebbe fuori. Oppure pensate ai film tratti da fumetti più rivoluzionari e innovativi della storia: in un mondo che ha salutato Black Panther come “il primo film su un supereroe nero”, non ci stupiremmo a scoprire che il vampiro ammazzavampiri di Wesley Snipes non è il primo nome che viene in mente. Fortemente voluto dal suo protagonista, riportato sulla retta via dal suo sceneggiatore/fanboy, apprezzatissimo soprattutto dal pubblico ma trattato dalla critica meglio di quanto ci si aspetterebbe da un film di supereroi del 1998, Blade è stato quasi dimenticato per anni, rimpiazzato nell’immaginario collettivo prima dagli X-Men, poi dagli Avengers e ora da una sovrabbondanza di supereroi che salvano il mondo e di squadre di supereroi, e ci è voluta la notizia di un reboot con Mahershala Ali per farlo tornare al centro della conversazione.
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La storia di Eric Brooks è quella di mille altre supereroi prima di lui (un evento traumatico quando era piccolo gli dona contemporaneamente i suoi poteri e uno scopo nella vita), con due differenze:
L’evento traumatico è la madre che viene morsa da un vampiro mentre è incinta e gli trasmette per via placentale una serie selezionata di caratteristiche delle creature della notte, trasformandolo in un vampiro che non esplode se esposto alla luce solare e che ce l’ha a morte con tutti gli altri vampiri, in particolare quello che ha morso sua madre
Tutto questo viene risolto con una breve sequenza di meno di un minuto piazzata gisto in apertura: niente flashback o prologhi in bianco e nero, niente tempo perso in un vicolo dove un rapinatore spara ai suoi genitori, Blade è una origin story che vuole andare subito al sodo e sbattere il suo protagonista in mezzo al caos, come dimostra la prima scena nella quale Blade fa il suo ingresso trionfale in mezzo a un’orgia di vampiri affamati e sotto una doccia di sangue:
Tutto questo funziona, nonostante i tempi siano diversissimi da quelli a cui ci siamo abituati negli ultimi vent’anni di supereroi, perché Wesley Snipes è molto chiaramente innamorato del personaggio (al quale arrivò dopo essersi visto bocciare il progetto di un film su Black Panther) ed è un’artista marziale di ottimo livello. Per cui da un lato si divora lo schermo con il suo carisma, dall’altro il compito di Norrington (che dopo Blade girerà La leggenda degli uomoni straordinari, stroncandosi così la carriera: dal 2003 non ha diretto più nulla) è facilissimo, perché gli basta inquadrare il suo attore protagonista che piroetta e strappa cuori di vampiri a mani nude per portare a casa la scena.
Blade è un trionfo di Wesley Snipes, quindi, ma sarebbe ingeneroso ridurlo solo a questo. Come molte origin story ha il difetto di essere solo una prova generale di quello che arriverà nei film successivi: il villain di turno, Frost (Stephen Dorff), è una generica pedina in un gioco più grande, del quale anche Blade e Whispers (il suo patrigno, interpretato da Kris Kristofferson) sono vittime prive di controllo. Ma a differenza di altre origin story, la big picture a cui accenna non è una semplice funzione narrativa, una sorgente per produrre nuovi cattivi, ma una visione interessante, quasi politica, e con antenati di tutto rispetto. Nell’universo di Blade c’è una guerra sotterranea in corso tra vampiri e umani, che ingrassa i primi ed è invisibile ai secondi: se pensate che Matrix, un film con i robot al posto dei vampiri ma altrettanto pieno di giubbotti di pelle e occhiali da sole (come in Essi vivono, peraltro), è del 1999, capirete che, se parlare di ispirazione è eccessivo, sicuramente c’era qualcosa nell’aria che stuzzicava questo genere di riflessioni.
Il vero, grosso problema di Blade è come finisce: dopo due ore in costante crescendo, e che promettono una conclusione cosmico-lovecraftiana, quello che di fatto succede, l’inevitabile duello finale da film di supereroi, è una delusione, un anticlimax che arriva a sfociare nel ridicolo involontario. Lo si perdona perché è frutto di reshoot dell’ultimo momento resi necessari dal fatto che la prima versione era ancora peggio, e perché tutto il resto del film sfiora la perfezione: è uno showcase dei poteri di un personaggio che finirà il suo percorso più forte e più pronto, con un cast di supporto che fa quello che deve fare senza distrarre dal protagonista (a Ryan Reynolds staranno fischiando le orecchie) e una serie di scene d’azione e superpoteri che vent’anni dopo sono ancora tra le migliori mai uscite con il marchio Marvel. Speriamo che Mahershala Ali stia studiando karate e hapkido per il reboot.