Black Widow grida più forte quello che il cinema di supereroi al femminile ci dice da tempo
In Black Widow si riassume un discorso iniziato da Jessica Jones, Wonder Woman e Captain Marvel. Ma questa volta il linguaggio è quello action
Captain Marvel: ovvero una donna, Carol Danvers, che cambia le sorti della guerra. Prima è usata come un oggetto dai regimi. I Kree le hanno cancellato la memoria per poterla scatenare come arma. L’hanno privata della sua identità. Solo quando capirà chi è veramente sarà in grado di rompere la catena che la lega al sistema di potere e scegliere indipendentemente da tutte le influenze. Il suo rialzarsi innesca una rivoluzione pacifica e totalmente femminile.
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Il potere che lega le donne agli uomini (pochi) del film non è per nulla fisico ("sei debole", dice Natasha), ma mentale.
Saremmo arrivate prima. Eravamo pronte da tempo - sembra dire - solo che credevamo a quello che ci dicevano. Ci siamo trattenute (noi registe e noi attrici) quando gli studios non approvavano i nostri pitch con la scusa che le donne al cinema non vendono. Abbiamo creduto che lo sguardo dominante fosse corretto, abbiamo acconsentito alla posizione in cui ci avete messo non per mancanza di coraggio di dire la nostra, ma perché non potevamo.
Ora questo controllo mentale è rotto ed è un’azione che libera lo sguardo e le storie. Che crea solidarietà e distrugge le stanze segrete dove gli uomini potenti commettono orrori.
L’emancipazione del cinema dal maschilismo è però un fatto doloroso. “Rompere il nervo” non è una passeggiata: significa creare una crepa profonda nelle proprie ossa e nella propria mente. È scindere quel legame invisibile di dipendenza così antico, robusto e al contempo così sottile da non essere notato.
Si sta molto criticando Black Widow per essere arrivato in ritardo di una decina di anni (anche se la sua perfetta collocazione logica sarebbe stata dopo Captain America: Civil War). Era da troppo che Scarlett Johansson era privata del suo film solista. Sì, l’attrice, ben più che il pubblico. Nelle molte interviste rilasciate alla stampa, tutti coloro che hanno partecipato a Black Widow hanno fatto trapelare l’idea di averlo fatto per lei. Persino la regista Cate Shortland ha detto - intervistata dal nostro Mirko D’Alessio - di essere contenta del film soprattutto perché è piaciuto a Scarlett Johansson.
Non una captatio benevolentiae verso colei che è anche produttrice esecutiva del film, ma un riconoscimento dell’abile lavoro fatto in tutti questi anni. Sembra passata una vita da quell’Iron Man 2 fatto di pose (prese in giro in questo film) e inquadrature sexy. Non sono lontane invece (ma speriamo che lo diventino presto) le imbarazzanti domande sessiste dei giornalisti. Scarlett Johansson e Black Widow, a differenza della Wonder Woman di Gal Gadot, hanno attraversato due epoche cinematografiche (non solo Marvel) influenzandole in meglio per quanto riguarda la rappresentazione. L’attrice l’ha fatto intuendo il potenziale del personaggio. L’ha preso per mano e l’ha condotto fuori dall’anonimato di latex e curve. Le ha dato una personalità e una back story pazzesca, forse la più dolorosa di tutte. Ma che fatica che deve aver fatto!
La svolta -paradossale- fu proprio Avengers: Age of Ultron. Un film capace di toccare tutti gli estremi. Dalle imbarazzanti cadute tra le braccia di un eccitato Bruce Banner fino ai toccanti dialoghi sul sentirsi emarginati. Qui Natasha rivela di non poter avere figli. Svela che il suo passato la fa sentire un mostro. La spia, la Vedova Nera, si mostra nel suo essere donna.
Scarlett e la Marvel hanno fatto da qui un’opera di cesello: hanno tenuto le buone intuizioni e hanno tolto il resto. Quello che resta sono le fondamenta di Black Widow: il rimpianto, la famiglia, l'infanzia rubata.
La Black Widow presentata in Iron Man sembra una femme fatale mangia uomini. Invece Natasha Romanoff è sola, violentata, lontana da ogni affetto.
Come Taskmaster, Cate Shortland prende lo stile del cinema d’azione anni ’90 (dai Bourne ai Mission Impossible), ma non lo riadatta al femminile. Il solo fatto di usare quel linguaggio è un messaggio potentissimo: quelle inquadrature che per epoche intere abbiamo creduto appartenere ad un cinema con protagonisti e pubblico maschile (o a Kathryn Bigelow come eccezione che conferma la regola), sono in realtà un linguaggio di tutti. La grammatica di sempre dell’action non cambia, ma viene adottata da persone diverse.
C’è ancora tanto lavoro da fare, racconta il finale di Black Widow. Finalmente le Vedove Nere di tutto il mondo possono scrivere la propria storia. Ora che il legame di sudditanza è spezzato, ora che questo film è arrivato, non si può più tornare indietro.