Black Panther: Wakanda Forever è il film meno rivedibile della Marvel
Non viene voglia di rivedere Black Panther: Wakanda Forever, nemmeno mettendolo distrattamente in TV. Succede raramente con la Marvel
C’è una decisione che ha influenzato tutto Black Panther: Wakanda Forever. Una scelta che ogni sceneggiatore vorrebbe evitare perché, comunque la si prenda, costringe a tirare il freno a mano sull’avventura e attira l’attenzione su di sé per tutta la visione. Affrontare direttamente la morte di Chadwick Boseman o soprassedere? Fare un recasting o trovare un modo per giustificarne l’assenza? Soprattutto: come fare una di queste due cose senza essere irrispettosi?
Un film sull’assenza
Così Black Panther: Wakanda Forever affronta da subito la questione e decide di prenderla di petto. Inizia con la morte fuori campo del suo eroe principale. Un tabù per i cinecomic; solo Watchmen ha fatto una cosa simile (anche se Il Comico appare più volte in flashback) e la Suicide Squad di Gunn. Mai nessuno di questi era il personaggio che dà il titolo alla saga.
Per gran parte del tempo i personaggi reagiscono a qualcosa che è avvenuto fuori scena. Il fascino di Wakanda Forever è legato a questo suo non spiegare. T’Challa muore, e basta, perché è così che doveva andare. Pensa a quello che è successo e omette il come. Questo conferisce un’atmosfera fatalista insolita per la Marvel. È il suo punto di originalità più forte. Shuri, Ramonda e il popolo di Wakanda ingigantiscono e incarnano sullo schermo il dispiacere degli spettatori. Ma quando questo non ci sarà più? Probabile però che svanirà gradualmente, man mano che entreranno i nuovi spettatori più giovani. Quelli che non avranno vissuto i giorni della morte di Boseman.
Tutto l’intreccio è basato sull’effetto di un’assenza. Quella del Re e di un protettore per il regno africano, dell’amore e della fiducia negli altri per Namor. C’è un intrigo internazionale ma è la cosa meno affascinante. Contrariamente al codice dei cinecomic qui funziona di più il semplice vagare dei personaggi alla ricerca di una risposta alla domanda: “che fare adesso?”. A patto che si sia disposti a rallentare e ascoltare due\tre sovrani con visioni divergenti. È la più bella, perché più ambiziosa, eppure è anche la parte che meno intrattiene (il tempo si sente tutto), con un montaggio più disteso. Il tipico eroismo all’americana rientrerà nei canoni nel terzo atto, anche qui cercando un anticlimax ambiguo, purtroppo montato troppo frettolosamente e quindi meno efficace.
Un lungo funerale
L’espediente narrativo di Wakanda Forever avrebbe potuto essere molto peggio. Soprattutto nella ricerca della lacrima facile, strappata da ciò che è successo fuori dal film. Invece il saluto a Chadwick Boseman\T’Challa scalda il cuore ma non commuove (checché ne dicano gli Americani che twittano appena usciti dalla premiere). Ed è meglio così, perché Ryan Coogler riesce a muoversi in equilibrio su un sottile filo dove calcare la mano troppo o troppo poco avrebbe fatto danni enormi!
Per avere questo equilibrio costringe però il secondo Black Panther ad essere un lungo, estenuante, funerale fatto film. Gli dà un sapore molto più sfumato rispetto al pessimo primo capitolo. Lo salva e lo rende però il film Marvel meno rivedibile perché priva di ogni soddisfazione. Si trattiene dall’inizio alla fine convinto di essere qualcosa di speciale, di diverso dagli altri. Funziona però solo per i più appassionati, per il pubblico generalista che aveva amato e premiato il primo film molto meno.
L’effetto è un film decisamente migliore, infinitamente più cinematografico (l’arrivo a Talokan è splendido, come il flashback su Namor), ma sfiancante se paragonato alle altre opere dello studio.
Una nuova Black Panther e il significato di Wakanda Forever
In questo sequel si nega anche la soddisfazione della storia di origini. Solo per un breve istante si concede la messa in scena pomposa tipica degli eroi al massimo dei loro poteri. L’entrata in scena di Shuri come nuova Black Panther è indubbiamente d’effetto, ma dura pochissimo! Si ritorna subito pessimisti: ancora regnanti senza visione, ancora villain, ancora due regni in cerca di una collocazione geopolitica nell’MCU. Shuri si rivela da subito inadeguata al peso che deve portare, è un personaggio con un ruolo che non ha cercato e ben più grande di lei. La conclusione non toglie l’idea che quel costume possa essere assai provvisorio. Senza sorrisi, senza umorismo, appesantendosi volutamente, Wakanda Forever ritrova la speranza solo dopo i titoli di coda.
Un film dal titolo ingannevole: non c’è Black Panther e il significato del grido nel sottotitolo è ben diverso nel film. “Avengers Uniti” fa esplodere la sala. “Wakanda Forever” no. Uno è pieno, l’altro è vuoto. Il primo è uno sfogo, l’apice della tensione, il secondo è pronunciato con crudeltà, incarna la sconfitta morale della nuova Pantera Nera. Contrapposto ad “Imperius Rex” come in un braccio di ferro tra potenze, esprime esattamente l’opposto della visione aperta al globo di T’Challa. Un tradimento. Una conclusione amara e apertissima di un film che ha abbracciato tutta la sua sofferenza produttiva e l’ha ributtata sullo spettatore. Facile da odiare, altrettanto facile d’amare. Molto più difficile da rivedere.
Se non siete d'accordo con noi e volete rivederlo Black Panther: Wakanda Forever è su Disney Plus.
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