Black Panther: è arrivato il terzo momento di svolta nella storia degli afroamericani al cinema e in tv

Non il primo supereroe nero, nè il primo coinvolto in un film nero, ma il primo ad avere problemi, questioni, fierezza, costumi e cultura neri. Black Panther è un caso unico

Critico e giornalista cinematografico


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La storia del cinema è la storia del costume. Ovunque e soprattutto negli Stati Uniti, dove l’industria del cinema ha una potenza particolare che le viene anche da un legame particolare con la società e dalla sua capacità di intercettarla, rappresentarla e farsi specchio dei cambiamenti con una rapidità impressionante per un mezzo le cui produzioni ci impiegano più di un anno a passare da idea a sala. E più i film sono commerciali, più risentono di questi umori.

Per questo l’uscita di Black Panther invece che essere un evento di media importanza per un supereroe di seconda se non terza fascia nell’universo Marvel, è diventata un evento mediatico di grandissimo richiamo. Si tratta della prima volta in assoluto che un eroe afroamericano vive e si mostra in un contesto immerso nella cultura afroamericana. La Catwoman di Halle Berry non era un feticcio culturale nero, come non lo era Blade. Erano interpretati da attori afroamericani ma non ne rappresentavano origini e cultura. Fossero stati bianchi non ci sarebbe stato da cambiare molto in sceneggiatura. Black Panther invece è africano, ha radici particolari e dilemmi che hanno a che vedere con l’essere africani (per quanto da uno stato immaginario super avanzato). Non è la rivincita è la celebrazione di un retaggio culturale.

Esiste una corrente della produzione culturale non nuova che si chiama Afrofuturismo e tende ad immaginare storie o scenari in cui gli africani o afroamericani abitano un futuro da vincenti, in cui occupano il posto che meritano e non devono lottare per alverlo, lo ha spiegato bene Carvell Wallace sul New York Times. La fantascienza non è generosa con i neri solitamente, e anche quando è Will Smith ad essere il protagonista è di fatto come un bianco (come del resto quando è stato supereroe in Hancock non era diverso da un bianco, non era un eroe nero ma un nero che fa un eroe), non agisce, non pensa e non vive in un contesto specifico afroamericano. L’Afrofuturismo immagina futuri in cui la lotta per l’uguaglianza è vinta, crea realtà in cui si possa vedere “quel che altrove non è mai stato immaginato”. Eguaglianza e rispetto delle tradizioni allo stesso livello del mondo bianco non solo americano (gli africani si trovano ovunque ma non compaiono in nessuna opera di fantascienza di nessun paese in ruoli rilevanti). Black Panther, in un certo senso, è Afrofuturismo: vedere uno stato africano primeggiare e dover gestire la propria posizione dominante nei confronti del resto del mondo come un dato di fatto.

Per questo è un evento che trascende la bontà del film che lo causa. Buono o brutto che sia Black Panther simboleggia qualcosa di più perché così lo intende la comunità che lo vede: come un trionfo di cui andare fieri. Prima di questo solo due altri eventi audiovisivi avevano causato una simile presa di coscienza: la trasmissione televisiva negli anni ‘70 della miniserie Radici (quasi il 50% di share per l’ultima puntata) e la presenza di un ufficiale addetto alle comunicazioni di origine africana nell’equipaggio della serie classica di Star Trek. Tutti gli altri passi in avanti da Indovina Chi Viene A Cena? a I Robinson (lo show che ha convinto l’america che i neri sono come i bianchi, scatenando l’ira di chi sostiene invece che occorra raccontare che i neri hanno la loro cultura specifica), fino a La Principessa e il Ranocchio e alla Blaxploitation (che raccontava sì storie nere, ma storie in cui erano stereotipi criminali), sono stati a loro modo importanti ma mai così universalmente considerati esemplari.

Indovina Chi Viene A Cena? è un caso emblematico di bianchi che si lavano la coscienza tramite un nero (Sidney Poitier) accettabile perché privato di tutto ciò che rende gli afroamericani una cultura specifica. Il nero che i bianchi possono accogliere perché “Non è come gli altri, ma somiglia a noi”. La Principessa e Il Ranocchio anche era una storia di Louisiana, in cui non c’è vera militanza nera, e in cui il contesto corretto è sfumato da una storia volutamente universale, sono i neri che si travestono da bianchi. E anche con scarso successo commerciale.

Invece Black Panther non è come gli americani, non è come i bianchi, è africano e ne è fiero, ha le tradizioni, un costume che ricorda l'abbigliamento africano, ha un modo di pensare, ha degli obiettivi e dei problemi che un bianco non potrebbe avere.

Insieme e uniti, ma diversi e rispettosi di queste differenze, bianchi e neri al cinema hanno una lunga storia di battaglia, attacchi, accuse, tolleranza di facciata, buddy movies e clamorosi successi. Si sono fatti la guerra e si sono amati in moltissime maniere diverse e in questa grande relazione Black Panther si inserisce come il momento in cui è stato fatto il grande passo in avanti: per la prima volta una corporation sfrutta l’autentica proposizione della cultura nera all’interno di una grande operazione cinematografica, facendo un film destinato a grandi incassi che i neri possano definire “proprio della loro cultura”.

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