Black Adam ha veramente cambiato la gerarchia del potere, ma non come credevamo! 

Black Adam è arrivato con la promessa di cambiare la gerarchia del potere, ma chi l'avrebbe detto che questo sarebbe stato il cuore del film?

Condividi
Spoiler Alert

La cosa incredibile è che solo dopo avere visto Black Adam si capisce perché The Rock ha insistito così tanto sul claim: “la gerarchia del potere nell’universo DC sta cambiando”. Si credeva fosse una questione di forza, di braccio di ferro rispetto a Superman e agli altri potentissimi. Invece è proprio di questo che parla il film. A tutti i livelli: quello dei super poteri e quello politico.

Ora, va detto che Black Adam è un film che nemmeno ci prova ad andare in profondità. Quindi il termine “politico” va relativizzato alle ambizioni della sceneggiatura. Non c’è nulla che voglia scuotere le coscienze o parlare allo spettatore (cosa che invece Zack Snyder aveva per il suo Superman). Però la struttura interna dell’opera, come sono messe in fila le cose e dove è ambientata la maggior parte dell’azione, fanno di Black Adam una riflessione colorata e spassosissima proprio sul potere e sulle gerarchie.

(Grossi spoiler sul film a seguire).

Parole e frasi ad effetto

La prima idea, non originalissima, che però colpisce in Black Adam è che i membri della Justice League siano oggetto di marketing. Ci sono poster, fumetti, action figure, statuette. Amon è un ragazzino di Kahndaq (città immaginaria del medio oriente, brillante quando nel passato, banale nel presente), che colleziona gadget di supereroi e li tiene in casa come oggetti votivi. Quando Teth Adam (nome antico di Black Adam) irrompe in casa sua spacca tutto, tra cui i poster; incendia la faccia del Superman disegnato, sfonda l’immagine di Aquaman, rovina quella di Batman. Per ora il cambio di gerarchia rispetto al resto del pantheon DC si limita a questo sberleffo. Come accade nel buon wrestling, siamo solo alle provocazioni. Tutto il terzo atto lo porterà a livello di troni e domini tra angeli (maghi) e demoni.

Amon vede nell’uomo divino nella sua stanza qualcosa di diverso rispetto alla funzione che gli fu attribuita millenni prima. Un campione che sfida la corona. Oggi è un supereroe che, secondo il ragazzo, deve diventare il difensore della città. Però non basta tirare i pugni, serve charme. Va bene sconfiggere i cattivi a proprio modo, anche uccidendo in maniera cartoonesca, però bisogna farlo con stile. Almeno con una frase ad effetto!

Non è un caso che la Justice Society of America che lo affronta sia bravissima a parlare per slogan. Pierce Brosnan - il più in parte - si diverte tantissimo a interpretare Kent Nelson. Il Dottor Fate ha tutte le frasi da eroe cinematografico. Quelle che vanno dritte nel trailer perché sono perfette, perché parlano del film stesso e della goduria nel mostrare l’azione: “Io starò a vedere” è un esempio. Oppure: “davvero spettacolare!”. O quando ammette “la nostra missione non è ancora finita!”. Dialoghi artificiali, da fumettone di serie B sceneggiato male, ma disegnato bene. Però anche dialoghi da copertina, quelli che aiutano a vendere. 

Teth Adam non ha una frase ad effetto. In questo mondo mediaticamente sovraesposto è un problema. Chi potrebbe volerlo? Ma The Rock ama raccontarsi come un uomo di poche parole e di molta sostanza. Perciò eccolo lì a menare le mani.

Cosa significa eroe? In Black Adam non significa nulla (o tutto)

Sfido a trovare un film in cui viene pronunciata la parola “eroe” più volte di quanto viene fatto in Black Adam. Jaume Collet-Serra fa un film alla The Rock, in linea con la sua narrazione mediatica. Particolarmente manicheo traccia una linea nettissima tra buoni e cattivi. Li si riconosce perché gli uni sono tutti bellissimi, gli altri sono scheletri o demoni. Grazie alla controparte cartacea, alle storie dei fumetti, il film fa la scelta più divertente che lo salva e lo rende un godibilissimo cinecomic. Cioè posizionare il suo protagonista proprio in mezzo a questa linea e farlo rendendo anche piuttosto comico. Teth Adam non sa bene come fare ad adeguarsi alla complicata moralità moderna. Quindi lancia la gente senza troppi problemi. Nemmeno noi ce li facciamo, dato che la sceneggiatura non vuole andare in quel territorio lì evitando di sacrificare la sua impalpabile leggerezza.

Nel film così il termine eroe non è messo in discussione, anzi: si sa benissimo cosa è eroe e cosa no. Solo che per gli abitanti di Kahndaq ha un significato tutto particolare. Se si sostituisce “eroe” con “sindaco”, “presidente”, “capo”, il senso dei dialoghi non cambia. Quello che cercano gli abitanti della città più che un super uomo che li difenda è un amministratore, un regnante che faccia valere i diritti. Come dargli torto, in un universo in cui praticamente ogni grande città ha il suo difensore.

Se quindi un eroe è anche un regnante, ecco di cosa parla il cambio nella gerarchia di potere. Ci sono tre giocatori che si contendono un trono vuoto: un regnante che non è più al potere. Il suo diretto rivale, il contendente. I rivoluzionari dal basso, il popolo che vuole prendere le redini del suo destino. Ora, senza fare troppa sovra analisi delle intenzioni, si può rilavare senza timore di smentita che quelli che vincono veramente, alla fine, sono i terzi. Tipico di The Rock.

È qui che si capisce il perché Dwayne Johnson abbia inseguito così a lungo il personaggio e soprattutto quello che è riuscito a metterci dentro di suo. L’uomo del popolo, l’attore capace di mettere d’accordo ampissimi bacini demografici, uomini e donne, grandi e piccoli, e il sogno proibito degli americani al campidoglio, ha fatto un film in cui la gente impara a difendersi da sola. Ci mette molto di meno di Daenerys Targaryen a capire che i troni vanno distrutti e condivisi in un sistema democratico. Così nell’arco di due ore eccolo che distrugge la gerarchia del potere. Quello che unisce “stato e chiesa”, quello dei sovrani-Dei.

Si preannuncia come interessante, se scritto in una sceneggiatura più ispirata e complessa, lo scontro con il Dio-cristologico, il salvatore sceso in terra, ovvero Superman di Zack Snyder. Sotto questa chiave di lettura si potrebbe fare evolvere Clark Kent, cinematograficamente parlando, senza buttare quanto fatto in passato.

In Black Adam si viaggia poco

Contrariamente a gran parte dei cinecomics, qui si viaggia poco. Si sta quasi sempre nello stesso luogo, Kahndaq, e manca la dimensione epica di minaccia su scala globale. Nonostante di fatto lo sia, sembra che il rischio di apocalisse riguardi solo la città. Persino gli altri supereroi, per qualche motivo imprecisato, non hanno granché voglia di salvarla. 

Un film grande, grosso, rumoroso e muscolare, con una scala scenografica e di palette fotografica ridotta. Una particolarità, non per forza azzeccata (anzi, dopo un po’ si sente il bisogno di andarsene), però sicuramente distintiva. Solare, luminosissimo, allegro.

Si cita di tutto: 300, Sergio Leone, anche un po’ Tomb Raider e persino gli Avengers. Va fatto un plauso poi a The Rock, nell’essere stato particolarmente generoso verso i membri della Justice Society. Avrebbe potuto mangiarsi il film, invece condivide un ampio screen time. Coerentemente con il film che voleva fare: in cui lo spazio e il potere sono aperti, e non un privilegio per pochi. 

All’interno della città, isolata dal resto del mondo, arrivano i simboli dell’esterno. Non tutti i supereroi portano il mantello, si dice nel film, però portarlo dopo che è stato regalo dai professionisti del mestiere… rende Amon uno di loro. 

Black Adam sembra fatto molti anni fa, prima della crisi del supereroe e quando ancora l’avventura era il genere principale che guidava queste storie tratte dai fumetti. Ora, nell’evoluzione più ricercata e contaminata con altri generi, arriva Black Adam a ribadire i fondamentali. Difficile che questo cambi tutto. Ma tornare indietro nel tempo a una vecchia sensibilità, è pur sempre, se non un’idea rivoluzionaria, una proposta di rivoluzione.

Potete seguire la redazione di BadTaste anche su Twitch!

Continua a leggere su BadTaste