Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills è un buddy cop senza buddy

Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills segue le regole del buddy cop, ma è in realtà un assolo di Eddie Murphy

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Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills è su Netflix

Axel Foley sta per tornare dopo trent’anni di assenza dal grande schermo, e quale occasione migliore per ripassare le sue gesta? Significa che da questa settimana ripercorreremo la storia del franchise per poi concludere con la più classica delle classifiche definitive, e abbiamo avuto questa idea incredibile: partire dall’inizio, dal 1984 (quarant’anni fa, quindi!), da quel Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills che fece di Eddie Murphy una star, di Martin Brest un regista richiestissimo e di Jerry Bruckheimer uno dei produttori più potenti di Hollywood (quest’ultima potrebbe non essere del tutto vera, visto che veniva da American Gigolo e Flashdance, non esattamente due film minori). Un film che viene ricordato come un buddy cop – persino la pagina Wiki lo classifica come tale – pur non essendolo davvero; o forse sì? È una delle tante cose interessanti di cui si può discutere parlando di uno degli action più perfetti degli anni Ottanta.

Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills è un buddy cop?

E allora partiamo proprio da questa domanda quasi filosofica: Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills è davvero un buddy cop? Per certi versi assolutamente sì, visto che segue molte delle regole di un genere che lo stesso Eddie Murphy aveva contribuito a definire un paio d’anni prima con 48 ore. C’è un poliziotto fuori dagli schemi, spesso in conflitto con i suoi diretti superiori per via del suo modo peculiare di interpretare il mestiere; e ci sono altri poliziotti costretti controvoglia a collaborare con lui e ad adeguarsi ai suoi metodi. C’è un criminale che non è solo carismatico ma anche una faccia pubblica perfettamente rispettabile. C’è un love interest, vero o presunto. Ci sono inseguimenti, indagini, sparatorie. C’è una trama ragionevolmente intricata ma che spesso sembra scritta apposta per permettere ai protagonisti di mettersi in mostra.

Manca però una delle caratteristiche fondanti del genere: la coppia di poliziotti, che in questo caso è in realtà un trio, non sta allo stesso livello. Non ci sono due poli opposti che all’inizio si respingono e con il procedere del film cominciano ad attrarsi e a funzionare sempre meglio. Piuttosto, c’è un Sole che brilla incandescente, e ci sono altri astri che gli orbitano intorno e vivono di luce riflessa. Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills è prima di tutto un assolo di Eddie Murphy: è lui l’indiscutibile protagonista, quello a cui Judge Reinhold e Ronny Cox devono stare faticosamente dietro. Le due metà dell’equazione non hanno lo stesso peso, e addirittura si potrebbe affermare che senza Bogomil e Rosewood il film potrebbe comunque funzionare, in qualche modo.

L’assolo di Murphy

Questo significa che Axel Foley riunisce in sé quasi tutte le caratteristiche della classica coppia da buddy cop. Certo, “gli altri due” ne mantengono qualcuna: il rispetto delle regole e del protocollo, l’incapacità iniziale di uscire dagli schemi. Quello che manca loro è una personalità che vada al di là del fatto di diventare, con il tempo e l’incedere della storia, amici di Foley. Fanno simpatia, soprattutto Rosewood, che rappresenta un po’ quello che lo spettatore medio prova nei confronti del piedipiatti di Detroit: un’insopprimibile fascinazione, la voglia di diventare come lui e di comportarsi con spontaneità e seguendo l’istinto e non gli ordini dei superiori. Bogomil è al contrario quello che più frena, che fa il possibile per aderire fino all’ultimo ai suoi rigidi schemi comportamentali; messi insieme i due fanno un personaggio intero, e non è comunque abbastanza per pareggiare l’impatto di Foley.

Eddie Murphy era già una star ai tempi di Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills, soprattutto grazie a Una poltrona per due. Ma qui non deve dividere la scena con un attore altrettanto famoso: la sceneggiatura gli lascia carta bianca, la libertà di fare e dire quello che vuole. Lo dimostra anche la (travagliata, ovviamente) produzione del film: nato come action serissimo grazie alla riscrittura di Sylvester Stallone, che avrebbe anche dovuto interpretare Foley e che riutilizzò molte delle sue stesse idee per Cobra, il film venne risistemato in corso d’opera proprio grazie alle idee di Murphy, chiamato a salvare la baracca e che prese in mano la situazione, iniettando la giusta dose di comicità e di spacconaggine in quello che altrimenti sarebbe stato un action molto tradizionale.

Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills è Axel Foley

Lo strapotere di Murphy si riflette su tutti gli aspetti del film. Il Victor Maitland di Steven Berkoff altrove sarebbe stato un grande villain; qui impallidisce ogni volta che deve dividere la scena con Foley, al punto che tra i cattivi quello che lascia più traccia di sé è il suo scagnozzo interpretato da Jonathan Banks. La povera Lisa Eilbacher, che in un altro film sarebbe stata il love interest di Murphy, viene direttamente dimenticata dalla trama, e ritirata fuori all’occorrenza sotto forma di plot point. È come se l’intera Beverly Hills si trovasse all’improvviso di fronte a un tornado di nome Axel Foley e non avesse idea di come reagire, e si lasciasse quindi travolgere.

Persino chi guarda non può evitare lo stesso destino. Murphy fa una serie di cose che sono spesso inspiegabili, almeno all’apparenza. È imprevedibile, ha idee oblique e trovate semi-improvvisate che si rivelano poi essere dei colpi di genio. È impossibile capire come Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills possa andare avanti scena dopo scena, bisogna solo guardare e aspettare con pazienza che Foley faccia la sua mossa – che spesso è contraria non solo al buon senso ma anche a quello che ci si aspetterebbe dalle regole cinematografiche. Poco importa quindi che come poliziesco valga meno di altri suoi contemporanei: è uno one man show, un modo per passare quasi due ore in compagnia di un attore in formissima e che si divora ogni scena nella quale compare (cioè quasi tutte). Non sappiamo se questo lo renda un capolavoro, ma sospettiamo di sì.

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