Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III è un mezzo disastro

Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III è uno dei peggiori “terzi capitoli” della storia delle trilogie cinematografiche

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Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III è su Netflix

John Landis è uno dei più grandi registi di commedie di sempre, un genio della comicità che ha diretto alcuni dei film più genuinamente divertenti (e spesso folli) della storia del cinema. È anche un regista che ogni tanto sbaglia, e quando lo fa non si trattiene: sbaglia male, come avevamo già argomentato per esempio qui. Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III potrebbe essere il suo peggior film, e l’esempio perfetto di cosa succede quando una sua produzione non parte con il piede giusto. Bolso, moscio, caotico in tutti i modi sbagliati e con un Eddie Murphy che chiaramente non ha alcuna voglia di essere lì – nonostante lui stesso sostenga che il film sia “infinitamente meglio di Beverly Hills Cop II”. Le voci dell’epoca raccontano che fosse depresso, privo di ispirazione e di energia; e John Landis ha raccontato che, nonostante tutti i suoi sforzi, Murphy non aveva alcuna intenzione di interpretare lo stesso Axel Foley dei primi due film. Che dire? Si vede.

Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III è moscio

Si vede già dalla prima scena: Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III non si apre con l’ennesima gag di Axel Foley che si finge un criminale, ma con una normale operazione di polizia che il personaggio di Eddie Murphy spiega nei dettagli, prima ai suoi colleghi e poi al suo capo. Niente battutine, niente momenti di follia o vocette strane: tutto molto lineare e classico, esattamente l’opposto di quello che ci si aspetta da un film del franchise. Tanto è vero che la sequenza prosegue come se non fossimo di fronte a una commedia: l’operazione va male, spuntano un sacco di pistole, e alla fine della scena l’ispettore Todd, storico capo di Foley, viene ucciso.

Fa strano vedere un film del franchise di Beverly Hills Cop che si apre con una morte importante e poi con un serissimo funerale, e questa doppietta stabilisce il tono dell’intero film. Questa volta è una questione personale: Foley deve andare a Beverly Hills in cerca di vendetta, non per risolvere un mistero poliziesco – tanto è vero che sappiamo fin da subito chi sia il villain, e lui stesso si dichiara apertamente senza grossi problemi. Il contraltare comico di questa serissima situazione dovrebbe essere l’ambientazione: la stamperia di soldi falsi che Foley deve scoprire ed esporre è nascosta all’interno di un parco divertimenti, tutto giostre, zucchero filato e gente vestita da animali buffi. Purtroppo neanche questa scelta riesce a dare a Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III l’energia di cui avrebbe bisogno.

Bogomil, Rosewood e gli altri

C’è innanzitutto la grossa perdita di Taggart: ci viene detto che è ormai in pensione, e il personaggio che sembrava il più “di contorno” dei due capitoli precedenti si rivela invece essere fondamentale per gli equilibri della saga. La sua assenza si sente, anche perché il suo ruolo e la sua personalità vengono in parte assorbite da Rosewood, che ha messo da parte le tentazioni psicotiche del capitolo precedente per diventare un serissimo sergente di polizia. E così, anche quando lo vediamo cedere alla tentazione di fare scelte scriteriate in stile Foley, gli manca completamente quel pizzico di follia che aveva dimostrato in Beverly Hills Cop II. Senza Taggart, anche Rosewood si normalizza. Né aiuta l’aggiunta di un nuovo tutore dell’ordine, l’agente segreto Steve Fulbright: anche a lui manca la scintilla, e Stephen McHattie lo interpreta come se fosse in un thriller di Brian De Palma, non in una commedia di John Landis.

L’unica che prova a fare qualcosa per scuotere Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III dal torpore è Theresa Randle, veterana del buddy cop (è anche la moglie di Martin Lawrence in Bad Boys) che qui interpreta quella che è il primo vero love interest della saga. I suoi flirt con Axel Foley, personaggio che fino a quel momento si era tenuto ben lontano da ogni tentazione sentimentale, sono una piccola novità, per quanto sottosfruttata come quasi tutto nel film. È comunque un po’ poco per risollevare le sorti di un film che per lungo tempo non sembra sapere dove vuole andare a parare.

Poca azione, e pure mediocre

A confronto con il capitolo precedente, poi, Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III soffre del fatto che John Landis è un genio, ma non è Tony Scott. Quando Beverly Hills Cop II zoppicava, poteva comunque risollevarsi usando come stampella le sequenze d’azione. Qui invece ce ne sono meno, e non sono girate con lo stesso talento: quella che più si ricorda è probabilmente quella in cui Axel salva due bambini da una ruota panoramica andata in tilt, ed è comunque una sequenza tutto sommato dimenticabile.

Il fatto che il film si chiuda con un omicidio non a mezzo proiettile ma tramite mazzate è significativo: Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III è, come dicevamo, una questione personale, di vendetta, che sposta il tono del film in territori ben distanti da quelli dei primi due capitoli (dove comunque il body count raggiungeva facilmente la doppia cifra, intendiamoci). E anche il colpo di scena finale sembra uscire da un altro film, da un altro genere. È come trovarsi di fronte a un legacy sequel ante litteram, che invece di ripetere la formula originale ci presenta un protagonista ormai maturato, cresciuto, anche invecchiato e che non ha più granché voglia di scherzare. Peccato che fosse proprio questa voglia di scherzare a dare l’energia giusta al franchise.

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