Beverly Hills Cop II – Un piedipiatti a Beverly Hills II, direttamente dal manuale dei sequel

Beverly Hills Cop II – Un piedipiatti a Beverly Hills II segue alla lettera la formula di come si faceva un sequel negli anni Ottanta

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Beverly Hills Cop II – Un piedipiatti a Beverly Hills II è su Netflix

Quando il grande José Altafini assisteva a un’azione calcistica eseguita alla perfezione, era solito commentare dicendo “direttamente dalla pagina [n] del manuale del calscio!”. Prendiamo in prestito quest’espressione per parlare di Beverly Hills Cop II – Un piedipiatti a Beverly Hills II, ma con un’accezione lievemente diversa. Il calcio è uno sport di risultati prima ancora che di estetica, e compiere un gesto tecnico perfetto di solito aiuta a ottenerli. Il cinema, invece, è questione di idee e ispirazione, e non sempre ripetere pedissequamente quello che ha funzionato in un primo capitolo significa creare il sequel perfetto; al contrario, nella maggior parte dei casi significa creare un sequel prevedibile.

Beverly Hills Cop II – Un piedipiatti a Beverly Hills II è prevedibile

Pensate ad alcuni dei grandi sequel della storia, in particolare degli anni Ottanta che furono un po’ il decennio che perfezionò l’arte del trasformare un successo in un franchise ripetibile all’infinito. Aliens prendeva il primo capitolo e lo iniettava d’azione, creando un film completamente diverso da quello di Ridley Scott e altrettanto influente (se non di più, ma questa è un’altra discussione). Predator 2 si spostava dalla giungla naturale a quella urbana. Ritorno al futuro – Parte II andava nel futuro, invece che nel passato. Beverly Hills Cop II – Un piedipiatti a Beverly Hills II, al contrario dei casi citati finora, è… Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills con qualche piccola modifica e aggiustatina.

Il film di Tony Scott si apre allo stesso modo, con una scena indipendente dalla trama nella quale vediamo Axel Foley in azione nel suo ruolo di poliziotto sui generis che conosce i metodi della malavita e sa come confondersi tra i criminali. Prosegue inventandosi una scusa per spostare Foley da Detroit a Beverly Hills, e lo fa riunire con i due poliziotti con i quali aveva lavorato nel primo film. Imbastisce una trama ragionevolmente complessa che serve soprattutto a Eddie Murphy per infilare una gag dietro l’altra e dimostrare il suo talento comico. Lo stesso Murphy ha descritto il film come “il film mediocre di maggior successo della storia, che incassò 250 milioni pur essendo un po’ buttato lì. Sostanzialmente un rifacimento del primo, ma non altrettanto spontaneo e originale”.

Più buddy, un po’ meno cop

Il giudizio di Murphy è comunque un po’ ingeneroso, secondo noi, perché al netto del suo essere sostanzialmente un remake del predecessore, Beverly Hills Cop II – Un piedipiatti a Beverly Hills II azzecca comunque qualcosa, o più di qualcosa. Il più grande miglioramento riguarda le figure di Taggart e Rosewood, che nel primo film erano sostanzialmente degli oggetti di scena contro i quali Murphy faceva rimbalzare il suo clamoroso stato di forma. Sarà perché proprio Murphy qui è meno esplosivo, ma i due riescono a ritagliarsi più spazio, non solo in termini di screentime ma anche di azione e crescita personale.

È soprattutto Rosewood che ci guadagna. Quello che nel primo film era un poliziotto ancora inesperto e un po’ bullizzato qui comincia ad avere una personalità più definita, e di conseguenza a mollare un po’ il freno a mano. Ci viene descritto come un solitario e pure un po’ pazzoide, con un’immensa collezione di piante e una passione sfrenata per le armi – più grosse sono, meglio è. E soprattutto non è più “uno dei due”: Taggart continua a interpretare il poliziotto rispettoso della forma e delle regole, mentre Rosewood ha chiaramente imparato a fare il suo mestiere dalla sua precedente esperienza con Foley, e diventa quindi il suo buddy nella classica formula del buddy cop.

Ci manchi, Tony

Meno efficace è invece il comparto villain, che compie il peccato imperdonabile di sprecare una Brigitte Nielsen all’apice della forma. La sua Karla ruba la scena ogni volta che compare – il problema è che lo fa troppo poco spesso, e ogni tanto viene dimenticata dalla sceneggiatura e ritirata fuori quando serve fare un po’ di spettacolo. Discorso analogo si può fare per Jürgen Prochnow, attore dal talento sconfinato che qui deve (come capita un po’ sempre in questo franchise) fare i conti con l’ingombrante protagonista, e accontentarsi di qualche monologo inquietante.

Dove però Beverly Hills Cop II – Un piedipiatti a Beverly Hills II supera addirittura il capitolo precedente è quando si parla di azione. Pur con tutti i limiti di una commedia ad alto budget, il film è diretto da Tony Scott, e si vede: ogni sparatoria e ogni inseguimento hanno la caotica energia che solo uno dei più grandi registi action di sempre era in grado di trasmettere; viene quindi meno la sensazione, che ogni tanto macchiava il primo capitolo, che certe sequenze fossero state inserite perché si doveva farlo, e che al comparto artistico interessasse altro (le battute, l’improvvisazione, la risata di Eddie Murphy). La presenza di Tony Scott dietro la macchina da presa basta da sola a rendere Beverly Hills Cop II – Un piedipiatti a Beverly Hills II meritevole di un bel ripasso in occasione dell’uscita del quarto capitolo – a differenza del film successivo, ma di questo parleremo in un altro pezzo.

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