Better Call Saul: ecco perché dovremmo smettere di aspettare Walter e Jesse

Le voci e dichiarazioni sull'apparizione di un personaggio di Breaking Bad in Better Call Saul non ci lasciano mai, ma ecco perché non dovremmo preoccuparcene

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L'ultima dichiarazione sulla possibilità di un cameo in Better Call Saul da parte di uno dei protagonisti di Breaking Bad l'ha rilasciata nientemeno che sua maestà Bryan Cranston in persona lo scorso 28 giugno. Niente di nuovo né di definitivo. Le probabilità di un'apparizione futura nello show di Walter, ma anche di Jesse o Gus Fring, sono sicuramente maggiori di quelle di un qualunque Avenger in Agents of S.H.I.E.L.D. Eppure questo continuo incedere tra il presente della storia e un futuro che già conosciamo, anticipando continuamente l'ideale arrivo di un personaggio a noi familiare, rischia di penalizzare il godimento di una serie tra le migliori oggi in televisione.

In un'epoca televisiva, ma soprattutto cinematografica, in cui l'intertestualità diventa la regola, sempre più siamo abituati a ragionare in termini di fanservice, a godere del semplice e momentaneo appagamento che una facile citazione può darci. Vedere Walter o Jesse o chi per loro – nel finale si in un primo momento si voleva far apparire Marie – sarebbe divertente, ma non renderebbe Better Call Saul un prodotto migliore. Anzi, ne mortificherebbe quasi le grandissime potenzialità espresse fino ad ora, proprio questa serie che fin dall'inizio non c'è stata a farsi inquadrare come semplice spin-off di un capolavoro, ma ha lavorato lentamente per costruirsi una sua identità.

In questo Vince Gilligan, un autore con la A maiuscola, distingue la sua creatura da qualunque altro revival. Non riparte da zero, perché c'è sempre un velo di consapevolezza nello spettatore che sa cosa sta guardando (le due stagioni iniziano con un flashforward) e conosce il finale della storia, ma Gilligan ignora regole e aspettative per raccontare qualcosa di nuovo. L'hype è un concetto centrale in tutto questo.

Se proviamo un senso di attesa spasmodica per ciò che arriverà, se sudiamo freddo con Jimmy che assiste impotente al malore del fratello o con Mike che trova un biglietto minaccioso lo facciamo grazie a qualcosa di nuovo. Questo è "hype di qualità", molto diverso dalla promessa continua di apparizioni famose, ma caratterialmente vuote, che non aggiungono emotivamente nulla (prima stagione di Gotham?).

Better Call Saul, scrittura, interpretazioni, regia a parte, ha un suo valore intrinseco e un suo stile. Che discende direttamente da quello già visto in Breaking Bad, questo è chiaro, ma che è parte di una storia che trova in altri elementi la sua forza: nel conflitto molto stratificato tra fratelli, nei due personaggi mai banali di Chuck e Kim, nel gioco delle maschere in cui la trasformazione di Jimmy in Saul rievoca quella di Walter in Heisenberg. Quindi, vogliamo immaginare un ideale finale di serie in cui ci ricollegheremo temporalmente all'ottavo episodio della seconda stagione di Breaking Bad? Va bene, ma nel frattempo smettiamo di aspettare Walter e godiamoci una delle migliori serie in onda al momento.

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