Better Call Saul e Breaking Bad: così lontani, così vicini
Mentre inizia l'ultima stagione di Better Call Saul, ripensiamo alla serie da cui tutto ha avuto origine e verso cui tutto converge
Il cast era composto da attori dai nomi non certo di richiamo. E nonostante l’autore fosse Vince Gilligan, uno degli scrittori più importanti di X-Files, serie con la quale ero cresciuto, la storia di un professore del liceo che, scoperta una malattia incurabile, decide di raccogliere soldi per la sua famiglia producendo e vendendo metanfetamine mi ricordava in maniera preoccupante quella di Weeds, la comedy con Mary-Louise Parker datata 2005, nella quale una donna rimasta vedova era costretta a vendere marijuana per sostentare la sua famiglia.
Puntata dopo puntata, stagione dopo stagione, Breaking Bad ha scritto una delle pagine più belle della storia della serialità televisiva, grazie a un mix perfetto di sceneggiature intelligenti, personaggi complessi, interpretazioni magistrali e l'abilità dei suoi autori nel saper riflettere su grandi temi come la vita e la morte, il Bene e il Male, senza rinunciare a un intrattenimento più popolare che ha permesso alla serie di essere amata non solo dagli appassionati ma anche dal pubblico generalista.
Prima ancora della fine di Breaking Bad, nell'aprile del 2013, Vince Gilligan e Peter Gould annunciarono di essere al lavoro sullo spin-off dedicato all'avvocato Saul Goodman interpretato da Bob Odenkirk, uno dei personaggi più amati della serie. Nel voler portare avanti le trame del suo "universo narrativo", era palese che Gilligan avesse scelto il soggetto più adatto. Ricordo bene però che l'idea mi sembrò forzata, il progetto più di natura commerciale che artistica.
Quando la serie esordì nel 2015, rimasi allo stesso tempo soddisfatto dal suo inizio quanto spiazzato dalle differenze con la serie madre: se da un lato era impossibile non riconoscere il mondo di Breaking Bad in Better Call Saul, dall'altro, col passare delle stagioni, le caratteristiche peculiari del racconto sulla trasformazione di James McGill in Saul Goodman hanno dato vita a una serie fatta di lunghi silenzi, pause narrative e attenzione maniacale ai dettagli e ai piccoli momenti di una quotidianità sempre pronta a trasformarsi in eccesso e follia. Ancora una volta, avevo sottovalutato il genio di Vince Gilligan, un autore sempre pronto a prendersi dei rischi e in grado di vincere ogni sfida.
Nel corso degli anni, sempre più elementi di Breaking Bad sono confluiti in Better Call Saul: personaggi, luoghi, dinamiche di cui conosciamo lo sviluppo futuro. Adesso che, dopo la premiere della scorsa settimana, soltanto undici episodi ci dividono dalla fine (dell'inizio) delle avventure di Saul Goodman, che il punto di contatto tra le due serie è sempre più vicino e che sappiamo essere imminente la partecipazione a queste ultime puntate dei due protagonisti della serie madre, il Walter White di Bryan Cranston e il Jesse Pinkman di Aaron Paul, la speranza è una sola: che questo confluire delle due storie non tolga importanza e rilevanza alla fine di una narrazione ricca e complessa che ci accompagna da sette anni. Che l'attesa di questo grande ritorno (la notizia è rimbalzata sul web per giorni con reazioni entusiastiche da parte dei fan) non sposti l'attenzione del pubblico da ciò che ha resto Better Call Saul una serie, se non migliore, sicuramente all'altezza del capolavoro dal quale deriva, a elementi che potrebbero sembrare mero fan service. Io attendo la fine con la massima fiducia. Ormai, ho imparato a fidarmi di Vince Gilligan.
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