Bernardo Bertolucci non era uno. Erano mille
Il cineasta italiano di maggiore successo di sempre, il più completo inarrivabile e complicato. Bernardo Bertolucci è stato un artista del '900 italiano che si è contornato di artisti
Bertolucci apparteneva alla seconda categoria.
Gli ci sono voluti diversi film per arrivare a Il Conformista, l’opera che gli ha aperto definitivamente le porte del cinema mondiale, consentendogli di arrivare di lì a poco più di una decina d’anni a quello che lui stesso definiva un delirio di onnipotenza, film pazzeschi per ambizione e potenza produttiva come Ultimo Tango a Parigi, Novecento, Il Tè Nel Deserto e ovviamente L’Ultimo Imperatore.
Figlio dell’élite intellettuale Bertolucci aveva i mezzi formativi e didattici per essere un artista ma anche una tempra e una forza fisica che gli hanno consentito di essere cineasta di kolossal d’autore.
Il gusto incredibile che lo portò a trovare collaboratori fondamentali (Storaro) è lo stesso che ha fatto sì che potesse tenerseli stretti. È stato il primo a valorizzare Francis Bacon, a capire profondamente come la musica di Ryuichi Sakamoto potesse reggere un intero film e a creare una dimensione per il cinema che non dovesse scegliere tra realismo e sogno felliniano ma poteva muoversi a livello di astrazione. Era stato pupillo di Pasolini, aveva capito il genio di Storaro e ha collaborato e valorizzato quello che probabilmente è stato il più grande montatore e sceneggiatore italiano, Franco Arcalli.
Innamoratissimo degli incassi e determinato ad avere successo, staccare biglietti e trovare un pubblico, Bernardo Bertolucci ha cercato in ognuna delle sue molte fasi di fare il cinema d’autore più commerciale possibile.
Spesso riuscendoci.
Eppure quella battuta da Bertolucci è stata una strada così complessa, inusuale e non particolarmente celebrata nel nostro paese che ad oggi non c’è nessuno che ripeta il suo percorso. Nonostante parliamo del cineasta italiano più di successo di sempre, in qualsiasi dimensione, nessuno, se non forse Luca Guadagnino, oggi sembra guardare a Bertolucci. Nemmeno Tornatore che pure ha lavorato molto a livello internazionale, è stato autore di kolossal intellettuali come lui.
Ci sono stati tantissimi Bertolucci: quello rivoluzionario e giovane, fissato con la nouvelle vague, quello idealista degli anni ‘70, quello politico, quello avventuriero in terre remote degli anni ‘80, lo spiritualista dei ‘90 e l’audace politico che convince il regime cinese a fargli girare dentro la città perduta una storia tutta loro e ancora quello più anziano e dimesso ma mai banale che premia Sacro Gra al festival di Venezia e gira Io e Te o quello post-Novecento, potentissimo con stivaloni da cowboy e il mondo del cinema ai suoi piedi. Non era mai simile a sé, sempre in evoluzione, desiderando avere sempre di più, fare film sempre più grandi fino a toccare la vetta e scegliere di tornare a storie intime di ragazzi e ragazze con un’esperienza talmente gigante che una villa in campagna, un palazzo a Roma o un appartamento a Parigi sembrassero paesaggi vastissimi.
Appartenente a quella generazione per la quale la cinefilia era una religione (come racconta in The Dreamers) e vedeva tutto. I film di supereroi come la serie 24. Certo era evidentemente snob nei gusti e non riteneva sicuramente tutto al medesimo livello, ma aveva un’insaziabile sete di immagini che per decenni ha fatto il paio con una voglia quasi militare di produrne di sempre più grandi, sempre più immense, stupefacenti e clamorose.
Un vero artista arrivato a padroneggiare budget elevatissimi, libero di creare ai massimi livelli.
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