La Bella e la Bestia: 25 anni e il coraggio di osare ciò che non sappiamo esprimere

A distanza di 25 anni, riscopriamo perché La Bella e la Bestia è ancora un concentrato di pathos in una confezione perfetta

Redattore su BadTaste.it e BadTv.it.


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25 anni fa si teneva al cinema El Capitan di Los Angeles la première mondiale di La Bella e la Bestia, il 30° Classico Disney, basato sulla  fiaba di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont. Divenuto un cult, non solo dell’animazione, il film di Gary Trousdale e Kirk Wise è stato il primo lungometraggio animato ad essere candidato all’Oscar come Miglior Film. A distanza di un quarto di secolo, il pubblico attende con un misto di hype, impazienza e timore il live-action di Bill Condon con Emma Watson e Dan Stevens. Proviamo a riscoprire insieme perché il film del 1991 è ancora un concentrato di pathos in una confezione perfetta.

D’amore e di soccorso reciproco

L’Ala Ovest è proibita. Ma Belle, in preda alla curiosità, si addentra in un luogo dove, forse, può trovare risposte alla sua inaspettata prigionia. Lui, tuttavia, la coglie in flagrante, e l’equilibrio del terrore che ha tenuto in piedi fino a quel momento, si rompe. I futuri amanti impossibili non stanno ancora insieme, ma hanno stipulato un patto senza alcuna convergenza di intenti ma solo di interessi: per Belle, la sua prigionia in cambio della libertà di suo padre; per il Principe, la possibilità di rompere l’incantesimo che lo ha reso il mostro che appare. Ma lei, anziché spezzare il sortilegio, rompe immediatamente l’accordo di non recarsi in una zona che le è stata interdetta. Per estensione, l’area proibita è la facoltà di fare breccia nel cuore di un uomo che, accecato dal proprio ego, dopo essere stato punito si è chiuso a riccio. Sulla carta, ha vietato a chiunque di giocare con i suoi sentimenti ma, nella realtà, è rimasto vittima di una vergogna tanto grande da autoinfliggersi una condanna alla solitudine. Tuttavia, è proprio grazie a questa rottura che una delle più grandi storie d’amore mai raccontate può cominciare. È lei, di fatto, a entrare a gamba tesa nella vita di lui: sgattaiolando nell’Ala Ovest mette in moto un meccanismo di autoanalisi che porta il mostruoso principe a scoprire di aver bisogno di aiuto. Lui è furioso, lei scappa. Poco dopo, lui metabolizza lo spavento, incassa il colpo e si riscopre eternamente vulnerabile. La insegue, nel disperato tentativo di disinnescare un meccanismo distruttivo che porterebbe alla fine di tutto. Deve salvarla, ma deve anche salvare se stesso e l'unica speranza di riavere indietro la sua vita. La raggiunge, combatte i lupi, ha la meglio, la salva. Ma si mostra, per la prima volta, per ciò che è veramente: un leone ferito. In preda al dolore, la guarda per un attimo chiedendole aiuto a tutti i livelli. Prima di accasciarsi al suolo, con uno sguardo le urla tutta la disperazione di chi ha smarrito anche solo la speranza di avere qualcosa da perdere. I suoi occhi sono tristi e, prima di chiudersi, lanciano una richiesta di soccorso che non passa inosservata né a Belle né al pubblico. Lei, fermandosi a realizzare quanto appena accaduto, comprende per la prima volta  di avere a che fare con qualcosa di straordinario, sepolto sotto un mare di paura di mettersi in gioco.

La Bella e la Bestia climax

Il pubblico, per la prima volta, vede l’umanità del mostro che torna a supplicare una possibilità. E non si tratta solamente di guardare “oltre le apparenze” ma di fare un passaggio ulteriore: dare valore a tutto ciò che nessuno dei due è in grado di esprimere a parole. Belle potrebbe fuggire, ma sceglie di tornare al castello riportando a casa la Bestia ferita. Perché è lui, e nessun altro, ad essere realmente prigioniero. È solo così che, tra i due, l’equilibrio della paura si spezza per fare posto a un assetto nuovo: entrambi, forti del loro carattere testardo, capiscono che senza una reciproca condivisione non solo si autodistruggerebbero ma si precluderebbero la possibilità di comprendere chi sono veramente. Per questo, rinegoziati tacitamente i termini della loro inaspettata convivenza, lei può accorgersi che qualcosa, in lui, si è trasformato. E lui, di rimando, può trovare conforto nel fatto di non essere, per la prima volta, temuto da qualcuno. Curiosità verso l’altro, spirito d’avventura e timore di uscirne con le ossa rotte: i presupposti per innamorarsi ci sono.

Tale as Old as Time

Fa una certa impressione vedere Belle passeggiare per il paese con lo sguardo incollato al suo libro, estraniandosi da tutto il resto e compiendo una serie di automatismi senza smettere di leggere. Oggi facciamo la stessa cosa con gli smartphone e nessuno, intorno a noi, canta che siamo fuori dal comune, che abbiamo “una personalità un po’ strana in verità” o che siamo bizzarri, insoliti ed eccentrici. Eppure, Belle riesce a declinare perfettamente ciò che sogna da una vita che “deve darle un po’ di più". In paese, Belle è l'unica vestita di azzurro, scelta cromatica che la estrania dal resto del mondo consegnandole la patente di cittadina del proprio sogno. Il desiderio di evasione che la ossessiona è semplice e complesso allo stesso tempo: complesso perché Belle sfida apertamente le convenzioni di un ambiente sociale che la ritiene un’emarginata; semplice perché lei stessa è capace di riassumerlo nel più diretto dei desideri: “Io voglio vivere di avventure”.

Belle La Bella e la Bestia
E un’avventura, per definizione, comprende una giostra composita di anime in cerca di qualcosa. Non a caso, la coralità de La Bella e la Bestia si sviluppa su un espediente narrativo forte: quella del principe è una maledizione “a cascata”, che si ripercuote inevitabilmente su tutto ciò che gli è gerarchicamente sottoposto, a cominciare dalla servitù. L’intera squadra di domestici paga, suo malgrado, l’arroganza del ragazzo viziato tramite un curioso contrappasso: trasformandosi negli oggetti del mestiere. Lumière, addetto all’illuminazione del castello (“Alle candele ci penso io!”) diviene un candelabro, mentre Mrs. Bric, a capo delle cameriere del castello, diviene una teiera. Così, che il Principe riesca a farsi amare diviene non solo la speranza di tutti, ma anche l’occasione per un rinnovato rapporto di mutua collaborazione, al posto di una semplice e diretta servitù senza alcun genere di confidenza. I domestici sono sulla stessa barca del padrone, e divengono parte attiva nella disperata ricerca di una soluzione. Temono il padrone per via del suo pessimo carattere, ma non esitano a rimbrottarlo e a metterlo in riga: “Avanti! Le dica qualcosa! A cena! La inviti a cena!” lo rimprovera Lumière, che entra subito in sintonia con Belle; “Potrebbe iniziare a rendersi un po’ più presentabile!” esclama Mrs. Bric, suggerendo una postura e un atteggiamento più signorili, in barba a un sorriso che non è più così smagliante.

La Bella e la Bestia Lumiere
Nei domestici, che non hanno perso la speranza, riposa la saggezza di chi conosce il valore del duro lavoro. Nella canzone Di Nuovo Umani, inclusa nella riedizione del film del 2002, l'intera servitù canta delle aspettative che ripone nella misteriosa ragazza giunta nel castello quando ogni barlume di ottimismo sembrava svanito. Nel personale del maniero fa capolino un rinnovato senso di squadra, che ne nobilita gli sforzi affinché tutto possa cambiare in meglio e che consente, più tardi, la difesa collettiva della proprietà dall'invasione capitanata da Gaston. Il pubblico si accorge subito che è negli inservienti, e non nel padrone, l'anima viva del castello e il valore aggiunto della magia che vi alberga. Lo ricordava il buon Bob Hoskins, nel ruolo del capo dei domestici del lussuoso hotel di Un Amore a Cinque Stelle: “Noi li serviamo, ma loro non sono migliori di noi”. Tuttavia, l'effetto del sortilegio che colpisce il maniero e i suoi abitanti va oltre il semplice contrappasso: la trasformazione di tutti consente anche un gustoso rimescolamento dei rapporti tra gli stessi domestici. Quando Maurice entra nel castello in cerca di riparo, Tockins, che a suo dire “dirige la casa” invita Lumière a ignorare completamente l’ospite inatteso: “Non una parola Lumière!”. Ma le cose non sono più come un tempo, e l’astuto e passionale candelabro può sfruttare opportunamente le sue fiammelle per infischiarsene alla grande degli ordini ed esclamare “Ma certo monsieur! Lei è benvenuto!”. Servire, nella più nobile vocazione di fornire un servizio, è un’arte raffinata: come i domestici hanno mantenuto in piedi le mura maledette della loro prigione, così tengono accesa la fiamma della speranza che, un giorno, qualcuno possa innamorarsi di chi ha un aspetto mostruoso. Lumière, in particolar modo, è fondamentale proprio perché, in barba alla maledizione, è rimasto fedele a se stesso: “Dovevamo proprio invitarlo a restare, servirgli il tè e la sedia del padrone?” lo rimprovera Tockins dopo la sfuriata del Principe per l’accoglienza di Maurice, “Volevo solo essere ospitale!” protesta il buon candelabro. È anche grazie a lui, che conserva la capacità di osare, che Belle e il Principe si avventurano in un azzardo senza precedenti. E il Classico Disney non fa che ricordare, senza troppi fronzoli, che questa faccenda di innamorarsi è “Tale as old as time”, una storia antica quanto il tempo.

Sentire e ascoltare

Gaston è un imbecille, ma il Classico Disney non cede alla faciloneria di partorire un personaggio piatto, e riafferma con coerenza e forza non solo la pericolosità degli idioti ma anche la loro capacità di far presa sugli altri: “Tutti vorrebbero esser Gaston!” gli ricorda lo scagnozzo Le Tont. Il rozzo e palestrato galletto del paese è egoista e superficiale ma, a differenza del viziato Principe, non è stato colpito da alcuna maledizione e continua ad associare la bellezza esteriore al valore interiore: non a caso, quando apostrofa Belle come “la ragazza più bella del paese” non può che concludere il ragionamento con l’equazione “Quindi è la migliore!”. È vittima dell’errore, tanto tipico quando fatale, di confondere l’amore per un’estensione di se stessi: quando dialoga con Belle parla essenzialmente da solo, a ulteriore riprova che l’esatto contrario di amare è l’incapacità di saper ascoltare. Non a caso, la contrapposizione tra Gaston e la Bestia è perfetta e speculare. Entrambi, all’inizio, sono interessati a Belle per ragioni che hanno a che fare con se stessi. Il primo vuole compiacere il suo ego, il secondo, ma soltanto all’inizio, deve salvare se stesso. Il punto è che Gaston non cambia di una virgola, mentre il Principe si mette in gioco e accetta di spostare l’attenzione da se stesso alla persona che ha accanto. “Ha pensato che la ragazza potrebbe spezzare l’incantesimo?” gli ricorda Lumière, “Certo che ci ho pensato, non sono uno stupido!”. Ma per scoprire di amarla e di essere ricambiato, il Principe dovrà dimenticare del tutto di avere materialmente bisogno di lei per spezzare la maledizione. In sostanza, dovrà mettersi nella condizione di dare spontaneamente valore a chi è “altro” da sé. È questa, e solo questa, la lezione che la fata che lo ha maledetto voleva che imparasse. Lo ha ricordato, di recente, anche un’altra “fata”. Tilda Swinton, l'Antico in Doctor Strange, finisce per dare al dottore l’insegnamento supremo: “Non gira tutto intorno a te”. Forse, avendo a che fare con un altro egocentrico come Strange, la capacità di ascoltare è davvero un “Tale as Old as Time”.

La Bella e la Bestia prologo

Credevo di averle detto di venire a cena!” esclama furioso il mostruoso Principe durante la prima sera della prigionia di Belle, “Venga subito fuori o butterò giù la porta!”. La differenza tra buoni e cattivi, negli uomini di questa storia, è nella capacità di capire o meno quanto inutile e fallimentare sia l’atteggiamento di chi non accetta alcun genere di alterità. Ed è proprio questa facoltà a sancire l’inversione dei ruoli tra la mostruosità e la bontà d’animo: “Lui non è un mostro, Gaston. Tu lo sei.” conclude Belle. È un messaggio caro al duo Gary Trusdale/Kirk Wise: “Scoprite chi è il vero mostro a Notre Dame, chi è brutto dentro o chi è brutto a veder?” canterà anni dopo Clopin ne Il Gobbo di Notre Dame. E l'aspetto della Bestia è sapientemente composito proprio per dare vita a una creatura ibrida che risulti tanto familiare quanto incatalogabile. Glen Keane, non a caso, ha mescolato la criniera di un leone, la testa di un bufalo, le zanne di un cinghiale, la fronte di un gorilla, le gambe e la coda di un lupo e la struttura corporea di un orso. L’unica costante, anche in versione umana, è il colore degli occhi, che consente a Belle di riconoscere il Principe dopo averlo salvato. L’effetto straniamento è totale: il pubblico si è innamorato della Bestia e ha settato le proprie sinapsi su canoni, anche di bellezza, sballati rispetto all’ordinario. Il principe, nuovamente umano, è di bell’aspetto ma, inevitabilmente, al primo impatto fatichiamo ad accettarne le fattezze umane. Per il film è la riprova della missione compiuta: “Chi avrebbe mai amato una bestia” è finalmente un dubbio superato.

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