Begotten: che cos’è l'impressionante film che ha terrorizzato Elijah Wood

Begotten ha spaventato Elijah Wood. Ma cos'è e di cosa parla l'horror sperimentale, tra videoarte, cinema e teatro, di E. Elias Merhige?

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Begotten: che cos’è il film che ha terrorizzato Elijah Wood.

Qualche giorno fa è stato lanciato su Twitter un particolare trend intitolato: qual è la singola inquadratura di un film che ti terrorizzerà per sempre?

Alla sfida ha partecipato anche l’attore Elijah Wood proponendo una criptica e terrorizzante immagine. La potete osservare qui sotto.

https://twitter.com/elijahwood/status/1304114045440540673?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1304114045440540673%7Ctwgr%5Eshare_3&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.badtaste.it%2F2020%2F09%2F11%2Fqual-e-la-singola-inquadratura-di-un-film-che-ti-terrorizzera-per-sempre-ecco-il-thread-horror-virale-su-twitter%2F446732%2F

Indubbiamente si tratta di un frame decisamente inquietante, soprattutto per sua particolare qualità visiva. Il tweet dell’attore ha dato origine a una caccia al film che ha portato gran parte del pubblico a scoprire un piccolo, straordinario, film: Begotten.

Ma di cosa parla Begotten?

No, l’immagine non è tratta da uno snuff film girato alla fine del 1800. Begotten è arrivato in sala nel 1991 ed è diretto dall’artista visuale, non ché regista di Suspect Zero e L’ombra del vampiro E. Elias Merhige. 

Come molti lavori sperimentali, Begotten lascia da parte la trama come elemento narrativo comunemente inteso e approda ad un’astrazione dalle tinte surrealiste. L’apparato visivo è infatti tutto orientato allo shock delle ombre. La violenza del film è catturata da immagini sgranatissime, spesso difficili da decifrare, che rivelano costantemente la natura fisica della pellicola. E quindi dell'apparato filmico stesso. La concretezza dell'immagine astratta. Un film dalla vocazione fortemente visiva, anche nel momento in cui la visione viene celata dalla bassa definizione del supporto.

[caption id="attachment_448058" align="aligncenter" width="1000"]Begotten Momenti di pura astrazione visiva. Quanti volti vedete, tra le pieghe delle ombre?[/caption]

Il film inizia con la ripresa di un paesaggio, di una casa dove, all’interno si trova una figura misteriosa (ritratta nel frame condiviso da Elijah Wood). È chiaramente in uno stato di sofferenza. Si agita con movimenti epilettici mentre con una lama si accoltella ripetutamente l’addome. Muore, rilasciando escrementi. Dietro di lui si allunga una mano, esce una donna che fa l’amore con il cadavere e ne rimane incinta. Dà alla luce un figlio e lo trascina lungo le strade del mondo dove incontra degli altri esseri viventi. Lei e il figlio vengono violentati, fatti a pezzi e seppelliti nella terra.

E il film finisce.

Tutto questo accade in una settantina di minuti girati in un bianco e nero a fortissimo contrasto, in cui le immagini spesso non sono intelligibili. Eppure Begotten è un film incredibile, un’esperienza cinematografica indimenticabile. Solo sui titoli di coda ci vengono dai i primi indizi per comprendere ciò che abbiamo visto. Capiamo qui che personaggi interpretano gli attori. L’uomo legato altri non è che Dio, ripreso nell’atto del suo suicidio. La donna che dalla su morte scaturisce è madre natura. Una cosmogenesi che, per molti versi, ricorda il recente Madre! di Aronofsky. Un film in cui, tramite pochi elementi scenografici, come una casa in un mondo spoglio, si raccontava il libro della Genesi traslato su un piano allegorico. 

La natura e le intenzioni di Begotten sono però assai diverse. Il film è infatti più vicino alla videoarte che al racconto. Sebbene molti vedano al suo interno una denuncia rispetto ai crimini dell’uomo verso il pianeta (gli esseri viventi che violentano madre natura), sarebbe troppo limitante ridurre il film a un manifesto ecologista. Begotten è un’esperienza sensoriale estrema che cerca, tramite le immagini, di essere un film sospeso nel tempo, nei luoghi e nello spazio.

Il fascino delle ombre

[caption id="attachment_448060" align="aligncenter" width="1000"]Begotten Suggestione o vero orrore?[/caption]

David Lynch sostiene di avere sempre trovato più fascino nelle ombre della bassa risoluzione che nella precisione dell’immagine. È lì infatti che si annidano i demoni, che l’occhio si inganna e crede di avere visto cose che non esistono.

Begotten è così.

Come in un teatro delle ombre vediamo i protagonisti talvolta sovraesposti, altre volte sottoesposti, senza riuscire a memorizzare i loro lineamenti. Senza riuscire a cogliere veramente un volto. Quale modo migliore per rappresentare un Dio se non una forma impossibile da fermare nella memoria?

La luce invade il set e rimpicciolisce le forme. I dettagli della carne maciullata sembrano macchie di Rorschach, le parti del corpo, l’ambiente, si colgono solo dopo qualche secondo di contemplazione. Il film prende forma grazie ai nostri occhi, chiamandoli ad essere attivi costruttori dell'immagine senza tempo. Sono il bianco e il nero a fare una storia e allo stesso tempo a limitarla. Segnano un punto oltre cui il visibile non può arrivare, oltre cui la ragione non può che limitarsi ad uno sbiadito ricordo.

È come se Adamo ed Eva fossero stati ripresi nell’Eden dai Lumiere. O come se Zeus fosse stato osservato con l’occhio di Meliés. Affascinante e spaventoso, teatrale (Merhige viene dal teatro e lavora al film con la. sua compagnia di attori), ma così cinematografico. Per raggiungere una tale consistenza dell’immagine Elias Merhige ha speso otto ore di post produzione per ogni minuto di film. Il risultato finale è profondamente disturbante. È il paradosso dell’alta definizione: più un’immagine è definita, curata, perfetta… più il nostro occhio la percepisce come artificiale. Un filmato sgranato del cellulare ci sembrerà sempre più vero di un filmato in 8k con le luci da studio ben impostate.

E così è Begotten, un inquietante e sporco film che sembra rovinato dal tempo. Una pellicola proibita che cambia la propria natura come un caleidoscopio, adattandosi a ciò che l’occhio è disposto a vedere in quel momento. Non è un caso che molti spettatori l’abbiano associato al filmato al centro di The Ring, anche alla luce di una distribuzione del film, negli anni '90, per lo più tramite canali home video di VHS pirata.

E non è un caso che Marilyn Manson abbia usato alcuni fotogrammi per il video di Cryptorchid. 

Quello che resta dopo la visione di Begotten non è lo shock.

È la sua forza innovativa nella grammatica visiva, presa da Bunuel, da Bergman, ma soprattutto da Stan Brakhage e declinata in un horror splatter che parla di sublime, e del tempo della vita, oltre che a quello del cinema. Un tempo senza lancette,  come l’orologio che si staglia vicino al Dio morente.

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